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Il Sudafrica post-apartheid resta un Paese di forti diseguaglianze

Se non ci fosse stato l’apartheid il Sudafrica avrebbe potuto forse consentire all’Occidente di non lasciare l’Africa in mano a russi e cinesi, ma dopo Martin Luther King era chiaramente impossibile fare di un Paese che aveva istituzionalizzato la segregazione razziale il perno per tenere il Continente Nero nell’orbita occidentale. Fatto sta che, in parallelo con la penetrazione dei rivali dell’Occidente in Africa, a trent’anni dalla fine dell’apartheid e dall’ascesa di Nelson Mandela alla guida del Paese il Sud Africa non versa certo in buone condizioni.

Nella distribuzione del reddito, come osserva l’Ispi, il Paese è il più diseguale del mondo: 0,67, secondo il coefficiente Gini. La Banca Mondiale sostiene che “la razza resta il fattore chiave della diseguaglianza, a causa del suo impatto sull’educazione e il mercato del lavoro”. Dopo il Covid la disoccupazione è salita al 33% ed è povera circa la metà dei 60 milioni di sudafricani.

Il Sudafrica è ancora l’economia più industrializzata del continente ma le infrastrutture sono cadenti. “State of disaster” era stato costretto ad ammettere Cyril Ramaphosa, il presidente che si ricandida per un secondo mandato. R’ ormai da un decennio che gli investimenti stranieri diretti non sono più dell’1% del Pil. Nel 2023 il Prodotti interno lordo è cresciuto dello 0,6%, forse dell’1,6 nei prossimi due anni.

Non è così che doveva andare. La formula di Mandela e del successore Tabo Mbeki, era il gradualismo: il potere politico era passato ai neri, l’80% della popolazione; il trasferimento di quello economico, sarebbe stato progressivo. Era previsto che entro il 1999, alla fine del mandato presidenziale di Mandela, il 30% delle terre coltivate sarebbe stato controllato dalla maggioranza nera. Ma nel 2013, quando Mandela morì, era solo il 7. E il 17% della capitalizzazione alla Borsa di Johannesburg era posseduto dai neri.

Nelson Mandela aveva impedito una guerra civile ma la transizione e l’equilibrio dei poteri non fu mai realizzato davvero: Il “Black Economic Empowerment” è stato troppo lento e tutt’altro che trasparente.

Da forza politica della liberazione, rileva ancora l’Ispi, l’Anc si è progressivamente trasformato nel gestore di un sistema sempre più corrotto. Soprattutto nei due mandati di Jacob Zuma, dal 2009 al 2018. Nel 2022, alla fine della sua indagine, il controllore pubblico Thuli Madonsela usò la definizione “State capture” per descrivere ciò che era accaduto: l’intero sistema era stato catturato da un piccolo gruppo di corrotti.

Alle elezioni del 2019 l’Anc aveva conquistato il 57,50% dei voti, mai così poco. E aveva perso aree metropolitane fondamentali come Johannesburg e Tshwane (Pretoria). Oltre alla più avanzata provincia del Western Cape, persa molto tempo prima. A Città del Capo è anche nato un movimento separatista, il Capexit. Nelle elezioni dell’anno scorso l’Anc ha preso ancora il 40%, un risultato che non appariva scontato alla vigilia, ma per la prima volta dal 1994 non ha ottenuto la maggioranza assoluta.

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