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In attesa di Giustizia: il silenzio dell’innocente

Sembra che il nostro sia divenuto uno Stato moralizzatore: addirittura giunge notizia che a Pavia una coppia di fidanzati sia stata multata nella misura di 400 euro per essere stati sorpresi, da agenti in borghese ma in servizio, ad abbracciarsi e, dunque, senza rispettare le norme sul distanziamento fisico. Qualcosa di simile, peraltro, era già accaduto un anno fa circa; dove? direte voi, un anno fa non c’erano né il covid – 19 né rigorosi DPCM! Ma come, dove? In un centro commerciale ad Arak, Iran; i due innamorati in quella occasione furono arrestati per oltraggio alla pubblica decenza frutto di degenerazione da cultura occidentale o qualcosa di simile. Non possono lamentarsi i ragazzi pavesi: perché da noi le pene sono severe ma giuste e, forse, in un prossimo futuro avremo anche sei divisioni di Assistenti Civici che vigileranno con rigore sull’osservanza delle regole anti contagio  e sulla sobrietà di effusioni altrimenti pericolose.

L’insegnamento morale che vuole instillarsi nella popolazione sembra – tuttavia – essere a due velocità: ci sono argomenti che, almeno per alcuni, pare preferibile non affrontare sebbene meritevoli di attenzione e della dovuta critica, possibilmente anche costruttiva. Tra questi, vi è quanto emerge dalle intercettazioni che riguardano i magistrati.

Si tratta di una copiosa messe di conversazioni e di messaggi,  che alza il velo su uno squallido mercimonio di incarichi e di favori, raccolta durante le indagini della Procura di Perugia su Luca Palamara.  Uno che, solo a guardarlo in fotografia, suggerisce riflessioni lombrosiane e se lo incontri di notte, anche se tace, gli dai subito la borsa.

L’emersione dello scandalo ha portato con sé numerose implicazioni, comprese quelle a proposito della correttezza della informazione. O, forse, consolida convincimenti proprio sul livello etico di ambiti sensibili della cosa pubblica; e, se quanto fuoriuscito dal vaso di Pandora umbro non sempre integra reati, molti discutibili comportamenti rilevano quali illeciti disciplinari gravi.

In tutto ciò, taluni pennivendoli, come era da immaginarsi, hanno “silenziato” queste ultime notizie  soprattutto nelle porzioni che attengono alla opacità dei loro rapporti con frange della magistratura; ma l’attenzione è ugualmente e prepotentemente tornata su un tema che da mesi non ne era più oggetto provocando, tra l’altro, sconquasso e dimissioni in seno alla Associazione Nazionale Magistrati.

Nel dimettersi dall’incarico, il suo Presidente, Luca Poniz – persona, peraltro, ottima e corretta – ha, tuttavia, fuori luogo parlato di un attacco alla magistratura e indignandosi, questa volta sì,  perché atti di indagine vengono resi pubblici. Curioso: la magistratura sotto attacco da se stessa…l’immagine evocata dal Consigliere Poniz ricorda il Tafazzi della Gialappa’s Band.

Un bagno di umiltà sarebbe stato preferibile: i magistrati sono uomini con pregi e difetti come tutti, non tutti, per fortuna, come i parlanti ascoltati dai colleghi di Perugia ma non sono nemmeno gli unti del Signore, ed è ora che imparino che esiste la vergogna. Ed anche le scuse per condotte aberranti.

La nostra Costituzione recita che “la Giustizia è amministrata in nome del popolo” significando, tra le altre cose, che i cittadini devono poter avere un controllo non solo sulle modalità della sua amministrazione ma anche su chi esercita la giurisdizione. L’informazione in proposito non può essere né condizionata prima né mistificata poi.

L’affaire Palamara ha fatto saltare il coperchio su un malcostume diffuso proprio nell’ambito dell’Ordine Giudiziario e non c’è ragione per cui si debba tentare di secretare il tutto quando il cittadino comune che finisce sotto processo viene abitualmente osteso alla gogna ben prima di una sentenza di condanna anche solo sulla base di prove circostanziali e non di evidenze come possono essere i portati di intercettazioni dal contenuto, purtroppo, inequivocabile.

L’ipocrisia, peraltro, è un male antico della politica, perché – in fondo – anche in questo caso di politica si tratta se si riguarda al Consiglio Superiore della Magistratura come ad un organo che ne è pesantemente condizionato.

Ma ora si sta andando ben oltre: non bastasse il volo degli stracci in prima serata tra Guardasigilli e P.M., si sono risapute queste chiacchiere che svelano al grande pubblico ciò che tutti gli addetti ai lavori sapevano da sempre (ma non ne avevano le prove) sul sistema correntizio di gestione del C.S.M. e le sue degenerazioni.

Ciliegina sulla torta di questi giorni mettiamoci anche un Procuratore Capo della Repubblica arrestato con accuse infamanti. Sempre nel silenzio, almeno uno dei suoi ex sostituti, nel processo che lo riguarda, si è visto richiedere una pena pesantissima per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari.

I miasmi che intossicano il “sistema giustizia” sono ormai  intollerabili e ad essi si aggiunge il silenzio assordante su questa vicenda di Sergio Mattarella, che responsabilità non ne ha certo, protrattosi troppo a lungo: un intervento rigoroso ed autorevole nel suo ruolo non solo di garante della Costituzione ma di Presidente del C.S.M., sarebbe stato doveroso e non solo auspicabile già molto prima della convocazione di un plenum straordinario del Consiglio cui ha partecipato con un discorso che – francamente – è il  compendio di inevitabili ovvietà allocate al minimo sindacale.

In attesa di Giustizia ci terremo, allora, i miasmi a renderci impossibile il respiro, senza neppure un Dante alla cui pietas rivolgere il proprio “ricordati di me che son l’Italia”.

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