Amazzonia

  • Deforestazione dell’Amazzonia in calo

    Dopo anni di sfruttamento forsennato, la deforestazione dell’Amazzonia registrata ad aprile del 2023 è calata più della metà rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: da poco meno di 1000 chilometri quadrati abbattuti a 321. Nel primo quadrimestre 2023, secondo l’Inpe (l’Istituto Nazionale per la Ricerca Spaziale che ha raccolto i dati), l’area rasa al suolo è stata inferiore del 38% rispetto al 2022.

    Otto Paesi dell’area amazzonica riuniti in Brasile hanno inoltre annunciato il lancio di una “alleanza” contro la deforestazione. Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva ha salutato l’accordo come un “punto di svolta” nella lotta contro il riscaldamento globale. La nascita della ”Alleanza amazzonica per combattere la deforestazione” è stata siglata a Belem da Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela, ovvero dai Paesi dell’Organizzazione per il Trattato di Cooperazione Amazzonica (Otca) nata nel 1995 con l’obiettivo di preservare le foreste pluviali della regione, habitat per circa il 10% della biodiversità mondiale. L’obiettivo aggiornato è “evitare che l’Amazzonia raggiunga il punto di non ritorno”, ovvero che l’Amazzonia emetta più gas serra di quanto ne assorba.

  • Amazonia brasileña: ante contaminación de mercurio en los pescados

    La inédita investigación «Análisis regional de los niveles de mercurio en el pescado consumido por la población de la Amazonía brasileña» revela que el pescado consumido por la población de los estados de Acre, Amapá, Amazonas, Pará, Rondônia y Roraima tiene índices de concentración de mercurio en un 21,3% superiores a lo permitido por las entidades de vigilancia de la salud. El máximo recomendado por la Agencia Nacional de Vigilancia Sanitaria es de 0,5 microgramos por cada gramo de pescado.

    El sondeo se realizó entre marzo de 2021 y septiembre de 2022 con la recolección de más de 1.000 muestras de pescados vendidos en mercados, ferias libres o comprados a pescadores en puntos de desembarque de pesca en 17 ciudades de los seis estados, incluidas las capitales.

    Según la investigación, ya se conoce la ruta de contaminación por el metal: el agua de los ríos se contamina por la acción de la minería ilegal en la búsqueda de oro y, en consecuencia, al consumir el pescado, la población también se contamina. El estado de Roraima tiene los peores datos: el 40% del pescado recolectado tiene un contenido de mercurio superior al indicado. Rio Branco, en Acre, también presenta un escenario similar, con 35,9% de pescado con alto contenido del metal.

    Paulo Basta, investigador de la Fiocruz y uno de los coordinadores del estudio, relata algunos riesgos para la salud de la población debido a la contaminación. Paulo destaca que las mujeres y los niños son los grupos considerados más vulnerables.

    El estudio de la Fiocruz contó con una alianza con la Universidad Federal del Oeste de Pará, el Instituto de Investigación y Capacitación Ambiental, el ISA (Instituto Socioambiental) y las ONG Greenpeace Brasil y WWF-Brasil.

    Fuente: Agencia Brasil. Con producción de Renato Lima.

  • Follia ambientalista in Colombia: non contrastare la coca per non alterare l’Amazzonia

    L’ambientalismo metterà fuori gioco il contrasto delle coltivazioni di cocaina? Apparentemente assurda, la domanda ha assunto concretezza quando il presidente della Colombia, Gustavo Petro, all’annuale assise dall’Onu nel settembre scorso ha invocato l’alt alle operazioni di disboscamento delle piantagioni di cocaina dichiarando che tali operazioni minacciano di alterare l’habitat dell’Amazzonia. «Là nelle giungle viene rilasciato ossigeno e assorbita la CO2 atmosferica. Una di quelle piante che assorbe anidride carbonica, tra milioni di specie, è una delle più perseguitate sulla terra. A ogni costo si cerca la distruzione di una pianta amazzonica, la pianta della coca, la pianta sacra degli Incas. Paradossale che la foresta che cerca di essere salvata venga così allo stesso tempo distrutta. Per eliminare la pianta della coca si rilasciano veleni, glifosato, in modo massiccio, che poi finiscono nelle nostre acque. Arrestano i coltivatori e li imprigionano per aver posseduto un po’ di foglie di coca».

    Al di là di ogni considerazione sui danni che i prodotti che se ne ricavano possono provocare all’uomo, il fatto è che la coca presente nella foresta non è poi tutta così naturale. Nei dipartimenti di Putumayo e Caquetà, riferisce Panorama sono presenti coltivazioni di coca su 22.045 ettari per realizzare le quali sono stati abbattuti le specie vegetali che madre natura aveva fatto crescere su quelle stesse aree. E, nota ancora il settimanale, su 13 milioni di litri di glifosato utilizzate nel 2021 in Colombia, solo il 3,7% – pari a 480mila litri – è stato destinato ad estirpare la coca, il resto è stato impiegato per coltivazioni legali.

  • Per non cedere di un passo

    1) Qual è la situazione, in questo momento, dei popoli che abitano l’Amazzonia brasiliana? Come si sta diffondendo il Covid-19? Quale notizie vi arrivano dai popoli con i quali collaborate e che sostenente? 
    L’epidemia si è ormai diffusa in tutto il continente sudamericano e sta colpendo in modo particolarmente duro le comunità indigene. Solo in Brasile i contagi indigeni confermati sono oltre 46.508 e i decessi almeno 929 (dati APIB), ma il vero numero degli infettati è probabilmente molto più alto, perché i casi sono ampiamente sottostimati e il numero di test diagnostici effettuati è esiguo. Il virus costituisce un pericolo mortale per tutti, ma lo è ancora di più per i popoli indigeni: le loro comunità vengono infatti colpite in modo sproporzionato.
    Coloro che in passato sono stati sfrattati dalle loro terre hanno perso molta della loro autosufficienza e del benessere di un tempo: avevano centinaia di piante medicinali per curare disturbi che gli sono familiari, ma oggi dipendono dagli ospedali per le malattie portate dagli esterni, e pur trovandosi in precario stato di salute spesso non hanno accesso a un’adeguata assistenza sanitaria. Allo stesso tempo, molti altri indigeni che vivono ancora sulle loro terre, e sono quindi più forti, vedono i loro territori invasi, spesso con l’avallo delle autorità. Gli viene detto di auto-isolarsi per proteggersi dall’epidemia ma per loro è impossibile se nella foresta ci sono migliaia di invasori!

    Secondo un rapporto realizzato dalle organizzazioni Yanomami e Ye’kwana, a permettere la rapida diffusione del virus nella terra yanomami sono proprio la negligenza e la complicità del governo di Bolsonaro rispetto alla continua invasione e distruzione di ampie porzioni del territorio da parte dei cercatori d’oro illegali. Nell’area abitano anche diversi gruppi di incontattati, tra i popoli più vulnerabili del pianeta: se dovessero entrare in contatto con qualcuno dall’esterno si troverebbero esposti a rischi estremi. In dicembre gli Yanomami hanno consegnato al Congresso brasiliano una petizione che ha raccolto 439.000 firme (https://www.minersoutcovidout.org/) per chiedere l’immediata espulsione dei circa 20.000 cercatori d’oro illegali dall’area.

    2) Quali sono le principali minacce per i popoli indigeni del Brasile? 

    Senza dubbio l’invasione e la distruzione delle loro terre: che siano taglialegna, cercatori d’oro, allevatori o coloni non fa molta differenza. La retorica razzista del Presidente Bolsonaro alimenta le invasioni dei territori indigeni da parte di coloro che si sentono incoraggiati dal disprezzo che mostra per questi popoli e dall’indebolimento di agenzie federali come il FUNAI (il Dipartimento brasiliano agli Affari Indigeni) e l’IBAMA (l’Istituto per l’ambiente e le risorse naturali), che si sono viste ridurre drasticamente il budget e lo staff.

    Manovra dopo manovra, Bolsonaro e il suo governo continuano a promuovere un vero e proprio “genocidio legalizzato” dei popoli indigeni del paese. Il Presidente sostiene, ad esempio, la proposta del “Marco Temporal” (limite temporale) che stabilisce che i popoli indigeni che al 5 ottobre 1988 – giorno in cui fu promulgata la Costituzione brasiliana – non abitavano fisicamente sulle loro terre, non hanno più alcun diritto a viverci. Se venisse approvata avrebbe un impatto devastante su centinaia di territori indigeni, distruggendo la vita di decine di migliaia di persone.

    3) I popoli indigeni che abitano l’Amazzonia sono molti. Alcuni non hanno mai avuto contatti con il mondo esterno e infatti vengono definiti “incontattati”. Cosa intendiamo?

    L’Amazzonia è la più grande foresta pluviale del mondo. Ma è anche la dimora ancestrale di almeno 1 milione di indigeni. Sono divisi in circa 400 tribù, ognuna con la sua lingua, la sua cultura, il suo territorio.

    Molti dei popoli amazzonici brasiliani contano oggi meno di 1.000 individui, ma il loro numero varia moltissimo, dai 60.000 Ashàninca del Perù ai 3 Akuntsu del Brasile. Il caso più estremo è quello de “l’ultimo della sua tribù”, un uomo che vive isolato in un angolo di foresta circondato dal bestiame degli allevatori e dalle piantagioni di soia nello stato brasiliano di Rondônia, uno dei più violenti del Brasile. Molti popoli sono in contatto con il mondo esterno da oltre 500 anni. Le tribù incontattate (https://www.survival.it/tribuincontattate), invece, non hanno rapporti con le società che li circondano; la più alta concentrazione di questi popoli si trova proprio in Amazzonia. Il FUNAI stima ci siano almeno 100 gruppi, e sono i popoli più vulnerabili del pianeta. Intere popolazioni rischiano di essere spazzate via dalle violenze di esterni che le derubano di terre e risorse, e da malattie come influenza e morbillo, verso cui non hanno difese immunitarie.

    4) I popoli indigeni sono i veri custodi della biodiversità, cosa significa e perché?

    I popoli indigeni sono i migliori conservazionisti e custodi del mondo naturale. Le prove scientifiche hanno ormai ampiamente dimostrato che sanno prendersi cura dei loro ambienti e della fauna meglio di chiunque altro. Da generazioni le gestiscono e ne dipendono, e le loro conoscenze sono uniche e insostituibili.

    Non è un caso che l’80% della biodiversità del nostro pianeta si trovi proprio nei territori indigeni. Anche le immagini satellitari dell’Amazzonia sono impressionanti, perché spesso la deforestazione si ferma proprio laddove incominciano i confini dei territori indigeni. Per questo è fondamentale che questi popoli vengano riconosciuti come i partner principali nella lotta ai cambiamenti climatici (https://www.survival.it/su/cambiamenticlimatici) e che i loro diritti territoriali siano rispettati, a beneficio anche di tutti noi.

    5) Per primi avete denunciato che in Amazzonia si sta compiendo un genocidio. Perché è così difficile fermarlo?
    Per la nostra esperienza – e Survival lavora a stretto contatto coi popoli indigeni in Amazzonia da oltre 50 anni – questo è uno dei momenti peggiori per i popoli indigeni del Brasile dai tempi della dittatura militare. Da un lato, fin da subito Bolsonaro ha dichiarato guerra ai primi popoli del paese senza nemmeno tentare di nasconderlo, dall’altro la sua ‘non’ gestione della pandemia ha portato la crisi a un livello superiore, ancora più grave. I suoi sono tutti atti di criminale irresponsabilità. I popoli indigeni ovviamente, stanno contrattaccando e stanno resistendo. Hanno già ottenuto molti successi, ma la lotta è dura perché il governo è ampiamente controllato dalla lobby delle tre “B” come viene chiamata: ovvero da quella delle armi, dei buoi (l’agrobusiness) e della bibbia (gli evangelici) – Biblia, Boi, Bala.

    Il presidente Bolsonaro sta inoltre facendo grande pressione perché il Congresso approvi il suo Decreto Presidenziale MP910, noto come “il decreto del land grabbing”, che comporterebbe la vendita di vaste aree indigene a scopo di sfruttamento commerciale. Inoltre, mancando di proteggere i popoli indigeni dagli invasori e bloccando i piani sanitari necessari a combattere il Covid-19 tra le loro comunità, Bolsonaro sta di fatto incoraggiando la diffusione della pandemia.

    La leader indigena Brasiliana Celia Xakriaba lo ha detto molto chiaramente: “Ci rendiamo conto che la pandemia è una crisi per tutta l’umanità, ma sappiamo che i Brasiliani non saranno sterminati completamente. Per i popoli indigeni tuttavia rappresenta una reale minaccia di sterminio”.

    6) Che cosa state facendo voi di Survival e che cosa possiamo fare perché non si compia il genocidio?

    A fianco dei popoli indigeni del Brasile Survival International (https://www.survival.it/) sta conducendo una campagna internazionale per fermare il genocidio in corso nel paese (https://www.survival.it/genocidiobrasile), coinvolgendo in azioni mirate l’opinione pubblica internazionale.

    Ad esempio, insieme a molti popoli e organizzazioni indigene abbiamo fatto pressione su politici brasiliani di spicco e abbiamo partecipato a una maratona di tweet indirizzati ai membri del Congresso che hanno bloccato il primo tentativo di fare votare l’MP910. Più di recente, grazie alla pressione dell’opinione pubblica internazionale, abbiamo ottenuto anche la destituzione di Ricardo Lopes Dias, un missionario evangelico che era stato nominato capo del Dipartimento governativo per gli Indiani incontattati con il chiaro intento di raggiungerli e assimilarli.

    I 50 anni di esperienza e i tanti successi ottenuti da Survival nel corso del tempo, dimostrano che la pressione dell’opinione pubblica internazionale è di gran lunga l’arma più efficace per ottenere cambiamenti reali per i popoli indigeni e garantire loro un futuro. Per questo non ci arrenderemo, e non cederemo mai di un passo.

  • La politica agricola di Bolsonaro manda in fumo l’Amazzonia

    L’Amazzonia è l’ultima area in ordine di tempo ad andare in fiamme quest’estate, dopo Siberia, Isole Canarie, Alaska, e Groenlandia. In Siberia sono bruciate ad agosto oltre 5 milioni di ettari di foreste, una superficie pari a poco meno della metà dell’intero patrimonio forestale italiano. Nelle Isole Canarie le fiamme hanno costretto alla fuga oltre 8.000 persone. Solo pochi giorni prima vasti incendi hanno interessato Alaska e Groenlandia.

    L’incendio negli stati brasiliani di Amazonas, Rondonia, Mato Grosso, Parà e anche nella parte dell’Amazzonia che ricade sotto il Paraguay colpisce però la foresta pluviale amazzonica, la più grande foresta tropicale del mondo. Dall’inizio dell’anno nella foresta pluviale amazzonica sono stati registrati circa 75mila eventi incendiari, un numero record, quasi il doppio rispetto al numero d’incendi nello stesso periodo del 2018. L’istituto nazionale per la ricerca spaziale (INPE) ha rilevato che a luglio sono andati in fumo 225mila ettari di foresta pluviale amazzonica, anche questo un dato senza precedenti, il triplo rispetto a quelli del luglio 2018.

    La foresta pluviale amazzonica non prende fuoco per cause naturali, perché rimane umida per gran parte dell’anno. Gli incendi – secondo le istituzioni di ricerca e le organizzazioni non governative che operano in Amazzonia – sono da ricondurre agli agricoltori e alle grandi imprese zootecniche e agro-industriali, che usano il metodo, illegale, “taglia e brucia” per liberare la terra, non solo dalla vegetazione, ma anche dalle popolazioni locali e indigene. Gli alberi vengono tagliati nei mesi di luglio e agosto, lasciati in campo per perdere umidità, successivamente bruciati, con l’idea che le ceneri possano fertilizzare il terreno. Quando ritorna la stagione delle piogge, l’umidità del terreno denudato favorisce lo sviluppo di vegetazione nuova per il bestiame.

    L’allevamento del bestiame è responsabile dell’80% della deforestazione in corso nella foresta pluviale amazzonica. Una parte significativa dell’offerta globale di carne bovina, compresa gran parte dell’offerta di carne in scatola in Europa, proviene da terreni che un tempo erano la foresta pluviale amazzonica.

    Gli incendi sono poi favoriti e sostenuti dalle condizioni climatiche estreme, da ondate di calore prolungate e intense e da siccità prolungate, insolite per questa parte del mondo. L’amministrazione USA per gli oceani e l’atmosfera (NOAA) ha comunicato lo scorso luglio è stato il luglio più caldo mai registrato da quando sono in uso gli strumenti per la misurazione del clima. Nella lista dei cinque mesi di luglio più caldi, appaiono quelli degli ultimi cinque anni. Questo non vale solo per l’emisfero settentrionale, dove in questo momento è estate, ma in tutto il mondo.

    La distruzione e il degrado del manto forestale avrà importanti conseguenze nella regione. Senza alberi e senza vegetazione che svolgono la funzione di ancorare il terreno e di trattenere l’umidità, la vegetazione sottostante può seccarsi, facilitando la combustione. Senza gli alberi, che attraverso la traspirazione liberano un enorme volume di acqua ed emettono sostanze chimiche che lo fanno condensare, diminuiranno le piogge.

    In questo momento, l’Amazzonia è stata disboscata per oltre il 15% rispetto al suo stato iniziale (epoca pre-umana). Gli scienziati sono preoccupati che se il disboscamento dovesse raggiungere il 25%, non ci saranno abbastanza alberi per mantenere l’equilibrio del ciclo dell’acqua. La regione attraverserà un punto critico ed eventualmente evolvere verso la savana. Ciò avrebbe enormi conseguenze anche per il resto del mondo. La foresta pluviale amazzonica produce enormi quantità di ossigeno. La sua vegetazione trattiene miliardi di tonnellate di carbonio nella vegetazione, nella lettiera e nel suolo, che potrebbero ossidarsi e liberarsi in atmosfera, aumentando l’effetto serra.

    L’Amazzonia è anche un hotspot della biodiversità e include il luogo più ricco di biodiversità sulla Terra, rendendo la sua conservazione una questione chiave per arrestare l’estinzione  estinzioni di piante e animali. Centinaia di migliaia di indigeni in oltre 400 tribù vivono in Amazzonia e fanno affidamento sulla foresta pluviale per sostenere le loro vite e preservare le loro culture.

    Alla radice di quest’aumento di incendi e deforestazione in Brasile molti vedono gli indirizzi che il nuovo governo di Brasilia ha voluto rispetto alle politiche di conservazione avviate dai governi precedenti: allevatori e imprenditori agricoli si sentono incoraggiati e sostenuti ad avviare attività di ‘sviluppo’ in territori coperti da foreste, molti dei quali sono territori indigeni. Negli ultimi giorni è arrivata la decisione dei governi norvegese e statunitense di interrompere il finanziamento dei progetti di conservazione delle foreste di fronte alla ripresa della deforestazione.

    Secondo l’IPCC la gestione delle aree agricole (specialmente la coltivazione per sommersione del riso) e l’allevamento di bestiame producono circa l’11% delle emissioni globali.  In totale, un quarto delle emissioni globali di gas serra.

  • Una giovane madre in difesa della foresta amazzonica

    Si chiana Nemonte, è una giovane madre del popolo Waorani in Ecuador e potrebbe essere il punto di forza per salvare l’Amazzonia dopo che il governo sta per vendere milioni di ettari di foresta incontaminata alle multinazionali del petrolio. Nemonte ha deciso di guidare il suo popolo fuori dalla foresta per difendere la terra dei loro antenati. Come racconta il sito www.avaaz.org, che ha attivato una raccolta fondi per sostenere la sua battaglia e quella del suo popolo di fronte ai tribunali, si troverà faccia a faccia con il governo in una causa legale epocale che potrebbe impedire la vendita della loro terra e creare un precedente per i guardiani della foresta di tutta l’Amazzonia.  La costituzione dell’Ecuador e la normativa internazionale riconoscono alla popolazioni indigene il diritto di esprimere il loro parere informato prima che le terre in cui da secoli abitano possano essere vendute, ma questo diritto è spesso (o quasi sempre) ignorato. La vendita del territorio che Nemonte difende si trova all’interno della Foresta Amazzonica che ospita il 10% delle specie del pianeta e produce il 20% dell’ossigeno che respiriamo, continuare a distruggerla significherebbe arrecare un grave danno all’umanità intera.

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