Papa

  • Bandiera bianca e la forza della diplomazia

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    Come ha specificato Matteo Bruni, direttore della sala stampa del Vaticano, “Il Papa usa il termine bandiera bianca, riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare la cessazione delle ostilità, la tregua raggiunta con il coraggio del negoziato”.

    In altre parole il Papa, a differenza delle interpretazioni ideologiche dei media, i quali arrivano ad accusare il Papa di esprimere una posizione filorussa, non ha interpretato la figura retorica della “bandiera banca” come una resa, ma semplicemente deve venire intesa come l’inizio di una presa di coscienza della impossibilità di un esito positivo della guerra (un esito per entrambi i belligeranti, sia chiaro) e da questa consapevolezza andrebbe considerata una inevitabile e immediata apertura di un tavolo di negoziazione.

    In questo contesto, in una sola battuta, vengono azzerate tutte le strategie dell’Unione Europea e del leader ucraino, i quali invece chiedevano e pretendono tuttora maggiori investimenti in armamenti ed equiparano la crisi russo-ucraina a quella del 1939 che diede inizio alla Seconda guerra mondiale, paragonando Putin ad Hitler. Quasi che il quadro politico-istituzionale ed internazionale prebellico della Seconda guerra mondiale potesse essere anche solo paragonato a quello attuale, una visione che definisce l’approccio puramente ideologico nella azzardata similitudine tra i due momenti storici.

    Esattamente come dovrà avvenire a Gaza, così nello scenario russo-ucraino la soluzione finale non può venire individuata in una semplice vittoria di uno dei due contendenti all’interno di una progressiva escalation bellica ed anche di spese pubbliche finalizzate alla acquisizione di maggiori armamenti.

    Viceversa, a questa strategia va affiancata un’altra che valuti da subito l’istituzione di un tavolo negoziale al quale dovranno sedersi i due nemici e i diversi negoziatori. In questo contesto si manifesta evidente la perdita di un’occasione unica per l’Europa in chiave diplomatica, avendo appoggiato sic et nunc la sola difesa dell’Ucraina, eletta a simbolo della democrazia, senza aprire un tavolo negoziale con Putin, di fatto adottando la strategia della NATO come la propria politica estera.

    Il fallimento di questa strategia è evidente in quanto la sottovalutazione della capacità di resistenza della Russia emerge chiara poiché l’economia russa crescerà nel 2024 ben quattro volte quella europea, quando dal 2022 tutti i vertici dell’Unione Europea parlavano di un prossimo default dello Stato russo.

    Queste medesime competenze europee ora spingono a favore della creazione di un esercito europeo e magari di un arsenale nucleare, del cui effetto deterrente, anche in considerazione dell’esito ottenuto con le strategie europee dal 2022 ad oggi, è legittimo dubitare.

    All’interno, quindi, di una rinnovata attenzione alla realpolitick, poco importa che sia stato Putin, come tutti sappiamo, ad iniziare il conflitto. E ricordando l’importanza, come fattore di pressione, della politica espansiva della NATO che ha accentuato questa tensione regionale, quello che risulta fondamentale adesso è individuare come si possa ottenere una pace senza arrivare ad uno scontro bellico ancora più generale.

    Se veramente si credesse che la vita rappresenti il bene supremo da tutelare, di conseguenza chiunque si adopererebbe con l’obiettivo di trovare un accordo, se non altro per interrompere la carneficina di civili.

    Tutto il resto è delirio ideologico, politico e purtroppo militare.

  • Necessarie riflessioni per evitare il peggio

    Non far nulla senza riflessione, alla fine dell’azione non te ne pentirai.

    Siracide (32;19), Antico Testamento.

    La prossima settimana, il 9 maggio, si celebrerà il 73o anniversario di quella che ormai è nota come la Dichiarazione Schuman. Un documento storico che rappresentava le convinzioni ed il pensiero lungimirante dei Padri Fondatori dell’Europa unita. Un documento presentato il 9 maggio 1950 dall’allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman. Bisogna sottolineare che in quel periodo i Paesi europei stavano cercando di portare avanti il processo della ricostruzione dopo una lunga e devastante seconda guerra mondiale. E per portare avanti ed atturare il loro Progetto per un’Europa senza guerre ed unita, i Padri Fondatori, dopo lunghe e responsabili riflessioni, avevano deciso di partire con delle scelte adeguate e concrete. Scelte che permettevano una effettiva collaborazione economica tra i Paesi europei e, allo stesso tempo, rendevano difficile l’avvio di un altro conflitto armato in Europa. E non a caso la prima iniziativa si riferiva a due materie prime, indispensabili sia per la guerra che per lo sviluppo economico, tanto importante in generale, ma anche durante quel periodo di ricostruzione. Si trattava del carbone e dell’accaio. I Padri Fondatori erano convinti che il controllo comune della produzione di quelle due importanti materie prime avrebbe evitato una nuova guerra, soprattutto fra i due rivali storici, la Francia e la Germania, ma anche fra altri paesi europei. Ne era convinto anche Schuman che, nella sua dichiarazione, resa pubblica il 9 maggio 1950, sottolineava che così facendo una nuova guerra diventava “non solo impensabile, ma materialmente impossibile”. Circa un’anno dopo, il 18 aprile 1951, con il Trattato di Parigi, è stata istituita la Comunità europea del carbone e dell’accaio. Tra i promotori di quella storica iniziativa c’erano Jean Monnet, Robert Schuman, Konrad Adenauer ed Alcide De Gasperi. Un’iniziativa quella della Comunità europea del carbone e dell’accaio nella quale, all’inizio, aderirono la Francia, la Germania, l’Italia, il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi, ma che era aperta anche per altri Paesi europei. Le convinzioni e la visione dei Padri Fondatori per un’Europa comune, rese pubbliche con la Dichiarazione Schuman il 9 maggio 1950, diventarono poi parte integrante del Trattato di Roma, approvato il 25 marzo 1957 dai primi sei Paesi fondatori della Comunità economica europea, gli stessi che aderirono alla costituzione della Comunità europea del carbone e dell’accaio.

    La scorsa settimana, dal 28 e fino al 30 aprile, Papa Francesco è stato in Ungheria. Ha incontrato le più alte autorità istituzionali ed ecclesiastiche del Paese. Ha fatto anche diverse visite durante la sua permanenza in Ungheria. Dopo aver incontrato la presidente della Repubblica ed il primo ministro ungherese, venerdì scorso papa Francesco ha avuto un incontro con i rappresentanti delle autorità, della società civile e del corpo diplomatico. Durante quell’incontro il Pontefice ha fatto appello all’Europa di “ritrovare l’anima europea”, riferendosi al pensiero lungimirante dai Padri Fondatori. Papa Francesco ha ribadito la sua ormai da tempo espressa preoccupazione per quanto sta accadendo in Ucraina, dove “tornano a ruggire i nazionalismi”. Il Pontefice ha anche sottolineato la necessità che la politica, “regredita a una sorta di infantilismo bellico”, debba ritornare a quella che rispetta quanto stabilito dai Padri Fondatori. Durante quell’incontro il Pontefice ha ribadito che “…Nel dopoguerra l’Europa ha rappresentato, insieme alle Nazioni Unite, la grande speranza, nel comune obiettivo che un più stretto legame fra le Nazioni prevenisse ulteriori conflitti”. Aggiungendo però che purtroppo “…la passione per la politica comunitaria e per la multilateralità sembra un bel ricordo del passato: pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace, mentre si fanno spazio i solisti della guerra”. Per il Pontefice la pace, in una simile e preoccupante situazione internazionale, è indispensabile. Ma come egli ha detto, la pace “non verrà mai dal perseguimento dei propri interessi strategici, bensì da politiche capaci di guardare all’insieme, allo sviluppo di tutti: attente alle persone, ai poveri e al domani; non solo al potere, ai guadagni e alle opportunità del presente”. Prima di partire per Roma, nel pomeriggio di domenica scorsa il Santo Padre ha avuto un incontro, presso la Facoltà di Informatica e di Scienze Bioniche dell’Università Cattolica Péter Pázmány a Budapest, con rappresentanti degli studenti, nonché con quelli della comunità della cultura e delle università. “La cultura, in un certo senso, è come un grande fiume: collega e percorre varie regioni della vita e della storia, mettendole in relazione, permette di navigare nel mondo e di abbracciare Paesi e terre lontane, disseta la mente, irriga l’anima, fa crescere la società”, ha detto ai partecipanti all’incontro il Santo Padre. In seguito, riferendosi a quanto disse Gesù ai giudei – “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Vangelo secondo Giovani, 8/32) – il Pontefice ha detto ai partecipanti che “…l’Ungheria ha visto il susseguirsi di ideologie che si imponevano come verità, ma non davano libertà”. Ed ha aggiunto, ribadendo che “…anche oggi il rischio non è scomparso: penso al passaggio dal comunismo al consumismo. Ad accomunare entrambi gli “ismi” c’è una falsa idea di libertà. Quella del comunismo era una “libertà” costretta, limitata da fuori, decisa da qualcun altro; quella del consumismo è una “libertà” libertina, edonista, appiattita su di sé, che rende schiavi dei consumi e delle cose. E quanto è facile passare dai limiti imposti al pensare, come nel comunismo, al pensarsi senza limiti, come nel consumismo!”.

    Da anni Papa Francesco sta parlando di una terza guerra mondiale a pezzetti. Durante un’intervista rilasciata il 18 dicembre 2022 egli ha detto: “La guerra distrugge, distrugge sempre.  Da tempo io ho parlato, stiamo vivendo la terza guerra mondiale a pezzetti”. Dal 31 gennaio al 5 febbraio scorso, Papa Francesco è andato prima in Congo e, da li, in Sud Sudan. Sul volo di ritorno dal Sud Sudan, il 5 febbraio, durante lo scambio di opinioni con i giornalisti, rispondendo ad uno di loro, papa Francesco convinto e perentorio ha affermato che “…Tutto il mondo è in guerra, in autodistruzione, fermiamoci in tempo!”. Mentre, rispondendo ad un altro giornalista, il Pontefice ha parlato anche della gravità e delle preoccupanti conseguenze di tante guerre in corso in diverse parti del mondo. Per lui non c’è soltanto la guerra in corso in Ucraina. “Da dodici-tredici anni la Siria è in guerra, da più di dieci anni lo Yemen è in guerra, pensa al Myanmar […] Dappertutto, nell’America Latina, quanti focolai di guerra ci sono! Sì, ci sono guerre più importanti per il rumore che fanno, ma, non so, tutto il mondo è in guerra e in autodistruzione. Dobbiamo pensare seriamente: è in autodistruzione! Fermiamoci in tempo”, ha detto Papa Francesco.

    Da anni il Pontefice sta parlando non solo della “terza guerra mondiale a pezzetti”, ma anche della “globalizzazione dell’indifferenza”. Una pericolosa tendenza, un preoccupante fenomeno quello della “globalizzazione dell’indifferenza” sul quale il Pontefice non smette mai di trattare, cercando di attirare l’attenzione e di rendere consapevole l’opinione pubblica in tutto il mondo delle gravi conseguenze di questo fenomeno. Lo ha fatto e lo sta facendo in tante occasioni durante questi anni. L’8 luglio 2013, solo circa quattro mesi dalla sua elezione, papa Francesco ha fatto la sua prima visita apostolica in Italia; è andato a Lampedusa. Un’isola quella di Lampedusa dove, con delle fatiscenti imbarcazioni arrivavano i profughi dalle coste dell’Africa settentrionale. Un’isola diventata nota sia per l’accoglienza dei profughi da parte degli abitanti, sia per le tante tragedie di mare nelle sue vicinanze, Un’isola quella di Lampedusa dove anche attualmente i diversi centri di accoglienza sono pieni, oltre i limiti, di profughi e dove, vicino alle sue coste, continuano le tragedie di mare. Quell’8 luglio 2013 a Lampedusa, papa Francesco ha cominciato la sua omelia, riferendosi ai tanti profughi che avevano perso la vita nelle tragedie di mare. “Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte”. Poi ha confessato che quando aveva appreso quella notizia, aveva sentito il dovere “di venire…qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta”. Così ha cominciato la suo omelia il Pontefice. E poi, in seguito, ha trattato l’indifferenza dell’essere umano ed il perché di questa indifferenza. “…La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri”. Tutto ciò, secondo il Pontefice, “…porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”. Il Pontefice, riferendosi alle tante vittime delle tragedie di mare, si è chiesto in seguito: “Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo? Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del ‘patire con’”. Tutto ciò, secondo papa Francesco, perché “…la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!”.

    La Giornata Mondiale della Pace è diventata una ricorrenza onorata e celebrata ogni 1o gennaio, partendo dal 1968, per volere e decisione di Papa Paolo VI, proclamato santo il 14 ottobre 2018, Papa Francesco, ogni volta che si presenta l’opportunità, tratta l’argomento della “globalizzazione dell’indifferenza”. Lo ha fatto anche nel suo Messaggio in occasione della Giornata Mondiale della Pace, il 1° gennaio 2016, con il tema “Superare l’indifferenza e conquistare la pace”. Il Santo Padre, con il suo Messaggio ha chiesto a tutte le persone di buona volontà “…di riflettere sul fenomeno della “globalizzazione dell’indifferenza”, che è la causa di tante situazioni di violenza e ingiustizia”. Mentre durante un incontro con alcuni ambasciatori non residenti, accreditati presso la Santa Sede, svoltosi nel maggio 2018, papa Francesco ha trattato di nuovo l’argomento della “globalizzazione dell’indifferenza”. Rivolgendosi ai partecipanti all’incontro il Pontefice ha detto: “Quest’anno, che segna il settantesimo anniversario dell’adozione, da parte delle Nazioni Unite, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, dovrebbe servire da appello per un rinnovato spirito di solidarietà nei riguardi di tutti i nostri fratelli e sorelle, specialmente di quanti soffrono i flagelli della povertà, della malattia e dell’oppressione”. Aggiungendo anche che “…Nessuno può ignorare la nostra responsabilità morale a sfidare la globalizzazione dell’indifferenza, il far finta di niente davanti a tragiche situazioni di ingiustizia che domandano un’immediata risposta umanitaria.”. Nell’ambito della Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato, il 29 settembre 2019, nel suo Messaggio papa Francesco ha scritto: “Le società economicamente più avanzate sviluppano al proprio interno la tendenza a un accentuato individualismo che, unito alla mentalità utilitaristica e moltiplicato dalla rete mediatica, produce la globalizzazione dell’indifferenza.”.

    Chi scrive queste righe è convinto che bisogna riflettere su quanto sta dicendo e denunciando da anni papa Francesco, E cioè sia sulla “terza guerra mondiale a pezzetti”, sia sulla “globalizzazione dell’indifferenza”. Chi scrive queste righe è convinto che si tratta di necessarie riflessioni per evitare il peggio e pensa anche a quanto ha scritto Ambrose Bierce sulle riflessioni. Secondo lui si tratta di un “processo mentale attraverso il quale raggiungiamo una visione più chiara del nostro rapporto con gli avvenimenti del passato e che ci mette in grado di evitare pericoli che non incontreremo mai più sul nostro cammino”. Perché, come scritto nell’Antico Testamento, Siracide (32;19) “Non far nulla senza riflessione, alla fine dell’azione non te ne pentirai.

  • La saggezza come prezioso valore dell’umanità

    La saggezza non è un prodotto dell’istruzione ma

    del tentativo di acquisirla, che dura tutta la vita.

    Albert Einstein

    C’era una volta, tanti anni fa, un regno dove gli abitanti vivevano a lungo. Così racconta la favola. Il che non piaceva però al re. Chissà perché? Ma la favola non ce lo racconta. Ci racconta invece che preoccupato, ma anche determinato, il re decise di porre fine a questa faccenda. E scelse un modo crudele per farlo. Radunò i suoi sudditi e proclamò loro la sua decisione. Chiunque avesse anziani in casa, li doveva portare sulla montagna, dove c’era un profondo precipizio. Nessuno escluso: genitori, zie e zii e, ovviamente, anche i nonni, se ce n’erano. Una volta portati sull’orlo del precipizio dovevano buttare giù i loro cari.  E che tutti lo sapessero però: chi non ubbidiva alla decisione del re avrebbe avuto la stessa morte crudele. Questo sanciva l’ordine del re. Tutti i sudditi furono sconvolti e si spaventarono per una simile decisione che era anche un’ordine perentorio. Come potevano buttare nel precipizio i loro buoni e premurosi nonni e nonne, zie e zii e, soprattutto, i loro cari genitori? Ma impauriti per le loro proprie vite, ubbidirono a malincuore all’ordine del re. Così tutti coloro che avevano degli anziani a casa, costretti dalla paura per le proprie vite, portarono sulla montagna e fecero scivolare nel profondo precipizio i loro cari anziani. Tutti tranne uno. Era un giovane coraggioso che viveva con i suoi genitori che amava e rispettava sopra ogni altra cosa ed essere umano.  Il giovane decise di non ubbidire all’ordine del re. E per sfuggire a qualsiasi controllo, ma anche agli occhi indiscreti dei vicini, nascose i suoi cari genitori in un angolo buio della cantina. Premuroso, ma anche molto attento, si prendeva cura di loro e portava da bere e da mangiare quello che poteva, senza farli però uscire da lì. Facendo così tutto il possible per alleviare le loro sofferenze causate da quella vita vissuta in quel angolo buio della cantina.

    Passarono mesi da quando il re prese quella crudele decisione e spartì quel suo ordine perentorio. Ma un giorno il re radunò di nuovo i suoi sudditi e diede loro un altro ordine. Chi di loro, l’indomani mattina, sarebbe stato il primo ad annunciare al re il momento esatto in cui sarebbe spuntato il sole, sarebbe stato premiato ed avrebbe avuto doni dal re. Ma se, invece, nessuno di loro fosse riuscito ad annunciare il momento esatto del sorgere del sole sulla montagna, allora tutti sarebbero stati puniti con una tremenda punizione: il taglio della testa. Questo ci racconta la favola. I sudditi, conoscendo la malizia del re, si sentirono subito molto minacciati ed una grande ansia si impadronì di loro. E come tutti anche il giovane. Tornò preoccupato a casa, scese in cantina e raccontò tutto al padre. Questi, una volta ascoltato quanto gli disse il figlio, accorgendosi anche del suo timore, lo tranquillizzò con un convincente sorriso. E poi gli disse quello che doveva fare l’indomani prima che il sole sorgesse. Mentre tutti gli altri avrebbero cercato di vedere il sorgere del sole volgendosi a levante, gli consigliò di fissare invece le cime delle montagne a ponente. Il figlio si stupì sentendo il consiglio del padre. Perciò, non nascondendo il suo stupore, gli chiese di nuovo perché doveva guardare verso ponente, mentre il sole, si sa, sorgeva a levante. Allora il padre spiegò al figlio la ragione. E cioè che i primi raggi, mentre il sole sorgeva da dietro la montagna, prima di farsi vedere dai sudditi radunati fuori le mura del castello del re, sarebbero andati ad illuminare le cime delle montagne che si trovano proprio a ponente. Ecco perché lui, suo figlio, doveva guardare quelle cime, per poter accorgersi prima di tutti che il sole stava sorgendo e subito dire questo al re. E così facendo, lui non solo avrebbe avuto i doni promessi dal re, ma, soprattutto, avrebbe salvato le vite di tutti gli altri. Di coloro che, l’indomani, avrebbero cercato di vedere per primi i saggi del sole, guardando verso levante.

    E l’indomani, quando era ancora notte, tutti i sudditi si radunarono come aveva ordinato il re. Era presente anche lui come giudice indiscusso per godere la sfida lanciata, sicuro che nessuno sarebbe stato in grado di annunciare il giusto momento del sorgere del sole. E mentre il buio si stava pian piano diradando ed il chiarore dell’alba del nuovo giorno stava prendendo il suo posto, tutti, sulle punte dei piedi, guardavano verso la cima della montagna a levante. Invece il giovane, seguendo il consiglio del suo padre guardava nella direzione opposta, le cime delle montagne a ponente. Ed ecco, i primi raggi del sole che stava sorgendo da dietro la montagna sulla cui cima tutti stavano guardando, illuminarono proprio quelle cime. Appena il giovane vide le cime illuminate delle montagne a ponente, annunciò al re che il sole era sorto. Tutti si girarono, guardando il giovane che stava mostrando con il dito le cime delle montagne e videro, anche loro, le cime illuminate. Allora il re, a malincuore, diede ragione al giovane e lo proclamò vincitore della maligna sfida che lui, il re, aveva lanciato a tutti un giorno prima. Ma incredulo alle capacità del giovane che aveva dimostrato una simile saggezza chiese a lui di raccontare da chi aveva avuto consiglio. E se non gli avesse detto la verità giurò che lo avrebbe ucciso subito. Allora il giovane coraggioso raccontò al re la verità. Raccontò che mentre tutti, seguendo il suo ordine, avevano buttato nel precipizio i loro genitori e tutte le persone anziane che avevano in casa, lui invece aveva nascosto i suoi genitori nell’angolo buio della cantina. Ed era stato proprio suo padre che gli aveva consigliato cosa doveva fare per annunciare per primo il sorgere del sole. Allora il re, in cuor suo, si sentì in colpa e si pentì per la sua crudele e perfida decisione e per l’ordine di uccidere tutte le persone anziane, buttandole nel precipizio della montagna. Perciò revocò subito quell’ordine. Ovviamente nelle favole, non di rado possono accadere cose del genere e si verificano anche simili cambiamenti di carattere dei personaggi. Re compresi. Ma da allora in poi però, in quel regno, tutti gli anziani rimanevano in vita finché lo decideva il Signore. Così finisce la favola chiamata “La saggezza degli anziani”. Una favola che l’autore di queste righe l’ha sentita raccontare, quando era piccolo, dalla sua nonna paterna che conosceva molte favole e le sapeva raccontare molto bene.

    E come da tutte le favole, anche da questa c’è molto da imparare. Si, perché l’esperienza millenaria dell’umanità ci insegna, tra l’altro, che la saggezza umana, soprattutto quella degli anziani che hanno una lunga esperienza di vita vissuta, di sofferenze, ma anche di meritati e buoni risultati ottenuti, rappresenta un prezioso valore. La saggezza umana, quella acquisita dall’essere umano in tutte le parti del mondo e tramandata, arricchita in contenuti, da una generazione all’altra è e sarà sempre un inestimabile tesoro che bisogna custodirlo con molta cura.

    Purtroppo il 31 dicembre scorso, mentre nel mondo tutti aspettavano l’arrivo dell’anno nuovo e si stavano preparando, secondo le proprie usanze e possibilità, a festeggiare, il mondo ha perso una persona saggia e di valore. Ha perso una persona colta, ma anche sobria, umile e consapevolmente discreta. Ha perso una persona che rispettava il prossimo, nonostante non condividessero le stesse opinioni, le stesse convinzioni e le stesse credenze. Ha perso una persona che preferiva ascoltare prima di parlare. Ha perso una persona che ha dimostrato di riconoscere le sue responsabilità e di prendere, convinto e determinato, delle decisioni molto difficili, al limite dell’inimmaginabile. Il 31 dicembre scorso ha lascito questo mondo Joseph Ratzinger, il Papa emerito Benedetto XVI. La grave notizia è stata resa pubblica dal direttore della Sala stampa della Santa Sede. Papa Francesco durante il Te Deum di ringraziamento per l’anno appena trascorso, in seguito alla triste notizia, ha detto commosso: “Parlando della gentilezza, in questo momento, il pensiero va spontaneamente al carissimo Papa emerito Benedetto XVI, che questa mattina ci ha lasciato. Con commozione ricordiamo la sua persona così nobile, così gentile. E sentiamo nel cuore tanta gratitudine”. Mentre nel “Rogito per il pio transito di sua santità Benedetto XVI, Papa emerito”, pubblicato il 5 gennaio 2023, proprio il giorno del suo funerale, si leggeva: “Nella luce di Cristo risorto dai morti, il 31 dicembre dell’anno del Signore 2022, alle 9,34 del mattino, mentre terminava l’anno ed eravamo pronti a cantare il Te Deum per i molteplici benefici concessi dal Signore, l’amato Pastore emerito della Chiesa, Benedetto XVI, è passato da questo mondo al Padre”. Nello stesso Rogito si citava anche il testo della dichiarazione in latino, fatto l’11 febbraio 2013 da Papa Benedetto XVI, quando ha dichiarato la sua rinuncia come successore di San Pietro. Un atto quello che ha suscitato tanto sgomento e molte discussioni. Un atto però che ha dimostrato una grande responsabilità, ha testimoniato la piena consapevolezza, nonché la sofferenza di Papa Benedetto XVI nel prendere una simile ed insolita decisione, più unica che rara. Responsabilità e consapevolezza dovute anche alla grande saggezza accumulata negli anni del santo Padre. Durante il Concistoro di quel 11 febbraio 2013 egli ha dichiarato: ”…Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando”. Ed era convinto che “… per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato”. Per poi annunciare la sua difficile, insolita ed del tutto inattesa decisione: “Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005”.

    Nella sera del 31 dicembre scorso, dopo la morte del Papa emerito, è stato pubblicato dalla Sala stampa della Santa Sede anche il suo “Testamento spirituale”. Testamento che comincia con le seguenti parole: “Se in quest’ora tarda della mia vita guardo indietro ai decenni che ho percorso, per prima cosa vedo quante ragioni abbia per ringraziare”. Ed in seguito il Papa emerito ringrazia “prima di ogni altro Dio stesso”. Poi ringrazia i suoi genitori, coloro che, come egli scrive “…mi hanno donato la vita in un tempo difficile e che, a costo di grandi sacrifici, con il loro amore mi hanno preparato una magnifica dimora che, come chiara luce, illumina tutti i miei giorni fino a oggi”. Ringrazia Dio per i tanti amici che “Egli mi ha sempre posto a fianco”. Lo ringrazia anche per la sua “bella patria nelle Prealpi bavaresi”, così come per “…il bello che ho potuto sperimentare in tutte le tappe del mio cammino”. Ma il Papa emerito nel suo “Testamento spirituale” chiede anche perdono. “A tutti quelli a cui abbia in qualche modo fatto torto, chiedo di cuore perdono”. Molto significative queste parole. Si potrebbe scrivere molto altro sulla vita e sull’opera di Papa emerito Benedetto XVI. Ma l’autore di queste righe ha scelto una frase del suo successore, di Papa Francesco, pronunciata sul volo di ritorno da Rio de Janeiro nel luglio del 2013. Per lui la presenza di Papa emerito in Vaticano era come “avere il nonno in casa”, ma “il nonno saggio” da amare ed ascoltare. Un nonno saggio!

    Chi scrive queste righe è convinto che la saggezza rappresenta un prezioso valore dell’umanità. La saggezza che matura con gli anni come il buon vino. La saggezza, portatori della quale sono soprattutto gli anziani. E questa indiscussa verità la capì infine anche il malvagio re della favola “La saggezza degli anziani”. Proprio quella saggezza che ci insegna anche a saper ascoltare. Ascoltare senza parlare. Ascoltare con pazienza. Ascoltare per poi capire meglio. La saggezza che non è un prodotto dell’istruzione, ma del tentativo di acquisirla, che dura tutta la vita.

  • Ci mancava Monsignor Georg

    In Ucraina la popolazione continua ad essere falcidiata dalla scellerata guerra di Putin ed in Russia altri civili sono sterminati dal tiranno che impone loro di travestirsi da soldati per andare a morire al fronte.

    Gli Stati che devono aiutare la difesa Ucraina, anche per difendere la loro stessa libertà, sono poco tempestivi nel fare arrivare concretamente gli aiuti militari  promessi.

    In Europa le istituzioni sono messe a dura prova dagli scandali legati alla corruzione e le attività di spionaggio, controinformazione, si mischiano pericolosamente con gli affari illeciti.

    In Iran ogni giorno assistiamo, come sempre impotenti, alle stragi di giovani, la comunità internazionale, il cosiddetto ONU, non ha alcuna capacità di intervento.

    Negli Stati Uniti ci sono volute 15 votazioni per eleggere lo speaker della Camera e le fratture aumentano.

    In Afghanistan ogni giorno la fame e l’ingiustizia, la privazione di ogni forma di libertà che le donne devono subire, ci ricordano gli errori dei 10 anni nei quali siamo stati inutilmente in quel Paese e quanto sia stato miope non concedere al comandante Massud gli aiuti che chiedeva per combattere i talebani.

    Kim Jong-un, il satrapo della Corea del Nord, lancia missili nucleari dove gli pare, il Messico è al centro dell’alta finanza del narcotraffico mondiale e l’arresto di El Chapo junior sta scatenando una vera guerra.

    In Africa e Medio Oriente si trascinano da anni violenze e battaglie tra stati, religioni e organizzazioni terroriste mai sgominate, dall’Isis agli Shabaab ed al Qaeda, la carestia e la siccità mietono continue vittime e non si fermano gli esodi, le fughe disperate di coloro che cercano di arrivare in Europa e spesso muoiono in mare o sulla sciagurata strada dei Balcani.

    Non dovrebbero lasciare indifferenti le varie realtà sudamericane dove popolazioni, come quella venezuelana, sono allo stremo per indigenza.

    Ovunque gli hacker ormai possono colpire, banche, ministeri, ospedali, sistemi informatici che dovrebbero custodire i dati più sensibili di ogni paese, sono tutti violabili perché il progresso, sposato in modo acritico, ha fatto utilizzare la rete senza regole e senza antidoti,ha messo ciascuno di noi, come individui e come Stato, nelle mani di qualunque pirata, delinquente o megalomane, basta avere gli strumenti e tutto può essere violato, nessuno è più sicuro neppure in casa propria, alla faccia di quelle buffonate che sono chiamate sicurezza informatica e privacy.

    La violenza nei giovani, negli adolescenti è ancora più presente che negli adulti, la libertà incondizionata è diventata sopruso, senza empatia, senza riferimenti affettivi, senza valori da preservare e mete autentiche da raggiungere. L’isolamento dei singoli si manifesta in una asocialità tra persone ed in una esasperata ricerca di contatti social che nulla hanno più a che fare con la capacità di relazionarsi. Tutti chiusi in noi stessi troviamo il vuoto perché il pensiero, l’autocritica, la fantasia costruttiva, il rispetto di se e degli altri sono solo un ricordo del passato, un ricordo che va cancellato secondo una certa parte dell’intellighenzia. Così dal doveroso, giusto rispetto per il diverso si è arrivati a fare proselitismo perché la diversità diventi dominante, se non ti senti sufficientemente soddisfatto di quello che sei puoi cambiare sesso, inventarti una nuova falsa identità, drogarti fino allo stremo o quel tanto sufficiente, ogni giorno, per reggere allo stress di aver rifiutato i normali strumenti che aiutano a conoscersi ed ad affrontare la vita.

    Troppe religioni storiche confondono la spiritualità con l’interesse e l’interesse genera violenza e sopruso, basta pensare a Kirill, a quegli imam che incitano all’uccisione di chi non è musulmano o a quegli importanti prelati che hanno usato i beni della chiesa per il proprio arricchimento e piacere mentre proliferano sempre nuove, pericolose sette.

    Alla confusione che regna sovrana ovunque nel mondo, confusione in politica, nell’economia, nella società, nella sfera privata, e anche nelle nella religione ci mancava solo Monsignor Georg che sulla salma di Papa benemerito Benedetto XVI sponsorizza il suo libro.

  • Cercando un segno

    Papa Benedetto XVI è morto oggi 31 dicembre, ultimo giorno di un anno terribile che si conclude con la morte del primo pontefice che, coscientemente, ha scelto di diventare Papa emerito lasciando aperta la strada ad un nuovo percorso della Chiesa che sarà annunciato con l’ascesa al pontificato di Papa Francesco.

    La nostra preghiera accompagni il percorso di Benedetto dandogli quella serenità che cercava.

    L’anno terribile si conclude con questo lutto per il mondo cattolico e non solo, un’altra morte in un anno di tragedie per gli ucraini trucidati da Putin, per le migliaia di cristiani martirizzati in troppe parti del mondo, per le donne ed i bambini vittime di violenze inaudite e spesso mortali, per i giovani iraniani ed afgani ai quali la libertà e la giustizia è da troppo tempo negata.

    È lungo l’elenco di quanti avvenimenti nefasti, negativi, dolorosi si sono succeduti in questo 2022, non ultimo la grande corruzione che, a partire da Bruxelles, ancora corrode la società e la democrazia.

    Continuando ostinatamente ad avere speranza e a cercare dei segni vogliamo pensare che Papa Benedetto  sia salito al Padre, proprio oggi, come per dare un segno: con questo anno che finisce con la morte del Papa benemerito ritroviamo la forza di farci ciascuno promotore di giustizia e di pace, perché non c’è pace senza giustizia. Ritroviamo la forza di distinguere tra quanto è necessario e quanto è superfluo dedicando un po’ del nostro a chi non ha nulla, riproviamo a riformare anche le nostre coscienze tornando a distinguere ciò che è giusto da quanto è sbagliato, ritroviamo l’empatia  perduta, l’affetto ed il rispetto per noi stessi e per gli altri perché ogni altro rappresenta anche quello che siamo noi.

    Sia questa una preghiera non solo di parole.

  • Realtà che non si possono nascondere

    …Salvi le loro vite dalle mani di Satana, che vuole bruciare tutti gli esseri viventi.

    Da una lettera mandata il 18 aprile 2022 a Papa Francesco

    Dopo 54 giorni continua spietata la devastante e sanguinosa guerra in Ucraina. Era stata prevista, voluta, programmata, ordinata ed avviata nelle prime ore del 24 febbraio scorso. In Russia era ed è tuttora vietato parlare, scrivere, rapportare e fare riferimento a tutto ciò che sta accadendo in Ucraina, considerandolo per quello che realmente è: una guerra. Il 4 marzo scorso, il parlamento russo ha approvato una legge speciale, firmata alcune ore dopo dal presidente ed entrata in vigore in grande fretta il 5 marzo. Con quella legge si tenta di annientare ogni possibilità di evidenziare e denunciare  tutto quello che realmente sta accadendo in Ucraina dal 24 febbraio scorso. Si tratta di una legge che, come aveva dichiarato il dittatore russo durante un suo lungo discorso trasmesso in diretta televisiva nella serata del 23 febbraio, considera cinicamente e sarcasticamente l’aggressione russa e l’invasione dei territori ucraini come “un’operazione militare speciale”. Una legge che considera gli ucraini come dei “neonazisti’ e un “genocidio” tutto quello che si presume sia stato fatto alla popolazione russofona in Donbass. Per chi viola e/o si oppone a questa legge, che siano dei media, delle associazioni o dei singoli cittadini, sono previste ed attuate pene che vanno fino a 15 anni di carcere. La legge prevede il divieto assoluto di usare le parole “guerra” ed “invasione”. Si considera un “traditore”, che agisce contro “l’interesse nazionale,” chiunque non ubbidisce. Una legge che però non riuscirà mai ad alterare la vera, vissuta e drammaticamente sofferta realtà. Perché si tratta di una realtà che non si può offuscare, annientare e nascondere. Ormai, soprattutto nelle ultime settimane ed ogni giorno che passa, l’orrenda crudeltà della guerra, con tutte le sue drammatiche, inevitabili e comprensibili conseguenze, si sta svelando al mondo intero.

    Quanto sta accadendo in Ucraina dal 24 febbraio scorso è stato denunciato dalle massime autorità dei singoli Stati in tutto il mondo e dai massimi rappresentanti delle più importanti organizzazioni internazionali. Contro le crudeltà della guerra in Ucraina si sono convintamente schierati anche i massimi rappresentanti delle religioni. Eccezion fatta soltanto per il patriarca della Chiesa ortodossa russa, un convinto sostenitore del dittatore russo. Mentre Papa Francesco, in tutte le occasioni dal 24 febbraio scorso, è stato esplicito e perentorio contro la guerra, chiedendo e pregando per la pace in Ucraina. Anche domenica, durante il suo messaggio Pasquale, il Pontefice ha chiesto di smettere di “…mostrare i muscoli mentre la gente soffre”. Rivolgendosi a tutti, egli ha detto: “…non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a gran voce la pace!”. E per l’ennesima volta, rivolgendosi ai “grandi del mondo”, Papa Francesco ha ribadito determinato che “…Chi ha la responsabilità delle Nazioni ascolti il grido di pace della gente!”.

    L’indispensabilità di interrompere immediatamente e definitivamente questa spietata, sanguinosa e devastante guerra in Ucraina diventa un imperativo per tutti. Comprese le parti belligeranti; gli ucraini che si difendono e gli aggressori russi che hanno invaso i territori ucraini mietendo la morte tra gli inermi, innocenti ed indifesi cittadini, compresi i bambini, e causando ingenti danni materiali. Ovviamente non è facile per i cittadini ucraini dimenticare subito tutto. L’autore di queste righe, trattando per il nostro lettore le drammatiche conseguenze e sofferenze della crudeltà delle forze armate russe, ha espresso e condiviso la sua comprensione per i cittadini ucraini. Perché è molto difficile, se non impossibile, per una persona normale, dimenticare subito tanta crudeltà. Perché è molto difficile, se non impossibile, per una persona normale, perdonare “…coloro che hanno goduto delle drammatiche sofferenze causate dalla loro spietata crudeltà”. Riferendosi a coloro, tra ufficiali e soldati delle forze armate russe, che hanno le mani impregnate di sangue innocente, l’autore di queste righe si chiedeva: “Come possano gli ucraini, che hanno perso i propri cari per la crudeltà dei russi, chiedere perdono per loro?!” (Le drammatiche sofferenze della crudeltà; 11 aprile 2022). La necessità di porre fine alla spietata e sanguinosa guerra, ma anche la comprensione delle reazioni dei cittadini ucraini, devono essere trattate, da chi di dovere, con la dovuta e saggia pazienza e responsabilità. Per affrontare e trattare con lungimiranza e saggezza determinate realtà che non si possono nascondere. Ma anche non si devono nascondere.

    Una significativa dimostrazione di una simile situazione, vissuta realmente, responsabilmente ed emotivamente è stata evidenziata la scorsa settimana. In occasione delle preparazioni fatte per la celebrazione della Via Crucis, la sala stampa della Santa Sede ha pubblicato, all’inizio della scorsa settimana, il libretto con le meditazioni e le preghiere da essere recitate durante la cerimonia svolta nel pieno centro di Roma, intorno al Colosseo. Si tratta di un evento molto seguito in tutto il mondo. Compresa l’Ucraina. E si tratta di un evento che riprende tutto intero ed in presenza di migliaia di cittadini, dopo due anni di impedimenti dovuti alla pandemia. Secondo quanto pubblicato dalla Santa Sede, nella tredicesima stazione, intitolata “La morte intorno”, come un significativo segno di riconciliazione, la croce dovevano portarla due donne ed amiche: un’infermiera ucraina ed una studentessa russa in infermieristica. È la stazione dedicata agli ultimi momenti di vita terrena di Gesù crocifisso che, rivolgendosi a suo Padre, poco prima di morire “…gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?”. Che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Vangelo secondo Marco; 15/33,34). La stazione rappresenta il simbolismo della deposizione dalla croce di Gesù. Durante la camminata delle due portatrici della croce era stato previsto che si leggesse una meditazione scritta, secondo il direttore della sala stampa vaticana, da due famiglie: una ucraina ed una russa. Ebbene, subito dopo essere stato reso noto il testo della meditazione, in Ucraina si sono verificate delle polemiche e delle contestazioni in seguito a questa decisione. Contestazioni che hanno suscitato sconcerto e reazioni di protesta in merito, generando così anche un incidente diplomatico. A presentare ufficialmente la protesta sono state sia l’ambasciata ucraina presso la Santa Sede, sia la Chiesa cattolica ucraina. Rendendo chiaro anche la ragione che si riferiva alla decisione di Papa Francesco di chiamare due donne, una russa e una ucraina, per portare insieme la croce alla XIII stazione della passione, in segno di riconciliazione. Ma nonostante le polemiche suscitate, la Santa Sede ha deciso che la croce fosse tenuta dalle due donne ed amiche, una ucraina e l’altra russa. C’è stato però anche un significativo cambiamento nel programma prestabilito, reso pubblico all’inizio della scorsa settimana. Invece della lettura dell’intero testo della meditazione, è stato scelto e deciso il silenzio. Il direttore della sala stampa vaticana ha dichiarato che “…si tratta di un cambiamento previsto che limita il testo al minimo per affidarsi al silenzio della preghiera”. Mentre il giornalista, che da anni legge i testi della Via Crucis, ha detto che “…di fronte alla morte, il silenzio è più eloquente delle parole. Sostiamo pertanto in un silenzio orante e ciascuno nel proprio cuore preghi per la pace nel mondo”. Ma neanche dopo la decisione di non leggere per intero il testo preparato e precedentemente pubblicato della meditazione alla tredicesima stazione della Via Crucis in Ucraina molti media e diverse testate televisive, comprese anche quelle nazionali, non hanno trasmesso la cerimonia della Via Crucis. Il Servizio di Informazione Religiosa Ucraina, affiliata alla Chiesa greco-cattolica, in una sua dichiarazione ufficiale, ha chiarito che “…Gli ucraini ritengono che gesti di riconciliazione siano possibili solo dopo la fine della guerra e il pentimento dei russi”. Viste le reazioni suscitate dalla decisione di far portare la croce nella tredicesima stazione della Via Crucis a due donne ed amiche, una ucraina e l’altra russa, nonché il testo della meditazione scritto da due famiglie scelte dalla Santa Sede, anche esse una ucraina e l’altra russa, Papa Francesco dopo la fine della cerimonia, rivolgendosi al Signore onnipotente ha pregato: “…converti al tuo cuore i nostri cuori ribelli, perché impariamo a seguire progetti di pace; porta gli avversari a stringersi la mano, perché gustino il perdono reciproco; disarma la mano alzata del fratello contro il fratello, perché dove c’è l’odio fiorisca la concordia”.

    Al nostro lettore potrebbe venire naturale la domanda: qual è il testo della meditazione scritto dalle due famiglie, che si doveva leggere mentre le due donne, una ucraina e l’altra russa, portavano la croce insieme? Testo che poi non è stato letto, sostituito dal silenzio della preghiera. La sala stampa della Santa Sede ha pubblicato tutto il testo nell’apposito libretto, reso noto all’inizio della scorsa settimana. Essendo un testo scritto da due famiglie, una ucraina e l’altra russa, due famiglie che, in teoria, dovrebbero essere “avversarie e nemiche”, il testo non poteva non fare riferimento alla guerra in corso e alle sue orrende, atroci, crudeli e soffertissime conseguenze. Il testo evidenziava “La vita che sembra perdere di valore”. E poi continuava, affermando che “Tutto cambia in pochi secondi. L’esistenza, le giornate, la spensieratezza della neve d’inverno, l’andare a prendere i bambini a scuola, il lavoro, gli abbracci, le amicizie… tutto. Tutto perde improvvisamente valore”. Poi il testo proseguiva: “…Dove sei Signore? Dove ti sei nascosto? Vogliamo la nostra vita di prima”. Sono naturali ed espressione dei sacrosanti diritti degli esseri umani anche le seguenti domande rivolte a Dio: “Perché tutto questo? Quale colpa abbiamo commesso? Perché ci hai abbandonato? Perché hai abbandonato i nostri popoli? Perché hai spaccato in questo modo le nostre famiglie? Perché non abbiamo più la voglia di sognare e di vivere? Perché le nostre terre sono diventate tenebrose come il Golgota?”. La meditazione scritta dalle due famiglie, una ucraina e l’altra russa, dedicata alla tredicesima stazione della Via Crucis continuava, ribadendo che “Le lacrime sono finite. La rabbia ha lasciato il passo alla rassegnazione. Sappiamo che Tu ci ami, Signore, ma non lo sentiamo questo amore e questa cosa ci fa impazzire. Ci svegliamo al mattino e per qualche secondo siamo felici, ma poi ci ricordiamo subito quanto sarà difficile riconciliarci”. E poi, dopo la naturale e sentita domanda “Signore dove sei?” la meditazione della tredicesima stazione si chiude con la preghiera: “Parla nel silenzio della morte e della divisione ed insegnaci a fare pace, ad essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare”. Questo è stato il contenuto del testo della meditazione dedicata alla tredicesima stazione della Via Crucis non letto, in seguito alle contestazioni e le polemiche che hanno suscitato delle reazioni di protesta in Ucraina e che sono state presentate ufficialmente sia dall’ambasciata ucraina presso la Santa Sede, sia dalla Chiesa cattolica ucraina.

    Nel frattempo continuano i bombardamenti e gli attacchi missilistici in varie città ucraine. Anche oggi sono state fatte altre denunce di altrettante atrocità della guerra in Ucraina. Proprio poche ore fa è stato reso noto ufficialmente che solo nella regione di Kiev “…sono stati rimossi quasi 16mila ordigni esplosivi (esattamente 15.993) dopo l’occupazione russa, tra cui 661 nelle ultime ventiquattro ore”. Mentre l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha affermato oggi che “Sono quasi cinque milioni le persone che hanno lasciato l’Ucraina dall’aggressione militare lanciata dalla Russia lo scorso 24 febbraio”.

    Chi scrive queste righe ha semplicemente scelto oggi di riportare, per il nostro lettore, quanto ha scritto poche ore fa il comandante della 36ma brigata dei marines ucraini, assediati a Mariupol. Nella sua lettera indirizzata a Papa Francesco egli chiedeva il supporto del Santo Padre “per salvare la popolazione civile allo stremo nella città”. Ed in seguito scriveva che “è giunto il momento in cui solo le preghiere non bastano più. Aiuti a salvarli. Porti la verità nel mondo, aiuti ad evacuare le persone e salvi le loro vite dalle mani di Satana, che vuole bruciare tutti gli esseri viventi”.

  • Le drammatiche sofferenze della crudeltà

    La gente spesso parla di crudeltà ‘bestiale’ dell’uomo,

    ma questo è terribilmente ingiusto e offensivo per le bestie.

    Fëdor Dostoevskij

    Era proprio convinto Fëdor Dostoevskij, uno dei più noti scrittori russi, che la gente spesso parla di crudeltà ‘bestiale’ dell’uomo, ma questo è terribilmente ingiusto e offensivo per le bestie. Era convinto della crudeltà degli uomini, dalla sua vissuta e sofferta esperienza personale, l’autore di molti famosi romanzi letti ed apprezzati in tutto il mondo. Una condanna a morte, a soli 28 anni, per la sua partecipazione a società segreta a scopi sovversivi contro lo zar Nicola I ha segnato la sua vita. Una condanna in seguito commutata, senza che lui lo sapesse, in lavori forzati in Siberia. Una grazia, quella dello zar, coperta di crudeltà. Una diabolica decisione per farlo soffrire fino al ultimo momento quando, salito sul patibolo, gli comunicarono la grazia dello zar. Dostoevskij descrive maestosamente quella opprimente e traumatica sensazione che prova colui che attende di subire, a breve, la sua condanna a morte. Lo fa esprimere dal principe Myškin, personaggio di un suo noto romanzo, L’idiota. “…A chi sa di dover morire, gli ultimi cinque minuti di vita sembrano interminabili, una ricchezza enorme. In quel momento nulla è più penoso del pensiero incessante: se potessi non morire, se potessi far tornare indietro la vita, quale infinità! E tutto questo sarebbe mio! Io allora trasformerei ogni minuto in un secolo intero, non perderei nulla, terrei conto di ogni minuto, non ne sprecherei nessuno!”. Era molto convinto l’autore dei romanzi Povera gente, Umiliati e offesi, L’idiota, Delitto e castigo, I demoni, I fratelli Karamazov e tanti altri ancora della crudeltà ‘bestiale’ dell’uomo e delle sue drammatiche sofferenze. Perciò, dopo aver constatato che “la gente spesso parla di crudeltà ‘bestiale’ dell’uomo, ma questo è terribilmente ingiusto e offensivo per le bestie”, Dostoevskij spiega anche la ragione: “…perché un animale non potrebbe mai essere crudele quanto un uomo, crudele in maniera così artistica e creativa”.

    Il 10 aprile Papa Francesco ha presieduto in piazza San Pietro la celebrazione della Domenica delle Palme. Una ricorrenza importante per la religione cattolica, che descrive l’ingresso a Gerusalemme di Gesù. Dall’evangelista Marco ci viene testimoniato che Gesù entrò a Gerusalemme mentre molti ebrei “…stendevano i propri mantelli sulla strada e altri delle fronde che avevano tagliate dai campi. Quelli poi che andavano innanzi, e quelli che venivano dietro gridavano: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!” (Vangelo secondo Marco; 11; 8-10). Gli stessi ebrei però, soltanto una settimana dopo, ebbero due diversi comportamenti. Non pochi di essi credettero ai capi e ai farisei e insieme con loro volevano la morte per crocifissione di Gesù. Mentre gli altri dovettero assistere silenziosi alla sua crocifissione. Questo ci insegnano le Sacre Scritture. Durante l’omelia della messa di domenica scorsa in piazza San Pietro, Papa Francesco, parlando delle conseguenze dell’uso cieco, spietato, sproporzionato e crudele della violenza, ha ribadito che “…Si dimentica perché si sta al mondo e si arriva a compiere crudeltà assurde. Lo vediamo nella follia della guerra, dove si torna a crocifiggere Cristo”. Parole forti e molto significative quelle del Santo Padre, che si riferiva alla sanguinosa e devastante guerra in Ucraina e alle sue atrocità.

    Sono ormai passati 47 giorni dal 24 febbraio scorso, quando le truppe militari russe cominciarono l’invasione dell’Ucraina. Mettendo così in atto una vera e propria sanguinosa guerra che si è, in seguito, diffusa su tutto il territorio ucraino. Una guerra che, nonostante il dittatore russo l’avesse classificata come “un’operazione speciale”, ha devastato e raso al suolo intere città e centri abitati. Una guerra che, secondo i dati ufficiali di oggi, pubblicati dall’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha causato la spietata morte di 1.793 inermi ed innocenti cittadini ucraini, mentre 2.439 altri sono rimasti feriti. Solo nella regione di Kiev sono 1.222 i cittadini uccisi dalle forze armate russe, secondo quanto ha dichiarato oggi il procuratore generale ucraino. Una sanguinosa e spietata guerra in Ucraina che ha barbaramente tolto la vita a 183 indifesi bambini, mentre 342 altri sono stati feriti. Lo rapporta oggi la commissaria per i diritti umani del Parlamento ucraino. Ragion per cui, come ha dichiarato ieri il procuratore generale ucraino, sono state aperte più di 5.600 indagini sui crimini di guerra russi contro inermi cittadini ucraini. Sono tante, tantissime le crudeltà degli invasori russi, documentati e rapportati da fonti ufficiali ucraini e/o internazionali, nonché dagli inviati dei giornali e delle televisioni di diversi Paesi del mondo. Dopo quanto è stato rapportato dal 3 aprile scorso sullo spietato massacro nella cittadina di Bucha, vicino a Kiev, molte altre documentate testimonianze, non solo da Bucha, ma anche da altre città e centri abitati in Ucraina, sono ormai di dominio pubblico. Il presidente ucraino denunciava il 5 aprile scorso che “…il numero delle vittime degli occupanti potrebbe essere ancora più alto a Borodyanka e in alcune altre città liberate che a Bucha”. Aggiungendo che il bilancio di Bucha è solo provvisorio e denunciando torture e l’uccisione di oltre trecento persone, essendo però secondo lui “…. probabile che l’elenco delle vittime sarà molto più ampio quando verrà ispezionata l’intera città. E questa è solo una città”. Evidenziando e denunciando la stessa crudeltà, gli stessi modi di barbare esecuzioni dei civili, con le mani legate dietro la schiena, gli stupri, ed altro, il presidente ucraino lo ha considerato quello degli invasori russi come “Il disprezzo totale per la vita dei civili”. Sempre riferendosi alle crudeltà degli invasori russi sugli inermi, innocenti ed indifesi cittadini, il presidente ucraino dichiarava il 5 aprile scorso che “…In molti villaggi dei distretti liberati di Kiev, Chernihiv e Sumy, gli occupanti hanno fatto cose che la gente del posto non ha visto nemmeno durante l’occupazione nazista 80 anni fa”. Ragion per cui oggi una squadra della gendarmeria francese è arrivata a Leopoli, nell’Ucraina occidentale, per collaborare con le strutture specializzate locali sui presunti crimini di guerra commessi dalle forze armate russe nella regione di Kiev. Lo ha annunciato oggi pomeriggio l’ambasciatore francese in Ucraina. Mentre il ministro degli Esteri ucraino ha dichiarato ieri che “…Bucha non è il risultato di un giorno. Per anni le élite russe e la propaganda hanno incitato all’odio, alimentando idee sulla superiorità russa, la disumanità degli ucraini e gettando le basi per queste atrocità. Io incoraggio gli studenti di tutto il mondo a studiare che cosa ha portato a Bucha”. Dopo 47 giorni si continua a combattimenti, bombardamenti, spietati massacri e inaudite crudeltà, la realtà vissuta e sofferta in Ucraina è di dominio pubblico e non la può alterare, offuscare ed annientare qualsiasi sforzo, bugia ed inganno della propaganda russa. Proprio oggi il presidente ucraino ha dichiarato che i russi, e si riferiva ai massimi vertici istituzionali, il dittatore russo per primo, hanno “…perso la connessione con la realtà fino al punto di accusare noi di aver commesso quello che le truppe russe hanno ovviamente fatto”. Il presidente ucraino in seguito ha aggiunto, perentorio, che “…Quando le persone non hanno il coraggio di ammettere i propri errori, scusarsi, adattarsi alla realtà, imparare, diventano mostri. E quando il mondo lo ignora, i mostri decidono che il mondo si debba adattare a loro”. Si tratta di una sanguinosa guerra quella che ha ordinato la sera del 23 febbraio scorso il dittatore russo, presentandola però come “un’operazione speciale” e cominciata alcune ore dopo, nella mattinata del 24 febbraio. Una guerra che, oltre alle tantissime vittime e feriti, oltre a degli ingenti danni materiali, ha costretto più di 4,5 milioni di cittadini ucraini a lasciare il Paese come è stato rapportato ieri, 10 aprile, dall’agenzia Onu per i rifugiati.

    La guerra in Ucraina non ha risparmiato neanche diversi patrimoni culturali. Secondo il ministero della Cultura e delle Politiche dell’informazione ucraina sono stati evidenziati e documentati 166 siti culturali distrutti o danneggiati. Proprio oggi il ministro della cultura ucraino ha dichiarato che “…Attualmente conserviamo registri ufficiali sul sito web del ministero. Si tratta di 166 siti del patrimonio culturale che sono stati distrutti o danneggiati durante l’invasione russa. Non sappiamo ancora di alcuni siti che si trovano nei territori completamente occupati”. Ma l’aggressione delle forze armate russe non ha risparmiato neanche gli ospedali. Il presidente ucraino ha dichiarato oggi, durante una videoconferenza con il Parlamento della Corea del sud, che “…i russi hanno distrutto centinaia di infrastrutture chiave in Ucraina, compresi 300 ospedali”. Ed è sempre di oggi la denuncia della commissaria per i diritti umani del Parlamento ucraino, secondo la quale “…i russi stanno obbligando i bambini delle aree temporaneamente occupate ad andare a scuola in zone ai limiti delle aree di combattimento.”. Sottolineando e, allo stesso tempo, denunciando che così facendo “…i bambini diventano così ostaggi e scudi umani per le truppe dell’aggressore russo”.

    Durante l’Angelus di ieri, nella Domenica delle Palme, Papa Francesco ha ribadito la necessità e l’impegno di chi di dovere perché “…si ripongano le armi e si inizi una tregua pasquale, ma non per ricaricare le armi e riprendere a combattere. […] Infatti, che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?”. Stranamente però e purtroppo, proprio ieri il patriarca ortodosso russo Kirill, convinto sostenitore del dittatore russo, ha pregato così: “In questo periodo difficile per la nostra patria, possa il Signore aiutare ognuno di noi a unirci, anche attorno al potere!”. In seguito ha aggiunto che “è così che emergerà la vera solidarietà nel nostro popolo, così come la capacità di respingere i nemici esterni e interni e di costruire una vita con più bene, verità e amore”! Mentre l’Arcivescovo di Kiev ha denunciato sempre ieri cheNella regione di Chernihiv, e precisamente nel villaggio Lukashivka, nella chiesa ortodossa dell’Ascensione del Signore – monumento di architettura – gli occupanti hanno dislocato la loro sede, profanando la chiesa ortodossa. Vi hanno interrogato e torturato le persone”. In seguito l’Arcivescovo ha affermato che “Oggi vicino a questo edificio sacro troviamo decine di corpi di ucraini innocenti assassinati […] Quelli che si proclamano cristiani ortodossi hanno profanato il tempio, e il tempio dove deve essere onorato il nome di Dio è stato trasformato in un luogo di tortura, umiliazione e omicidio”. Ragion per cui oggi i sacerdoti della Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca stanno raccogliendo firme per un appello al Consiglio dei primati delle antiche Chiese orientali per avviare “una causa contro il patriarca Kirill”.

    Chi scrive queste righe, nonostante avesse promesso di continuare ad analizzare gli argomenti della scorsa settimana, ha dovuto, non a caso, trattare oggi per il nostro lettore, le drammatiche conseguenze e sofferenze della crudeltà delle forze armate russe, da quando hanno cominciato l’invasione dei territori ucraini il 24 febbraio scorso. Riflettendo su quello che ha detto Papa Francesco durante l’omelia della messa la Domenica delle Palme in piazza San Pietro, egli non poteva non fermarsi e pensare su una frase citata dal Pontefice. Si tratta della preghiera che Gesù, crocifisso tra due ladri, rivolgeva ripetutamente a Dio. “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Vangelo secondo Luca, 23/34). Per chi scrive queste righe diventa però molto difficile, se non impossibile, che si possa chiedere perdono per coloro che volutamente hanno commesso i tremendi e orribili crimini durante queste settimane di guerra in Ucraina. Come si possa chiedere perdono per coloro che hanno goduto delle drammatiche sofferenze causate dalla loro spietata crudeltà?! Come possano gli ucraini, che hanno perso i propri cari per la crudeltà dei russi, chiedere perdono per loro?! Chi scrive queste righe si chiede dove è Dio? Perché non ha fermato tutta questa crudeltà bestiale dell’uomo? Dio dove sei? Perché hai abbandonato alla morte tante vittime inermi, innocenti e indifese in Ucraina?! Tutto il mondo deve gridare forte: Dio dove sei?!

  • Una preghiera per il Papa, una preghiera per noi

    Il Papa ci hai ricordato, chiesto, di pregare per Lui. Una preghiera per il Santo Padre è una preghiera per noi, una preghiera a Dio e all’immensità dell’universo e della fede che, oltre ad ogni scoperta scientifica, rimane il mistero del valore, del senso dell’esistenza. Senza inutile orgoglio, con la semplicità di chi, come ogni essere vivente, rappresenta, nel suo piccolo, la complessità e grandiosità della vita preghiamo affinché l’empatia, il rispetto per gli altri e per noi stessi tornino nel nostro vivere quotidiano.

  • L’appello di Papa Francesco per regolamentare la finanza

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

    Che di fronte al dilagare incontrollato della finanza speculativa sia necessario “rivolgersi alla preghiera”, è uno schiaffo morale ai governi e alle istituzioni economiche internazionali preposte al controllo e alla regolamentazione dell’economia, della moneta e dei settori finanziari. E’, però, l’ammissione della loro incapacità d’intervento e della sottomissione al “mercato senza leggi” e al laissez faire più spregiudicato.

    Dinanzi all’intollerabilità della situazione, papa Francesco si è sentito in dovere di richiamare i credenti e i laici con un video dedicato alla preghiera per una “finanza giusta, inclusiva e sostenibile”.

    Egli afferma che “mentre l’economia reale, quella che crea lavoro, è in crisi – quanta gente è senza lavoro! – i mercati finanziari non sono mai stati così ipertrofici come sono ora. Quanto è lontano il mondo della grande finanza dalla vita della maggior parte delle persone! La finanza, se non viene regolamentata, diventa pura speculazione animata da politiche monetarie. Questa situazione è insostenibile. È pericolosa. Per evitare che i poveri tornino a pagarne le conseguenze, bisogna regolamentare in modo rigido la speculazione finanziaria.”.

    Ricorda che la finanza deve essere uno strumento per servire le persone e per prendersi cura della casa comune e fa un appello “perché i responsabili della finanza collaborino con i governi, per regolamentare i mercati finanziari e proteggere i cittadini in pericolo.”

    In pratica riprende il discorso avviato nel 2015 con l’enciclica Laudato sì” in cui si afferma che “la finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale”. Secondo Francesco non è una questione di teorie economiche ma della loro applicazione fattuale nell’economia. Il mercato da solo non può garantire lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale, né la protezione dell’ambiente e dei diritti delle generazioni future.

    Nell’enciclica citata si sostiene: “La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia… Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura”.

    Secondo noi la crisi finanziaria del 2007-2008 ne è la prova: sarebbe stata l’occasione per sviluppare una nuova economia, non solo più attenta ai principi etici, ma, soprattutto, per regolamentare l’attività finanziaria speculativa e la ricchezza virtuale. Purtroppo non è stato così.

    Certo, sono concetti che papa Francesco ripete ormai costantemente. Lo ha fatto anche recentemente nell’enciclica “Fratelli tutti” e con molto coraggio anche nella lettera inviata al meeting della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, svoltosi lo scorso aprile. Egli afferma che “è ora di riconoscere che i mercati — specialmente quelli finanziari — non si governano da soli. I mercati devono essere sorretti da leggi e regolamentazioni che assicurino che operano per il bene comune, garantendo che la finanza – invece di essere meramente speculativa o finanziare solo sé stessa – operi per gli obiettivi sociali tanto necessari nel contesto dell’attuale emergenza sanitaria globale”.

    Ci preme sottolineare che la preghiera del papa ha avuto anche qualche orecchio attento. La Federcasse, la Federazione italiana delle Banche di Credito Cooperativo, una rete di 250 banche cooperative di comunità con un milione e 350 mila soci, l’ha fatta sua. Del resto essa fa della vicinanza al territorio, alle famiglie e ai piccoli imprenditori e artigiani la sua mission. In merito, il direttore generale Sergio Galli ha ribadito che “occorre elaborare nuove forme di economia e finanza realmente orientate al bene comune e rispettose della dignità umana”.

    Naturalmente le tematiche affrontate da papa Francesco sono tali che oggettivamente impongono ai governi decisioni rapide e stringenti. In questi giorni da più parti si sollecita il superamento dei brevetti sui vaccini. Tema che va affrontato. Si consideri che, mentre nei paesi industrializzati una persona su 4 ha già ricevuto almeno una dose di vaccino, nei paesi poveri, invece, l’ha avuta una su 500. Il caso più odioso è sicuramente quello dell’India, dove si produce il 70% dei vaccini mondiali, ma non per i propri cittadini, bensì per l’export.

    *già sottosegretario all’Economia  **economista

  • Vaccini: un aiuto ai più deboli arriva dalla elemosineria apostolica

    Per dare concretezza ai diversi appelli di Papa Francesco perché nessuno venga escluso dalla campagna vaccinale anti Covid-19, l’Elemosineria Apostolica si rende nuovamente prossima alle persone più fragili e vulnerabili. Nell’imminenza della Domenica di Pasqua – Risurrezione del Signore, e precisamente durante la Settimana Santa, altre dosi del vaccino Pfizer-BioNTech, acquistate dalla Santa Sede e offerte dall’Ospedale Lazzaro Spallanzani, tramite la Commissione Vaticana Covid-19, saranno destinate alla vaccinazione di 1200 persone tra le più povere ed emarginate, e che sono per la loro condizione le più esposte al virus.

    Inoltre, per continuare a condividere il miracolo della carità verso i fratelli più vulnerabili, e dare loro la possibilità di accedere a questo diritto, sarà possibile effettuare una donazione on-line per un “vaccino sospeso”, sul conto della carità del Santo Padre gestito dalla Elemosineria Apostolica (www.elemosineria.va).

    Nel Messaggio per la Solennità del Natale del Signore 2020, Papa Francesco ha rivolto un accorato appello: “Chiedo a tutti: ai responsabili degli Stati, alle imprese, agli organismi internazionali, di promuovere la cooperazione e non la concorrenza, e di cercare una soluzione per tutti: vaccini per tutti, specialmente per i più vulnerabili e bisognosi di tutte le regioni del Pianeta. Al primo posto, i più vulnerabili e bisognosi!”. “Di fronte a una sfida che non conosce confini, non si possono erigere barriere. Siamo tutti sulla stessa barca”.

    Sul ricorso al vaccino, inoltre, il Pontefice ha incoraggiato più volte le persone a vaccinarsi, perché è un modo di esercitare la responsabilità verso il prossimo e il benessere collettivo, ribadendo con forza che tutti devono avere accesso al vaccino, senza che nessuno sia escluso a causa della povertà.

    Nel mese di gennaio scorso, quando è iniziata in Vaticano la campagna vaccinale anti Covid-19, Papa Francesco ha voluto che tra le prime persone vaccinate ci fossero oltre venticinque poveri, in gran parte senza fissa dimora, che vivono intorno a San Pietro e che quotidianamente vengono assistiti e accolti dalle strutture di assistenza e residenza dell’Elemosineria Apostolica.

    La vaccinazione dei poveri nel corso della Settimana Santa avverrà nella struttura appositamente adibita all’interno dell’Aula Paolo VI in Vaticano, e sarà usato lo stesso vaccino somministrato al Pontefice e ai dipendenti della Santa Sede. I medici e gli operatori sanitari impiegati saranno i volontari che operano stabilmente nell’Ambulatorio “Madre di Misericordia”, situato sotto il colonnato del Bernini, i dipendenti della Direzione di Sanità ed Igiene del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e i volontari dell’Istituto di Medicina Solidale e dell’Ospedale Lazzaro Spallanzani.

    Si può inviare una donazione con le seguenti modalità:

    Bonifico su Conto Corrente Bancario:

    BENEFICIARIO DEL CONTO: Elemosineria Apostolica
    BANCA: Istituto per le Opere di Religione
    Città del Vaticano
    BIC/SWIFT: IOPRVAVX
    IBAN: VA54001000000017267005

    Online con Carta di Credito:
    (da 10 a 2000 €)

    Fonte: Comunicato Elemosineria Apostolica

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