Turchia

  • Draghi e il coraggio di chiamare persone e cose con il loro nome

    Qualcuno si può veramente stupire che il Presidente Draghi abbia definito Erdogan un dittatore? Erdogan è un dittatore e siamo onorati di avere un Presidente del Consiglio che ha il coraggio di dire quello che pensiamo tutti, che tutti sanno. Siamo invece molto amareggiati per il nuovo passo indietro fatto dall’Europa con il comportamento del Presidente Michel, si è dimostrato pavido oltre che maschilista ed incompetente è stato il rappresentante europeo in Turchia che non ha verificato il rispetto delle regole che avevano contraddistinto i precedenti incontri tra le autorità europee e quelle turche. Quello che è accaduto ha anche particolare rilevanza proprio per la recente decisione di Erdogan di far uscire la Turchia dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, per altro principale motivo dell’incontro. D’ altra parte l’inconsistenza politica di Michel non è, purtroppo, una novità e proprio questa inconsistenza, la sua pusillanimità unita all’ego di chi preferisce sedersi su una poltrona piuttosto che affrontare con dignità e fermezza il problema che Erdogan, con arroganza, aveva volutamente creato non facendo preparare un posto adeguato per la presidente della Commissione, dimostra come l’Europa non possa decollare e contare se non troverà un diverso assetto istituzionale e un diverso modo di scegliere i propri maggiori rappresentanti. Michel poteva rimanere in piedi, con dignità, poteva cavallerescamente cedere la sedia alla von der Leyen e sedersi lui sul divano, poteva dimostrarsi uomo e capo di una istituzione che sarebbe un gigante di fronte alla Turchia se non avesse come presidente un ominicchio. Grazie al Presidente Draghi che chiama le cose e le persone con il suo vero nome.

  • Turkey arrests hundreds over alleged PKK links in Iraq executions

    Turkey on Monday announced the detention of more than 700 people over alleged links to the Kurdistan Workers’ Party (PKK), after it accused the group of executing 13 Turkish nationals in northern Iraq.

    Over the weekend, Ankara said PKK rebels had executed the 13 kidnapped Turks, while the PKK blamed Turkish airstrikes on their bases for their deaths. Αccording to the Turkish Defence Minister, Hulusi Akar, the victims, which were mostly soldiers, police and civilians, lost their lives during a Turkish military operation against the PKK and were found in a cave complex in the Iraqi Kurdistan Region’s mountainous Gare area.

    Twelve of them were shot in the head and one in the shoulder, Akar said on Sunday.

    The US State Department said in a statement the same day that it “deplores the death of Turkish citizens”, if the reports were confirmed, prompting Erdogan to accuse Washington of supporting the Kurdish militants and to label the statement as “deplorable”.

    “You say you don’t support the terrorists but you are actually on their side,” Erdogan said in a televised speech.

    The incident is expected to further fuel a spat between the two NATO allies, with Erdogan slamming the US for supporting the Syrian Kurdish militias of the People’s Protection Units (YPG), which Turkey sees as linked to PKK.

    PKK has been classified as a terrorist organisation by the US and Western countries, as well as by the European Parliament.

  • Diabolici demagoghi, disposti a tutto per il potere

    La maggior parte dei tiranni sono stati demagoghi che si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie.
    Aristotele; “Politica”


    Il 6 e il 7 gennaio scorso il primo ministro albanese è stato in Turchia per una visita ufficiale. L’anfitrione, il presidente turco, aveva riservato un’accoglienza in pompa magna per il suo discepolo e “caro amico” albanese. Secondo le informazioni ufficiali si trattava di una visita, durante la quale i due “amici” hanno rinnovato la loro stretta collaborazione. Sono stati firmati diversi accordi, tra i quali il più importante era l’Accordo del Partenariato Strategico tra i due Paesi. Sempre secondo le informazioni ufficiali, il presidente turco ha promesso al suo ospite albanese sostegno ed investimenti in Albania. Si tratta di investimenti per la costruzione di 522 unità abitative nelle zone colpite dai terremoti del 2019 e di un ospedale. Ma si tratta anche di investimenti per la costruzione/ricostruzione di diverse moschee in Albania. Bisogna ricordare che in pieno centro di Tirana, accanto al Parlamento, con il diretto interessamento del presidente turco e gli investimenti da lui garantiti, è stata costruita ormai la più grande moschea di tutta la penisola balcanica. Durante la comune conferenza stampa, il 7 gennaio scorso, il presidente turco ha dichiarato solennemente che “…l’Albania è un Paese amico, fratello e alleato. Siamo due popoli fratelli, che abbiamo combattuto insieme e che abbiamo lasciato segni nella storia”. Poi ha aggiunto che dappertutto in Albania attualmente si “trovano molte testimonianze della cultura comune”. Affermazioni che rispecchiano alcuni dei pilastri della cosiddetta Dottrina Davutoğlu, la quale è stata trattata la scorsa settimana dall’autore di queste righe (Relazioni occulte e accordi peccaminosi; 11 gennaio 2021). Durante la stessa conferenza stampa, il primo ministro albanese ha ringraziato il suo “caro amico” presidente per quanto ha fatto e sta facendo per l’Albania e, a sua volta, ha promesso la stretta collaborazione, sua e del suo governo, per combattere il terrorismo e le organizzazioni terroristiche. Una cosa che il presidente turco aveva da tempo chiesto al suo “amico” ed ha pubblicamente sottolineato anche durante la comune conferenza stampa. Secondo quest’ultimo “…la collaborazione nella lotta contro il terrorismo” rappresenta un’importanza particolare. Subito dopo ha specificato che si trattava di una sola organizzazione, considerata terroristica dal presidente turco. Ribadendo, convinto e determinato, anche che non permetterà mai che quell’organizzazione possa “…avvelenare le relazioni tra i due Paesi.”. Opinione, quella, condivisa anche dal primo ministro albanese. Ed era la sola richiesta che il presidente turco aveva fatto al primo ministro albanese durante la sopracitata visita. Almeno secondo quanto hanno ufficialmente dichiarato durante la loro comune conferenza stampa. Perché di quello sul quale  loro due si sono accordati in privato, e ne hanno avuto occasione, non si è saputo e non si saprà mai. Ma, leggendo tra le righe si capisce che non tutto è stato detto al pubblico, anzi! Perché non si possono dire le ragioni e neanche le reciproche promesse fatte per degli accordi e delle intese di interesse personale. Di entrambi. Per il momento il primo ministro albanese deve fare di tutto per avere un terzo mandato, costi quel che costi, durante le elezioni del 25 aprile prossimo. Ed al suo “caro amico”, al presidente turco, sono “sfuggite” alcune parole, durante la sopracitata conferenza stampa, che si riferivano proprio al suo appoggio per il primo ministro durante quelle elezioni. Parlando della sopracitata costruzione di un ospedale in una delle regioni roccaforti del primo ministro albanese, come parte importante degli accordi firmati, il presidente turco ha detto che “…finirà prima delle elezioni!”. In più, il presidente turco ha anche espresso la sua convinzione che “…le elezioni del 25 aprile saranno utili per il popolo albanese e l’Albania”. E, ovviamente, perché tutto ciò possa accadere, il presidente turco dovrebbe aver promesso al suo amico albanese tutto il suo appoggio. A patto, però, che quest’ultimo continuasse a garantire la collaborazione ed il suo personale impegno nella lotta comune contro quella “organizzazione terroristica” che potrebbe “avvelenare le relazioni tra i due Paesi”.

    Si tratta dell’organizzazione FETÖ (Fethullahçı Terör Örgütü – Organizzazione del Terrore Gülenista; n.d.a.). Secondo il presidente turco, il capo di quest’organizzazione, Fethullah Gülen, è stato proprio l’ideatore e l’organizzatore del fallito colpo di Stato del 16 settembre 2016 in Turchia. In realtà Gülen, un noto politologo e predicatore dell’Islam, è il fondatore di una ben altra organizzazione, il Movimento Gülen. Egli è anche tra i fondatori dell’Associazione per la Lotta contro il Comunismo, nonché di una rete di scuole e altre strutture di insegnamento privato, da allora ben radicata sia in Turchia, che in altri paesi. Albania compresa. Gülen è stato, fino al 2012, uno dei più stretti amici e collaboratori dell’attuale presidente turco. Amicizia e collaborazione che finì definitivamente nel 2013, quando Gülen denunciò pubblicamente gli scandali della corruzione, che vedevano direttamente coinvolto Erdogan e i suoi familiari. Da allora quest’ultimo ha dichiarato guerra all’ultimo sangue a Gülen, essendo anche ufficialmente considerato il capo della sopracitata organizzazione FETÖ dalle istituzioni turche della giustizia. Da anni ormai Gülen si trova negli Stati Uniti d’America. Ragion per cui la Turchia ha chiesto, a più riprese, alle autorità statunitense l’estradizione di Gülen. Estradizione che è stata sempre rifiutata. Non solo, ma sia gli Stati Uniti, che tutti gli Stati membri dell’Unione europea hanno fermamente condannato le accuse di Erdogan nei confronti di Gülen.

    Guarda caso però, l’Albania che sta proseguendo, anche se con risultati vistosamente negativi, il processo dell’adesione nell’Unione, è anche l’unico Paese europeo che da alcuni anni ormai sta condividendo ufficialmente quanto ritiene il presidente turco Erdogan. Mettendosi così, apertamente, contro tutti i Paesi occidentali e gli Stati Uniti. Chissà perché e chissà in cambio di cosa?! Non solo, ma era proprio a fianco del suo “caro amico” Erdogan che il primo ministro, durante la sopracitata conferenza stampa, ha accusato le istituzioni dell’Unione europea. Riferendosi agli Stati membri e all’Unione stessa, lui ha dichiarato che “…diversamente da alcuni altri […] la Turchia e il presidente Erdogan si sono trovati vicini al popolo albanese durante la pandemia, dimostrando valori di solidarietà”. Nessuno sa, però, a quali aiuti si riferiva il primo ministro albanese e in cambio di quale promessa fatta a lui [personalmente] dal presidente turco. E non è la prima volta, soprattutto in questi ultimi anni, mentre il processo europeo dell’Albania è vistosamente bloccato, per diretta responsabilità del primo ministro albanese, che quest’ultimo attacca e minaccia le istituzioni europee e/o i singoli Stati membri dell’Unione europea. Seguendo proprio l’esempio del suo “caro amico” Erdogan.

    Chi scrive queste righe pensa che la somiglianza tra loro va oltre ed è molto più ampia. O meglio dire, la smania del primo ministro albanese di imparare, di imitare e di somigliare al suo amico in tutto e per tutto è vistosa. E in tutto e per tutto li accomuna una caratteristica: per il loro potere personale sono disposti a qualsiasi cosa, ignorando principi e vendendo anche l’anima, se necessario. L’attaccamento al potere ha messo in evidenza i loro comportamenti da veri despoti. Essendo, però, anche molto attenti, con le loro note capacità demagogiche, di apparire come dei patrioti, come dei “padri della nazione”, premurosi e attenti al benessere dei rispettivi cittadini. Calpestando, però, le loro innate libertà e i loro sacrosanti diritti. E come la maggior parte dei tiranni, che sono stati anche demagoghi, si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie.

  • Relazioni occulte e accordi peccaminosi

    Gesù rispose: “In verità, in verità vi dico:
    “Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato”.

    Vangelo secondo Giovanni; 8/34

    La Turchia, dall’inizio del nuovo millennio, sta cercando di diventare un fattore geopolitico non solo a livello regionale. Un obiettivo strategico, quello, reso pubblico negli anni ’90 del secolo scorso dall’allora presidente turco Turgut Özal. “… Il 21o secolo sarà il secolo dei Turchi” dichiarava lui convinto. E così si poteva garantire una “… giusta posizione della Turchia nel mondo”. Una posizione, quella, che la Turchia aveva cominciato a perdere, partendo dall’inizio del 20o secolo, ancora prima del crollo definitivo dell’Impero. Ed era proprio sull’eredità dell’Impero ottomano che si poteva e si puntava per raggiungere quell’obiettivo strategico. All’inizio di questo millennio è stato pubblicato un libro intitolato Profondità Strategica. La Posizione Internazionale della Turchia. Un libro che, guarda caso, non è stato tradotto in inglese. L’autore era Ahmet Davutoğlu, allora un professore universitario di relazioni internazionali ad Istanbul. In quel libro l’autore aveva definito proprio la strategia da seguire per raggiungere l’obiettivo formulato e pubblicamente dichiarato dal presidente Özal. Prese vita così quella che ormai è, pubblicamente ed internazionalmente, nota come la Dottrina Davutoğlu. Egli era convinto che la Turchia doveva smettere di avere una politica estera passiva, dipendente dagli alleati. Il tempo era venuto per attuare un nuovo approccio proattivo e multidimensionale nella politica estera, cominciando con tutta l’area d’influenza dell’ex Impero ottomano. Davutoğlu considerava come molto importante la posizione geografica della Turchia: una crocevia tra i Balcani, il Mar Nero e Caucaso, il Mediterraneo orientale ed il Golfo Persico, arrivando fino all’Asia Centrale. La Dottrina Davutoğlu considera molto importante anche l’eredità storica e i legami etnico-religiosi e culturali stabiliti, intessuti e consolidati durante secoli dall’Impero Ottomano. Davutoğlu riteneva che, nonostante le importanti riforme fatte da Mustafa Kemal Atatürk, il primo presidente della Repubblica (dal 1923 fino al 1938, quando morì; n.d.a.), considerato come il padre della Turchia moderna, i legami storici, religiosi e culturali con i paesi dell’ex Impero ottomano erano ancora presenti e validi. Secondo Davutoğlu, quei legami si dovevano soltanto riattivare. La sua dottrina si basava, tra l’altro, sulla costituzione di un raggruppamento, di un Commonwelth degli Stati ex ottomani, dal nord Africa fino ai Balcani. Secondo la Dottrina Davutoğlu, la Turchia dovrebbe diventare un “…catalizzatore e motore dell’integrazione regionale. La Turchia non doveva più essere “un’area di anonimo passaggio”, ma diventare un “artefice principale del cambiamento”. Davutoğlu nella sua dottrina riteneva che la Turchia doveva “rivitalizzare la propria eredità storica, ricca, variegata e multiforme”. Perché solo in questo modo la Turchia potrebbe “…non solo contare sul piano regionale, ma esercitare la propria influenza nelle aree di crisi globali”. E perché questo obiettivo si potesse realizzare, la Turchia doveva organizzare diversamente i suoi rapporti “… con i centri di Potenza, creando un hinterland fondato su rapporti culturali, economici e politici storicamente consolidati.”.

    Davutoğlu era preoccupato del perenne scontro e gli attriti continui con la Grecia, nonché della crisi con la Bulgaria. Il che non ha permesso alla Turchia di attuare e garantire “un’incisiva politica per i Balcani”. Egli aveva fatto suo uno degli obiettivi del presidente Atatürk, “pace in casa, pace nel mondo”, proponendo la politica di avere “zero problemi con i vicini”. Una specie di Pax-Ottomana che dovrebbe permettere alla Turchia di diventare il rappresentante regionale e, perciò, anche il diretto interlocutore con le due attuali grandi potenze: gli Stati Uniti d’America e la Cina.

    La Dottrina Davutoğlu è stata appoggiata fortemente dall’attuale presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, dall’inizio della sua ascesa politica, che cominciò nel 1994, con la fondazione del suo partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP: Adalet ve Kalkınma Partisi; n.d.a.). Il resto è ormai pubblicamente noto. Nel frattempo però Erdogan, allora primo ministro, apprezzando il contributo di Davutoğlu, lo nominò nel 2009 come il suo ministro degli Esteri. In seguito, quando Erdogan è stato eletto presidente della Repubblica, Davutoğlu diventò primo ministro e dirigente del partito di Erdogan, nell’agosto 2014. Cariche che ha avuto fino a maggio 2016, quando, per forti disaccordi con Erdogan, Davutoğlu diede le sue dimissioni come primo ministro, e nel settembre 2016 anche come capo del partito. Da allora Davutoğlu ha fondato e guida il Partito del Futuro. Un partito di orientamento islamico conservatore ed in aperta opposizione con Erdogan. Nel frattempo però, il presidente turco sembra si sia dimenticato della politica di “zero problemi con i vicini”. Adesso Erdogan si sta affrontando con una ben altra e preoccupante realtà, caratterizzata da “solo problemi con i vicini”. Grecia compresa.

    Bisogna sottolineare comunque che la Turchia, cominciando dalla fine del secolo scorso e, soprattutto, durante il primo decennio degli anni 2000, ha raggiunto dei successi. E’ stato attuato un notevole e significativo sviluppo economico, con tassi di crescita inferiori soltanto alla Cina. Uno sviluppo basato sull’energia e le infrastrutture, su una politica economica che aveva permesso le dovute liberalizzazioni e l’apertura dei mercati, come si prevedeva anche negli acquis communautaire. Sì, perché la Turchia aveva firmato già dal 1963 il Trattato di associazione con l’allora Comunità europea (CE) ed in seguito, nel 1979, il Protocollo addizionale del Trattato di associazione. Nel 1999 il Consiglio europeo decise che la Turchia diventasse paese candidato all’adesione nell’Unione europea. I negoziati dell’adesione cominciarono nel dicembre 2005. Ma da allora ad oggi i negoziati non hanno fatto progressi, per delle ragioni ormai note. Non solo, ma da circa un decennio i rapporti della Turchia con l’Unione europea non sono progrediti; anzi! Da anni ormai Erdogan sembra non abbia più interesse ad aderire all’Unione europea. Non solo, ma proprio per “sfidare” l’Unione, dall’inizio dell’attuale decennio, lui ha cominciato e sta proseguendo, determinato e spesso anche minaccioso, ad assumere ed esercitare anche il ruolo del rappresentante internazionale dell’islamismo politico, tessendo, tra l’altro, rapporti di amicizia e di stretta collaborazione con l’Associazione dei Fratelli Musulmani.

    Proprio con Erdogan, ed invitato da quest’ultimo, c’è stato l’incontro del primo ministro albanese ad Ankara la scorsa settimana. Da notare che l’Albania, essendo stata per cinque lunghi secoli sotto l’Impero ottomano, dovrebbe aver a che fare anche con quanto prevede la Dottrina Davutoğlu. Essendo stata una visita “a sorpresa”, almeno in Albania, si sa ben poco di quello di cui, realmente, hanno parlato i due “amici” durante quei due giorni. Ma tenendo presente le realtà, sia in Turchia che in Albania, gli sviluppi e gli attriti nella regione, vivendo un periodo di “solo problemi con i vicini”, al contrario di quanto prevedeva la Dottrina Davutoğlu, quanto possano aver parlato e accordato il presidente turco ed il primo ministro albanese non si saprà mai.

    Chi scrive queste righe pensa, anzi è convinto, che quanto è stato deciso ed accordato durante quei colloqui segreti, non porterà niente di buono all’Albania e agli albanesi. L’autore di queste righe promette al nostro lettore di continuare a trattare l’argomento, con molta probabilità, la prossima settimana. Anche perché sono tante le cose che meritano la dovuta attenzione. Egli però è convinto che, dati e fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, il primo ministro albanese si presenta, da anni ormai, come un “devoto” del presidente turco, cercando di imitarlo e di diventare come lui: un despota! E come Erdogan lui cerca, a tutti i costi, di rimanere al potere. Erdogan, con il referendum del 2017, diede a se stesso ulteriori poteri istituzionali per attuare i suoi obiettivi. Il primo ministro albanese ha fatto lo stesso. Gli ultimi emendamenti costituzionali di due mesi fa, riguardanti la riforma elettorale, lo dimostrerebbero palesemente. Nel frattempo Erdogan punta a controllare i Balcani, parte dei quali è anche l’Albania, come prevede la Dottrina Davutoğlu. E nonostante non si sa di cosa sia discusso ed accordato tra i due la scorsa settimana, tutto fa pensare che Erdogan ha ed avrà il consenso del “suo amico”, il primo ministro albanese. Ma quest’ultimo non vende l’anima per niente. In cambio avrà l’appoggio di Erdogan durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 aprile prossimo. Come lo stesso presidente ha accennato durante la conferenza stampa comune. Perché il primo ministro albanese vuol avere, costi quel che costi, un terzo mandato. E per averlo sarebbe disposto a tutto. Anche ad accordi peccaminosi con il suo amico presidente, con il quale tutto fa pensare che abbia stabilito delle relazioni occulte. Chi scrive queste righe è convinto, da quanto è accaduto in questi ultimi anni, che il primo ministro albanese abbia veramente molto peccato. Perciò, come testimonia il Vangelo di Giovanni, chiunque commette il peccato è schiavo del peccato!

  • Debole altolà della Ue alla Turchia sul Mediterraneo

    Una blacklist di soggetti da sanzionare, ma nessun embargo economico o militare. L’Europa lancia un nuovo avvertimento alla Turchia sulle perforazioni “illegali” nel Mediterraneo orientale, ma le misure contro Ankara restano blande e non toccano le forniture di armi.

    Mentre i leader dell’Unione si riunivano per affrontare i nodi di un rapporto che per l’Alto rappresentante Josep Borrell “sotto alcuni punti di vista è peggiorato”, il presidente Recep Tayyip Erdogan assisteva a Baku da ospite d’onore alla passerella di truppe azere e turche per la “gloriosa vittoria” in Nagorno-Karabakh, offrendo una rappresentazione plastica della distanza sempre maggiore con Bruxelles. Ma la Turchia riesce comunque a schivare le misure più pesanti, richieste dagli avversari diretti nel Mediterraneo, Grecia e Cipro, con l’appoggio dei falchi, Francia e Austria. Le decisioni vanno però approvate all’unanimità e su quelle più dure – embargo di armi e sanzioni economiche a interi comparti – manca un pieno consenso. A frenarle è stata la presidenza tedesca di turno, ma anche l’Italia e Paesi dell’est come Polonia e Ungheria.

    Sul dossier turco, il premier Giuseppe Conte aveva chiesto all’Europa di parlare con “una sola voce”, evitando però di provocare “una rapida escalation” e un maggiore isolamento di Ankara. Nella bozza di accordo, il Consiglio europeo ha quindi previsto una lista nera di soggetti e compagnie turchi, da aggiungere alle due persone fisiche già colpite dal blocco dei visti e dal congelamento dei beni. Resta comunque la minaccia di ulteriori misure punitive, se lo scontro dovesse proseguire.

    Del resto, sono forti le preoccupazioni anche per le possibili ricadute sugli equilibri interni alla Nato, come ha sottolineato il segretario generale Jens Stoltenberg. Per questo, l’Ue punta a “un coordinamento con gli Stati Uniti”, che a loro volta, forse già nei prossimi giorni e senza aspettare l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca, potrebbero dare il via libera a sanzioni per l’acquisto dei missili russi S-400.

    Da Baku, intanto, Erdogan è tornato a lanciare proclami bellicosi. “Il fatto che l’Azerbaigian abbia liberato le sue terre dall’occupazione dell’Armenia non significa che la lotta sia finita”, ha avvisato il leader di Ankara dopo aver visto sfilare tremila soldati insieme ai droni turchi Bayraktar, decisivi per l’esito di un conflitto in cui ha detto di scorgere “l’inizio di una nuova era”.

  • Il Parlamento europeo approva una risoluzione per sanzionare le azioni illegali della Turchia a Cipro

    Il Parlamento europeo ha approvato, con 631 voti a favore, 3 contrari e 59 astensioni, una risoluzione non vincolante a sostegno di Cipro che esorta i leader dell’UE ad “agire e ad imporre severe sanzioni in risposta alle azioni illegali della Turchia”.

    Lo scorso, 15 novembre, infatti, il presidente turco Recep Tayyip Ergodan ha visitato Varosha, un quartiere abbandonato nella parte meridionale della città cipriota di Famagosta divenuto una sorta di terra di nessuno, recintata e abbandonata dai tempi dell’invasione turca del 1974 e dalla successiva occupazione della parte settentrionale di Cipro.

    La mossa non è piaciuta affatto all’Ue e alla Nato che con Stati Uniti, Grecia e greci-ciprioti hanno condannato la proposta del presidente turco di riaprire parzialmente Varosha.

    Nella sua risoluzione il Parlamento ha esortato l’UE a imporre sanzioni alla Turchia in seguito alla visita di Erdogan nel nord di Cipro, non riconosciuto a livello internazionale e occupato dalla Turchia. Il Parlamento europeo ha anche definito “illegale” l’esplorazione del gas della Turchia nel Mediterraneo orientale, un’accusa che Ankara ha respinto con rabbia.

    Il Parlamento ha osservato che le relazioni UE-Turchia sono ai minimi storici, affermando che le azioni militari illegali e unilaterali di Erdogan nel Mediterraneo orientale stanno violando la sovranità dei due paesi membri dell’UE, Grecia e Cipro. Gli eurodeputati hanno sottolineato che il sostegno militare di Ankara all’alleato Azerbaigian contro il nemico storico turco, l’Armenia, nella recente guerra del Nagorno-Karabakh, così come il sostegno alle milizie islamiche radicali in Libia e Siria ha dato vita ad un approccio molto più aggressivo e belligerante da parte di Erdogan nel trattare con i suoi vicini europei e del Vicino Oriente.

    L’ultima risoluzione dovrebbe contribuire a rafforzare il sostegno alla spinta della Francia per le sanzioni dell’UE contro la Turchia, che sono state discusse per la prima volta ad ottobre, sui diritti del gas naturale nel Mediterraneo orientale.

  • Erdogan and ultra-nationalist allies say they’ll reform Turkey’s justice system

    Turkey’s president Recepp Tayyip Erdogan will involve his far-right nationalist political allies in a new reform process for the economy and democracy, Turkish media said on Tuesday.

    Erdogan announced a new reform process focused on strengthening the economy and democracy two weeks ago, with particular emphasis on human rights and the rule of law.

    Former deputy prime minister Bulent Arinc, a founder of Erdogan’s AKP Party, earlier called for the release of Selahattin Demirtas, former leader of the pro-Kurdish Peoples’ Democratic Party.

    His comments, however, drew a strong rebuke from Erdogan, who said that Demirtas defends “terrorism” and has “blood on his hands”.

    Demirtas has been in prison for more than four years on charges related to violent protests against the Turkish army’s inaction during a militant attack on the Syrian Kurdish town Kobani.

    Erdogan added that the AKP and his smaller Nationalist Movement Party coalition partners – fierce defenders of military action against Kurdish militants – would carry out the reforms together.

    On Tuesday, Arinc resigned from the presidential advisory board.

  • La lira turca va a picco, Erdogan caccia il governatore della Banca centrale

    L’aveva messo a capo della Banca centrale di Turchia neppure un anno e mezzo fa perché seguisse i suoi dettami, abbattendo drasticamente i tassi d’interesse, definiti “la madre e il padre di tutti i mali”. E Murat Uysal, sino ad allora vice del rigorista Murat Cetinkaya, ha eseguito fedelmente. Ma di fronte alla peggiore crisi della lira turca da quando è al potere, Recep Tayyip Erdogan ha fatto fuori anche il suo uomo, ultimo capro espiatorio di un tracollo imputato di volta in volta a complotti internazionali e sabotaggi interni.

    Dall’inizio dell’anno, la divisa di Ankara ha perso circa un terzo del suo valore, toccando i minimi storici contro il dollaro e scavallando nelle scorse ore l’ennesima soglia simbolica delle 10 lire per 1 euro. Una caduta progressiva accelerata dall’ultima riunione di politica monetaria, il mese scorso, che ha lasciato invariato al 10,25% il tasso di riferimento, infliggendo l’ennesimo schiaffo alle attese degli economisti, che puntavano su un credito meno facile in cambio di maggiore stabilità. La situazione si è fatta allarmante, con l’inflazione ufficiale all’11,89% e molte imprese fortemente indebitate in valuta estera a rischio bancarotta. Ma la coperta sempre più corta non ha convinto il presidente turco a rinunciare alla sua campagna contro il “triangolo del diavolo di tassi d’interesse, tassi di cambio e inflazione”. E così dopo appena 16 mesi è arrivato un nuovo ribaltone. Alla guida della Banca centrale andrà il responsabile strategico del budget presidenziale Naci Agbal 52 anni, già ministro delle Finanze tra il 2015 e il 2018. È a lui che Erdogan affida la missione che appare sempre più impossibile di coniugare crescita ed equilibrio finanziario, mentre cresce l’allarme per il deficit delle partite correnti e il crollo delle riserve in valuta forte. Al fianco del presidente resta intoccabile il genero e super-ministro del Tesoro Berat Albayrak, che insiste nel negare ogni difficoltà. Anzi, assicura, la Turchia – dove non c’è mai stato un lockdown totale e un blocco del sistema produttivo – ha già iniziato la ripresa e beneficerà di un vantaggio competitivo dopo la pandemia di Covid-19. Un’ennesima scommessa azzardata con le prossime elezioni nel mirino, previste nel 2023. Ma per il primo test basterà attendere il 19 novembre, con la prima riunione di politica monetaria guidata dal nuovo governatore. I mercati attendono inquieti.

  • L’opposizione politica tedesca chiede al governo di bandire gli ultranazionalisti Lupi Grigi turchi

    I partiti di opposizione tedeschi hanno sollecitato il governo a bandire i Lupi Grigi della Turchia, gruppo ultranazionalista affiliato agli alleati politici del presidente Recep Tayyip Erdogan.

    A farsi promotore della richiesta Sevim Dagdelen, presidente del gruppo parlamentare tedesco di sinistra (Die Like) che invita a sostenere la decisione presa nei giorni scorsi dalla Francia di bandire i Lupi Grigi perché fautori della teoria della cospirazione anti-armena del governo turco. Die Linke chiede lo scioglimento della Federazione delle associazioni degli idealisti democratici turchi (ADÜTDF) – l’organizzazione ombrello dei gruppi ultranazionalisti turchi nel paese respingendo le affermazioni di Erdogan, secondo cui il gruppo è un “prodotto di fantasia”, e sottolineando che comprende circa 170 associazioni e 7.000 membri.

    Anche il parlamentare del Partito dei Verdi Cem ozdemir ha etichettato l’ADÜTDF come la più grande organizzazione estremista in Germania, che conta fino a 20.000 membri.

    La richiesta è trasversale perché anche il partito di estrema destra tedesco, l’Alternativa per la Germania (AfD), ha chiesto di mettere al bando il gruppo, sostenendo che i lupi grigi sono “la brigata estremista di Erdogan”.

    L’invito arriva meno di una settimana dopo che la Francia ha sciolto i Lupi Grigi perché incitavano all’odio e alla violenza, la richiesta era stata precedentemente espressa nel 2018.

    All’inizio di ottobre, il governo tedesco aveva detto che avrebbe pianificato una legislazione per vietare i simboli e i gesti del gruppo dei Lupi Grigi e in particolare il saluto della mano “wold”, etichettandolo come un reminiscenza del saluto nazista.

    Il gruppo dei Lupi Grigi è affiliato al Partito del Movimento nazionalista turco (MHP) di Devlet Bahceli, che ha un’alleanza politica con il Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) di Erdogan. I Lupi Grigi sono considerati l’ala militante dell’MHP.

  • Mare nostrum

    L’uomo troppo compiacente che accorda tutto
    per tutto avere, é ruinato dalla propria facilità.

    Confucio

    La ben nota denominazione Mare Nostrum è stata coniata ed usata già dagli antichi romani per indicare il mare Mediterraneo. Un mare sul quale si affacciano molti paesi e si incrociano molti interessi, soprattutto economici. E quando si tratta di interessi economici e di contenziosi tra paesi sono sempre presenti anche degli attriti di vario genere. Quanto sta accadendo in questi ultimi mesi ne è un’eloquente testimonianza.

    A fine luglio scorso sono ricominciati di nuovo gli attriti tra la Grecia e la Turchia dovuti a delle reciproche rivendicazioni su determinate aree marine intorno a delle isole sul Mediterraneo. Aree che sia la Grecia che la Turchia pretendono di essere parte integrante delle proprie zone economiche esclusive. Dopo che la Turchia ha avviato l’esplorazione in mare per delle risorse di gas naturale è stata immediata la reazione ufficiale da parte della Grecia. Da sottolineare che il diritto della sovranità in questi casi viene definito dalla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite del 1982 sulla legge dei mari (UNCLOS), nota anche come la Convenzione di Montego Bay. Convenzione che ancora non è stata riconosciuta dalla Turchia però. Sono state tante e dure le dichiarazioni delle massime autorità dei due paesi. Ma vista l’evoluzione della situazione non sono mancate neanche le dichiarazioni delle massime autorità delle cancellerie europee e quella statunitense. E finalmente sembra che ci sia un svolta positiva. Il presidente turco, dopo aver fatto il “duro” fino a pochi giorni fa, la sera di sabato scorso ha fatto un passo indietro. Lui ha dichiarato che la Turchia cercherà di risolvere il contenzioso con la Grecia “con saggezza e in maniera civile”. Finalmente lui ha rinunciato alle maniere dure e all’uso della forza, come dichiarava convinto dal luglio scorso e fino a pochi giorni fa. Dando così, secondo il presidente turco “…più spazio alla diplomazia, per risolvere i problemi con il dialogo, con il quale tutti ne escono vincitori”.

    Il 5 agosto scorso la Turchia, però, ha firmato con la Libia un accordo per delimitare le proprie zone economiche esclusive. Accordo che urta ed è incompatibile con quanto prevede l’accordo, tuttora in vigore, tra la Grecia e la Turchia. Ma anche la Grecia, nel frattempo, il 6 agosto scorso, ha firmato un simile accordo con l’Egitto, che delinea le rispettive zone economiche esclusive. Secondo fonti diplomatiche, quest’ultimo accordo mira a contenere proprio le ambizioni della Turchia in quelle aree del Mediterraneo. Un altro accordo che riguarda le zone economiche esclusive tra i paesi del Mediterraneo è stato firmato tra l’Italia e la Grecia il 9 giugno scorso. Un accordo che è stato considerato come “storico” in Grecia, forse anche perché si stavano già preparando ad affrontare quanto è poi successo soltanto circa un mese dopo con la Turchia. Come parte integrante del sopracitato accordo tra la Grecia e l’Italia c’è anche una clausola secondo la quale si prevede la possibilità di continuare la linea del confine marino sia verso il nord che verso il sud “con altri Stati vicini”. E, tutto sommato, si tratterebbe dell’Albania a nord e della Libia e Malta a sud.

    Durante queste ultime settimane si sono riattivate anche le rivendicazioni della Grecia sulla delimitazione del confine marino con l’Albania. Un contenzioso che continua da una decina d’anni e che, guarda caso, è stato riaperto proprio adesso, in questo periodo carico di attriti e di accordi per le zone economiche esclusive e la delimitazione dei confini marini tra diversi paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

    Il 26 agosto scorso il primo ministro greco ha dichiarato, durante una seduta del Parlamento, che il suo governo presenterà un disegno di legge che poi, approvato dal parlamento, permetterebbe l’allargamento del confine marino occidentale della Grecia nel mare Ionio da 6 a 12 miglia marine. Il che significherebbe la riduzione, in egual misura, del confine marino dell’Albania, dove sono state immediate e forti le reazioni. Anche perché si tratta di un argomento che ha generato non pochi attriti tra le forze politiche in Albania, soprattutto in quest’ultimo decennio.

    Il confine marino tra la Grecia e l’Albania è stato definito dalle grandi potenze con il Protocollo di Firenze del 27 gennaio 1925. Poi, in seguito, il 30 luglio 1926 a Parigi, la Conferenza degli Ambasciatori delle grandi potenze ha sancito definitivamente tutti i confini tra l’Albania e la Grecia. Quella presa dalla Conferenza degli Ambasciatori, era ed è tuttora una decisione obbligatoria per i due paesi. Anche perché adesso, sia la Grecia che l’Albania sono paesi che hanno ufficialmente riconosciuto la sopracitata Convenzione di Montego Bay del 1982 sui mari. Da sottolineare che tra la Grecia e l’Albania il 27 aprile 2009 è stato firmato un Accordo per la “Delimitazione delle loro rispettive zone della piattaforma continentale sottomarina e delle altre zone marine, che a loro appartengono in base al diritto internazionale”. Accordo quello che è stato fortemente contrastato allora dall’opposizione capeggiata dall’attuale primo ministro albanese. La questione finì poi alla Corte Costituzionale, la quale, il 15 aprile 2010, decretò l’anticostituzionalità dell’Accordo e proclamò la sua nullità. Chi scrive queste righe, durante l’autunno del 2018, ha trattato l’argomento in diversi articoli, tra i quagli anche Perfidie e mercanteggiamenti balcanici; 22 ottobre 2018 e Accordi peccaminosi; 29 ottobre 2018.

    Tornando agli ultimi sviluppi, e in seguito alle dichiarazioni del primo ministro della Grecia il 26 agosto scorso in Parlamento, ha reagito anche il primo ministro albanese. Quest’ultimo ha considerato come “molto corretta” la dichiarazione del suo omologo. Mentre le forti reazioni in Albania il primo ministro albanese le considerava come mosse “dall’ignoranza” e usate “come argomento di tradimento del nostro governo”. Perché, secondo lui, la Grecia sta “esercitando un diritto” che deriva dalla Convenzione di Montego Bay del 1982. Negando “stranamente” però, anche il diritto della parte lesa, e cioè l’Albania, di opporsi. Il che non è per niente vero, Convenzione di Montego Bay alla mano. Come al solito, una sua “interpretazione creativa” quella del primo ministro albanese. Poi in seguito lui stesso ha fatto dietro front e ha parlato di negoziati tra le parti e anche, addirittura, di portare il caso presso un tribunale internazionale. Impensabile fino a pochi giorni fa! Chissà perché?! E chissà se è per puro caso che ciò accade proprio dopo una “cena tra amici” con il presidente turco, alcuni giorni fa. Ma nel frattempo anche quest’ultimo ha cambiato l’atteggiamento nei confronti del contenzioso con la Grecia!

    Chi scrive queste righe avrebbe molti altri argomenti da analizzare, in modo che il nostro lettore possa comprendere meglio quanto sta accadendo in queste settimane tra diversi paesi del Mare Nostrum, soprattutto tra la Grecia e l’Albania. Ricorda però che durante un forum internazionale ad Atene, il 16 settembre scorso, la ministra firmataria del sopracitato Accordo del 27 aprile 2009 tra la Grecia e l’Albania, che è anche la sorella dell’attuale primo ministro greco, ha accusato direttamente il primo ministro albanese, anche lui presente, di essere stato “convinto” nel 2009 proprio da Erdogan, a portare il caso alla Corte Costituzionale, per poi annullarlo. Chi scrive queste righe pensa che, come scriveva Confucio, l’uomo troppo compiacente, che accorda tutto per tutto avere, è ruinato dalla propria facilità. Primo ministro albanese compreso.

Pulsante per tornare all'inizio