Turchia

  • Mare nostrum

    L’uomo troppo compiacente che accorda tutto
    per tutto avere, é ruinato dalla propria facilità.

    Confucio

    La ben nota denominazione Mare Nostrum è stata coniata ed usata già dagli antichi romani per indicare il mare Mediterraneo. Un mare sul quale si affacciano molti paesi e si incrociano molti interessi, soprattutto economici. E quando si tratta di interessi economici e di contenziosi tra paesi sono sempre presenti anche degli attriti di vario genere. Quanto sta accadendo in questi ultimi mesi ne è un’eloquente testimonianza.

    A fine luglio scorso sono ricominciati di nuovo gli attriti tra la Grecia e la Turchia dovuti a delle reciproche rivendicazioni su determinate aree marine intorno a delle isole sul Mediterraneo. Aree che sia la Grecia che la Turchia pretendono di essere parte integrante delle proprie zone economiche esclusive. Dopo che la Turchia ha avviato l’esplorazione in mare per delle risorse di gas naturale è stata immediata la reazione ufficiale da parte della Grecia. Da sottolineare che il diritto della sovranità in questi casi viene definito dalla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite del 1982 sulla legge dei mari (UNCLOS), nota anche come la Convenzione di Montego Bay. Convenzione che ancora non è stata riconosciuta dalla Turchia però. Sono state tante e dure le dichiarazioni delle massime autorità dei due paesi. Ma vista l’evoluzione della situazione non sono mancate neanche le dichiarazioni delle massime autorità delle cancellerie europee e quella statunitense. E finalmente sembra che ci sia un svolta positiva. Il presidente turco, dopo aver fatto il “duro” fino a pochi giorni fa, la sera di sabato scorso ha fatto un passo indietro. Lui ha dichiarato che la Turchia cercherà di risolvere il contenzioso con la Grecia “con saggezza e in maniera civile”. Finalmente lui ha rinunciato alle maniere dure e all’uso della forza, come dichiarava convinto dal luglio scorso e fino a pochi giorni fa. Dando così, secondo il presidente turco “…più spazio alla diplomazia, per risolvere i problemi con il dialogo, con il quale tutti ne escono vincitori”.

    Il 5 agosto scorso la Turchia, però, ha firmato con la Libia un accordo per delimitare le proprie zone economiche esclusive. Accordo che urta ed è incompatibile con quanto prevede l’accordo, tuttora in vigore, tra la Grecia e la Turchia. Ma anche la Grecia, nel frattempo, il 6 agosto scorso, ha firmato un simile accordo con l’Egitto, che delinea le rispettive zone economiche esclusive. Secondo fonti diplomatiche, quest’ultimo accordo mira a contenere proprio le ambizioni della Turchia in quelle aree del Mediterraneo. Un altro accordo che riguarda le zone economiche esclusive tra i paesi del Mediterraneo è stato firmato tra l’Italia e la Grecia il 9 giugno scorso. Un accordo che è stato considerato come “storico” in Grecia, forse anche perché si stavano già preparando ad affrontare quanto è poi successo soltanto circa un mese dopo con la Turchia. Come parte integrante del sopracitato accordo tra la Grecia e l’Italia c’è anche una clausola secondo la quale si prevede la possibilità di continuare la linea del confine marino sia verso il nord che verso il sud “con altri Stati vicini”. E, tutto sommato, si tratterebbe dell’Albania a nord e della Libia e Malta a sud.

    Durante queste ultime settimane si sono riattivate anche le rivendicazioni della Grecia sulla delimitazione del confine marino con l’Albania. Un contenzioso che continua da una decina d’anni e che, guarda caso, è stato riaperto proprio adesso, in questo periodo carico di attriti e di accordi per le zone economiche esclusive e la delimitazione dei confini marini tra diversi paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

    Il 26 agosto scorso il primo ministro greco ha dichiarato, durante una seduta del Parlamento, che il suo governo presenterà un disegno di legge che poi, approvato dal parlamento, permetterebbe l’allargamento del confine marino occidentale della Grecia nel mare Ionio da 6 a 12 miglia marine. Il che significherebbe la riduzione, in egual misura, del confine marino dell’Albania, dove sono state immediate e forti le reazioni. Anche perché si tratta di un argomento che ha generato non pochi attriti tra le forze politiche in Albania, soprattutto in quest’ultimo decennio.

    Il confine marino tra la Grecia e l’Albania è stato definito dalle grandi potenze con il Protocollo di Firenze del 27 gennaio 1925. Poi, in seguito, il 30 luglio 1926 a Parigi, la Conferenza degli Ambasciatori delle grandi potenze ha sancito definitivamente tutti i confini tra l’Albania e la Grecia. Quella presa dalla Conferenza degli Ambasciatori, era ed è tuttora una decisione obbligatoria per i due paesi. Anche perché adesso, sia la Grecia che l’Albania sono paesi che hanno ufficialmente riconosciuto la sopracitata Convenzione di Montego Bay del 1982 sui mari. Da sottolineare che tra la Grecia e l’Albania il 27 aprile 2009 è stato firmato un Accordo per la “Delimitazione delle loro rispettive zone della piattaforma continentale sottomarina e delle altre zone marine, che a loro appartengono in base al diritto internazionale”. Accordo quello che è stato fortemente contrastato allora dall’opposizione capeggiata dall’attuale primo ministro albanese. La questione finì poi alla Corte Costituzionale, la quale, il 15 aprile 2010, decretò l’anticostituzionalità dell’Accordo e proclamò la sua nullità. Chi scrive queste righe, durante l’autunno del 2018, ha trattato l’argomento in diversi articoli, tra i quagli anche Perfidie e mercanteggiamenti balcanici; 22 ottobre 2018 e Accordi peccaminosi; 29 ottobre 2018.

    Tornando agli ultimi sviluppi, e in seguito alle dichiarazioni del primo ministro della Grecia il 26 agosto scorso in Parlamento, ha reagito anche il primo ministro albanese. Quest’ultimo ha considerato come “molto corretta” la dichiarazione del suo omologo. Mentre le forti reazioni in Albania il primo ministro albanese le considerava come mosse “dall’ignoranza” e usate “come argomento di tradimento del nostro governo”. Perché, secondo lui, la Grecia sta “esercitando un diritto” che deriva dalla Convenzione di Montego Bay del 1982. Negando “stranamente” però, anche il diritto della parte lesa, e cioè l’Albania, di opporsi. Il che non è per niente vero, Convenzione di Montego Bay alla mano. Come al solito, una sua “interpretazione creativa” quella del primo ministro albanese. Poi in seguito lui stesso ha fatto dietro front e ha parlato di negoziati tra le parti e anche, addirittura, di portare il caso presso un tribunale internazionale. Impensabile fino a pochi giorni fa! Chissà perché?! E chissà se è per puro caso che ciò accade proprio dopo una “cena tra amici” con il presidente turco, alcuni giorni fa. Ma nel frattempo anche quest’ultimo ha cambiato l’atteggiamento nei confronti del contenzioso con la Grecia!

    Chi scrive queste righe avrebbe molti altri argomenti da analizzare, in modo che il nostro lettore possa comprendere meglio quanto sta accadendo in queste settimane tra diversi paesi del Mare Nostrum, soprattutto tra la Grecia e l’Albania. Ricorda però che durante un forum internazionale ad Atene, il 16 settembre scorso, la ministra firmataria del sopracitato Accordo del 27 aprile 2009 tra la Grecia e l’Albania, che è anche la sorella dell’attuale primo ministro greco, ha accusato direttamente il primo ministro albanese, anche lui presente, di essere stato “convinto” nel 2009 proprio da Erdogan, a portare il caso alla Corte Costituzionale, per poi annullarlo. Chi scrive queste righe pensa che, come scriveva Confucio, l’uomo troppo compiacente, che accorda tutto per tutto avere, è ruinato dalla propria facilità. Primo ministro albanese compreso.

  • La Turchia ridimensionerà il piano di riapertura delle scuole

    La Turchia ridimensionerà i piani per riaprire le scuole alla fine del mese. I primi a tornare tra i banchi saranno i più piccoli che seguiranno le lezioni per un massimo di due giorni alla settimana. Il recente costante aumento di morti per COVID-19, ritornato ai livelli di metà maggio, quando vigeva il lockdown nel Paese, ha indotto il ministro della Salute, Fahrettin Koca, ad affermare che la Turchia sta vivendo il secondo picco del contagio.

    Il governo ha fatto sapere che non intende reintrodurre un blocco totale, ma ha esortato i cittadini a seguire misure di allontanamento sociale. Le mascherine sono state rese obbligatorie.

    Il ministro dell’Istruzione Ziya Selcuk ha affermato che solo gli alunni della scuola materna e del primo anno frequenteranno inizialmente le lezioni di persona, con ulteriori piani di riapertura da stabilire durante un periodo di valutazione di tre settimane. E ha anche aggiunto che i genitori che non vogliono mandare i propri figli a scuola possono scegliere di continuare l’istruzione a distanza.

  • In attesa di Giustizia: mamma li turchi!

    La giustizia è invisa a Recep Erdogan sotto ogni profilo, salvo che i cittadini, avvocati, magistrati e giornalisti inclusi, non siano disposti a piegare la testa.

    Dopo il tentativo di colpo di stato del 2016 vi è stata una stretta autoritaria, ma non è stata quella l’occasione per una ulteriore ed inarrestabile deriva dei diritti: in Turchia sono stati fatti arrestare centinaia di avvocati, colpevoli di aver svolto il proprio ruolo di difensori, magari nell’interesse di oppositori del regime; sono stati arrestati o privati delle funzioni anche decine di magistrati e centinaia di giornalisti. E la repressione non si arresta, anzi, si estende verso ampie schiere di oppositori del governo.

    Ma neppure la protesta in Turchia non si placa e anch’essa assume molteplici forme, come lo sciopero della fame durato 238 giorni e che ha portato alla morte l’avvocata Ebru Timtik di cui un po’, ma senza esagerare, si è parlato sui giornali di casa nostra.

    La donna ha patito sofferenze indescrivibili e pesava ormai 33 chili senza essere più in grado di reggersi in piedi e debilitata a tal punto che era divenuta impossibile anche l’ingestione di acqua. L’Avvocato Tamik, colpevole di aver difeso soggetti invisi al regime, ha subito sulla propria pelle un regime che ha cercato di contrastare manifestando per ottenere un giusto processo per sé e per chi fosse incarcerato, non di rado per anni, in attesa di un giudizio con l’accusa di essere terroristi per il solo fatto di avere preso posizione – anche solo dialetticamente – contro Erdogan.

    I processi che sono stati celebrati a carico di questi sventurati, infatti, si sono risolti in una farsa come hanno più volte denunziato gli osservatori che, rischiando, hanno avuto modo di seguirli da vicino.

    Tra gli elementi di accusa contro gli avvocati c’è persino il fatto che parlino con i loro assistiti, accusati di terrorismo, e perciò vengono considerati collusi. Aberrante: è un processo alla funzione difensiva.

    Del resto, in Turchia la negazione e la violazione dello stato di diritto e dei diritti umani è sistematica e non da ora. Già negli anni ’80 per esempio, a Istanbul furono inquisiti e condannati dei deputati nei confronti dei quali gravava l’accusa di aver parlato in curdo in Parlamento. E da allora la repressione si è estesa: linguistica, etnica, religiosa, politica, di orientamento sessuale. Viene da chiedersi come sia possibile che un Paese che è sull’uscio dell’Europa e del quale molti vorrebbero l’ingresso nella UE calpesti i valori più elementari del vivere civile e non sia sottoposto a pesanti sanzioni, come sta accadendo al Venezuela o alla Bielorussia. A pensar male si fa peccato ma non si sbaglia: non sarà il ricatto sui migranti l’arma che permette l’impunità a una nazione guerrafondaia? Vi è da sperare che l’Europa e gli Stati democratici non si stiano mostrando forti con i deboli e deboli con i forti.

    Sulla scorta dell’atteggiamento assunto, tuttavia, non può che fondatamente temersi che l’Unione Europea sia purtroppo complice di questo pericolosissimo regime e del personaggio che lo incarna, foraggiato in ogni modo quando ne ha avuto la necessità, disinteressandosi del suo sistematico calpestio dei diritti fondamentali.

    Un colpo di reni, un segnale, da parte dell’Italia che risvegli le coscienze degli altri Paesi sarebbe auspicabile ma sembra improbabile finché alla Farnesina siederà lo statista che risponde al nome di Luigi Di Maio e, dunque, non lamentiamoci se da noi l’attesa di Giustizia è molto lunga: altrove non vi è neppure questa speranza.

  • Rapporti tra UE e Turchia nel primo incontro dei ministri dell’UE dopo la decisione su Santa Sofia

    Durante il loro primo incontro da quando Ankara ha deciso di riconvertire Santa Sofia di Istanbul in una moschea, i ministri degli Affari esteri dell’UE hanno deciso di provare a percorrere una via che allenti le tensioni con la Turchia, con il responsabile della politica estera, Josep Borrell, che ha parlato di possibili sanzioni qualora le violazioni della Turchia continuassero. La mossa di Ankara di cambiare lo status museale di Santa Sofia è stata condannata da tutti gli Stati membri con l’esplicita richiesta di riconsiderare la decisione.

    Le discussioni hanno riguardato le diverse vicende nelle quali il Paese è direttamente coinvolto, come l’intervento nella guerra civile in Libia e le attività di perforazione illegale nell’area economica greca e cipriota (ZEE) nel Mediterraneo orientale.

    E se il ministro degli Esteri greco, Nikos Dendias, spinge per le sanzioni per la violazione dei diritti sovrani di Grecia e Cipro, la Commissione frena considerandole uno strumento per raggiungere un obiettivo e non una via politica da adottare ‘per principio’. Bruxelles mirerebbe infatti al dialogo ma non è detto che alcuni Paesi dell’UE possano appoggiare la proposta della Grecia che, al momento, ha ottenuto il sostegno della Francia che, più di altri, è coinvolta nella soluzione della situazione in Libia.

    Per agosto, comunque, come da decisione presa insieme, Borrell esplorerà ulteriori misure appropriate per affrontare le diverse sfide.

    I ministri hanno inoltre approvato l’estensione delle sanzioni contro le persone associate alla società turca che effettua esplorazioni illegali nella ZEE di Cipro.

    Durante le sue visite ad Ankara, Atene e Nicosia, il capo della politica estera dell’Unione ha sottolineato che la Turchia rimane comunque un partner chiave per l’Europa, indipendentemente dalle circostanze, evidenziando la necessità del dialogo e di una soluzione reciprocamente vantaggiosa.

     

  • Erdogan pronto a ‘convertire’ Santa Sofia in moschea

    Santa Sofia deve tornare ad essere una moschea. Parola e volontà di Erdogan che potrebbero realizzarsi a breve se il Consiglio di stato turco dovesse pronunciarsi a favore della proposta del Presidente che andrebbe così ad annullare il decreto del 1934 che trasformava Santa Sofia (Hagia Sophia) da mosche a museo. Ultimate le udienze giovedì scorso il verdetto scritto è previsto entro 15 giorni. Secondo alcune fonti sembra che Erdogan abbia incaricato i funzionari del governo di condurre uno studio approfondito su come cambiare lo status da un museo in moschea.

    La meravigliosa costruzione, che risale a 1500 anni fa ed è patrimonio UNESCO, attira da sempre milioni di turisti ad Istanbul. Prima di diventare museo, Santa Sophia, cattedrale patriarcale greca di epoca bizantina, costruita nel sesto secolo, fu trasformata in una moschea ottomana dopo la conquista della città di Costantinopoli da parte di Mehmet il Conquistatore nel 1453.

    Critiche e polemiche internazionali, come era prevedibile, non si sono fatte attendere. La Grecia accusa Erdogan di far rivivere, con questa decisione, un sentimento religioso fanatico e nazionalista e il ministro della cultura greca, Lina Mendoni, ha fatto sapere con fermezza che non ci possono essere cambiamenti nel sito del patrimonio mondiale dell’UNESCO senza l’approvazione del comitato intergovernativo dell’organismo.

    Anche gli Stati Uniti, con il segretario di Stato Mike Pompeo, criticano fortemente la decisione perché in questo modo non solo verrebbe annullato quel ponte necessario tra diverse tradizioni e culture religiose che è sempre più raro vedere nell’epoca moderna ma anche quel percorso che, a suo tempo, ha contribuito alla costituzione della Repubblica di Turchia. E’ necessario perciò che rimanga un museo accessibile a tutti.

    Erdogan, dal canto suo, fa sapere che è stato invece un errore molto grande convertire la Basilica di Santa Sofia in un museo e che l’idea della ‘riconversione’ dello splendido edificio era parte della campagna pre-elettorale perché la ‘richiesta’ popolare stava diventato sempre più forte.

    Intanto, lo scorso 5 giugno, gli Imam hanno recitato versi del Corano all’interno di Santa Sofia, nel 567° anniversario della conquista di Istanbul da parte degli ottomani.

  • Turkey accuses France of exacerbating Libya crisis

    Turkish Foreign Ministry on Tuesday accused France of deepening the crisis in Libya by supporting the General Khalifa Haftar against the internationally-recognised Government of National Accord (GNA).

    “France has fueled the Libyan crisis by extending its support to putschist and pirate Haftar, who attempts to create an authoritarian regime in the country by overthrowing the legitimate government and who is not shy about publicly denouncing a political solution in Libya,” the Turkish MFA said in a statement on Tuesday.

    Ankara’s announcement came after France on Monday called for talks among NATO allies on what it described as Turkey’s increasingly “aggressive” role in Libya, which was thwarting efforts to secure a cease-fire.

    France has reiterated its position that the country is not taking sides in Libya, but said that Turkey endangered European security by sending Syrian fighters to Libya.

    Turkey backs the Tripoli-based GNA led by Prime Minister Fayez al-Sarraj, with whom the country signed in 2019 two agreements on security and military cooperation and restriction of marine jurisdictions.

    “While our country is with the legitimate government, France stands by a coup and an illegitimate person to the UN and NATO decisions,” the statement reads.

     

  • I figli di Khassoggi salvano i killer del padre dalla pena capitale

    Il gesto di clemenza è arrivato in una delle ultime notti di Ramadan, come suggerisce la tradizione islamica. “Noi, figli del martire Jamal Khashoggi, annunciamo di voler perdonare coloro che hanno ucciso nostro padre”. Poche parole che hanno il peso di una pietra tombale sulle speranze di chi chiedeva giustizia per la brutale uccisione del reporter saudita, il 2 ottobre 2018 nel consolato di Riad a Istanbul. Con il perdono annunciato su Twitter dal figlio maggiore Salah, per i killer dell’editorialista del Washington Post, i cui resti non sono mai stati ritrovati, si apriranno le porte della commutazione della pena e, in futuro, magari anche quelle del carcere.

    Secondo i media di Riad, con il “perdono” dei familiari della vittima dovrebbe infatti essere commutata in una pena minore la condanna a morte inflitta a cinque imputati da un tribunale del Regno. Incerto resta il destino degli altri tre condannati a 24 anni complessivi di carcere, mentre i sospetti mandanti l’avevano già fatta franca dopo che a dicembre i giudici sauditi avevano tolto l’aggravante della premeditazione, scagionando i due fedelissimi del principe ereditario Mohammed bin Salman, l’ex braccio destro della comunicazione, Saud al-Qahtani, e l’ex numero due dei servizi segreti, il generale Ahmed al-Assiri.

    Ma l’annuncio di Salah Khashoggi si accompagna a forti sospetti di un accordo con la casa dei Saud, che secondo il Washington Post avrebbe lautamente ricompensato lui e gli altri figli del giornalista con proprietà immobiliari del valore di milioni di dollari e ingenti somme di denaro. Accuse che i familiari hanno sempre negato. In ogni caso, è un esito che permette a Mbs – come viene chiamato il principe – di archiviare almeno sul piano giudiziario una drammatica vicenda che ne ha macchiato l’immagine di aspirante sovrano riformatore, specie dopo che i rapporti della Cia e degli esperti Onu avevano escluso che potesse non sapere dell’operazione di Istanbul.

    Dal resto del mondo continuano a levarsi voci indignate. A partire dalla fidanzata della vittima, l’ultima a vederlo in vita fuori dalla sede diplomatica. “Nessuno ha il diritto di perdonare gli assassini. Jamal Khashoggi – ha scritto su Twitter Hatice Cengiz – è diventato un simbolo internazionale più grande di tutti noi, ammirato e amato. Jamal è stato ucciso all’interno del consolato del suo Paese mentre prendeva dei documenti per il nostro matrimonio. L’imboscata e il suo efferato omicidio non vanno in prescrizione. Io e altri non ci fermeremo finché non avremo giustizia per Jamal”. Dura la reazione anche della relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, Agnes Callamard, che dopo aver indagato per mesi sulla vicenda ha parlato di “prove credibili” di un coinvolgimento di Mbs. Secondo l’esperta dell’Onu, che non parla però a nome del Palazzo di Vetro, è un annuncio “scioccante”, anche se “atteso”, che rappresenta un nuovo atto della “parodia della giustizia saudita”.

  • Astaldi recupera risorse per il concordato: terzo ponte sul Bosforo ceduto per 315 milioni di dollari

    Astaldi ha finalizzato la cessione a IC Ictas Sanayi ve Ticaret delle proprie quote nell’asset relativo alla concessione per la realizzazione e gestione della Northern Marmara Highway (il “Terzo Ponte”), in Turchia. Secondo quanto riferisce una nota della società, l’accordo sottoscritto con Ictas – già valutato e autorizzato dal Tribunale di Roma come rispondente alla migliore tutela dei creditori nell’ambito della procedura di concordato che Astaldi ha in corso – prevede termini e condizioni coerenti con la proposta concordataria depositata dalla società, vale a dire: la cessione ad Ictas dell’intera partecipazione detenuta da Astaldi nella Concessionaria del Terzo Ponte e dei crediti correlati, al prezzo di 315 milioni di dollari. Tale prezzo di acquisto sarà corrisposto al netto delle partite di compensazione con Ictas e del ripagamento degli altri creditori turchi (in virtù del mancato riconoscimento dell’istituto del concordato in Turchia), per circa 142 milioni di euro, in conformità a quanto previsto nel Piano concordatario, nonché dei relativi costi di transazione; la tacitazione di ogni pretesa di Ictas nei confronti di Astaldi in relazione alle commesse in partnership, in conseguenza dell’uscita dalle suddette commesse (sia in Turchia, che in Russia).

    Il Terzo Ponte è il primo asset ad essere venduto tra quelli che, secondo quanto previsto dal Piano concordatario, saranno oggetto di cessione per la soddisfazione dei creditori chirografari mediante l’attribuzione di Strumenti Finanziari Partecipativi.

  • 695 nuovi arresti in Turchia per sospetti legami con Gulen

    La Turchia emesso una serie di mandati di detenzione contro 695 persone sospettate di avere legami con la rete statunitense di predicatori islamici facenti capo a Fethullah Gulen, accusata da Ankara di aver pianificato il tentativo di colpo di stato del 2016.

    I media statali hanno riferito che i pubblici ministeri stavano procedendo con la detenzione di 467 presunti seguaci di Gulen sospettati di brogli durante un esame per la promozione del sovrintendente della polizia nel 2009. Sono stati inoltre emessi altri 157 mandati contro ufficiali militari di cui 101 erano ancora in servizio attivo nell’Aeronautica o nella Marina.

    Nel 2016, un gruppo di ufficiali aveva tentato un colpo di stato per rovesciare il presidente Recep Tayyip Erdogan. Circa 250 persone furono uccise nel tentativo fallito. Dopo il colpo di stato, circa 80.000 persone sono state arrestate e circa 150.000 sono allontanate dai propri posti di lavoro statale. Gulen vive in esilio autoimposto negli Stati Uniti dal 1999 e ha sempre negato il coinvolgimento nel tentativo di golpe. Tuttavia, operazioni contro la sua rete di contatti vengono regolarmente eseguite in Turchia, poiché le autorità affermano che il gruppo rimane una minaccia per la sicurezza nazionale.

  • L’UE esorta la Turchia a fermare le perforazioni illegali al largo di Cipro. E intanto prepara nuove sanzioni

    L’Unione europea, mentre prepara nuove sanzioni, ha esortato la Turchia a interrompere le sue attività di perforazione “illegali” nella zona economica esclusiva di Cipro (ZEE) dopo aver annunciato che la nave di Yavuuz condurrà ulteriori attività di esplorazione e perforazione nell’area. In una dichiarazione rilasciata sabato, il portavoce della politica estera dell’UE, Peter Stano, ha affermato che le azioni della Turchia minano la stabilità regionale e che “sono necessari passi concreti per creare un ambiente favorevole al dialogo civile”.Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan “ha promesso” giovedì di iniziare a perforare al largo della costa di Cipro “il più presto possibile”, mentre Ankara a novembre ha firmato un accordo per le zone marittime con il governo del generale Khalifa Haftar, con sede a Tripoli, rivendicando vaste aree di acque territoriali della Grecia e di Cipro.

    “Il diritto internazionale del mare, il principio delle relazioni di buon vicinato, la sovranità e i diritti sulle zone marittime di tutti gli Stati membri devono essere rispettati”, ha affermato l’UE nella sua dichiarazione.

    Intanto la nave Yavuz avanza nell’area autorizzata “G” nel sud di Cipro per condurre un’altra operazione di perforazione in un’area autorizzata dalle società energetiche Eni e Total.“I ciprioti turchi hanno diritti tanto quanto i ciprioti greci. Se petrolio e gas naturale dovessero essere trovati in quest’area, entrambe le parti condivideranno le entrate insieme”, ha aggiunto il portavoce dell’AMF Hami Aksoy. Nella stessa dichiarazione si commenta anche la decisione dell’UE che starebbe applicando politiche non realistiche, pregiudizievoli e di doppio standard nel suo approccio alla Turchia e ai turco-ciprioti.”La Turchia si sta trasformando in uno stato pirata nel Mediterraneo orientale”, ha dichiarato la presidenza cipriota. “La Turchia insiste nel percorrere la strada dell’illegalità internazionale”, in quanto ha “provocatoriamente ignorato” l’UE che chiede il rispetto del diritto internazionale e la cessazione delle sue attività di trivellazione.

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