Albania

  • Clamorosi abusi rivelati da un programma televisivo investigativo

    L’abuso e la disubbidienza alla legge non può essere impedita da nessuna legge.

    Giacomo Leopardi

    Il nostro lettore da anni ormai è stato informato di quello che accade in Albania. E sempre con la dovuta e necessaria oggettività, riferendosi a fatti accaduti, verificati e verificabili, a testimonianze, documentazione e denunce rese pubbliche. Ma la situazione in Albania, membro della NATO dall’aprile 2009 e Paese candidato all’adesione nell’Unione europea dal giugno 2014, però e purtroppo sta peggiorando sempre di più. La corruzione, partendo dai massimi livelli delle istituzioni statali e governative, è diventata una divorante cancrena che sta corrodendo tutto il tessuto sociale. Una realtà, quella albanese, che non poteva mai e poi mai diventare talmente allarmante se non ci fosse un diretto coinvolgimento, beneplacito ma anche il beneficio dei massimi rappresentanti del potere politico, partendo dal primo ministro. Anzi, lui per primo.

    In Albania, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, da alcuni anni è stata restaurata e si sta consolidando una nuova dittatura sui generis, un regime che cerca di camuffarsi dietro ad una fasulla parvenza pluripartitica. In Albania una persona, il primo ministro, controlla tutti i poteri, definiti dal 1748 da Montesquieu nella sua ben nota opera De l’esprit des lois (“Spirito delle leggi”; n.d.a.). Il che significa che in Albania ormai è stato annientato e reso non funzionante il principio base in qualsiasi società democratica, quello della divisione dei poteri. Il primo ministro (e/o chi per lui) controlla, oltre al potere esecutivo e legislativo, anche il sistema “riformato” della giustizia. Bisogna purtroppo sottolineare, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, che tutto ciò è successo anche con il preoccupante sostegno dei “rappresentanti internazionali” in Albania. Proprio coloro che, guarda caso, non vedono, non sentono e non capiscono la vera, vissuta e sofferta realtà, ma “applaudono ed elogiano” i successi del governo (Sic!). Il primo ministro controlla però anche la maggior parte di quello che ormai è noto come il quarto potere, i media. Mentre il presidente della Repubblica, da lui scelto, è diventato un suo ridicolo ed ubbidiente subordinato. Quello albanese è un regime autoritario che, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, ha basato la sua esistenza alla pericolosa connivenza con la criminalità organizzata, nonché al sostegno lobbistico, ma non solo, di alcuni raggruppamenti occulti internazionali. Il nostro lettore è stato, da anni, informato anche di questa grave e pericolosa realtà.

    Una realtà preoccupante che domenica scorsa è stata trattata anche dal programma investigativo Report, trasmesso da Rai 3 in prima serata. Ovviamente Rai 3 segue una sua linea editoriale, perciò il documentario cominciava con il trattamento dell’Accordo ufficializzato il 6 novembre 2023 tra l’Italia e l’Albania. L’Accordo, noto come il Protocollo sui migranti, è un documento di 14 articoli che è stato contestato sia in Italia ed in Albania, sia da diverse organizzazioni che si occupano dei diritti dell’uomo. Sull’Accordo hanno espresso riserve anche alcuni rappresentanti delle strutture dell’Unione europea. L’autore di queste righe informava il nostro lettore: “…Lunedì scorso, il 6 novembre, a Roma è stato firmato, dai rispettivi primi ministri, un accordo tra l’Italia e l’Albania. Secondo quell’accordo l’Italia potrà beneficiare dei territori in Albania per organizzare e gestire due campi dove arriveranno circa 36.000 profughi all’anno per almeno cinque anni! Profughi di quelli che l’Italia non vuole e/o può tenere […] Profughi che l’Italia non ha potuto, nonostante un accordo firmato recentemente con la Tunisia, fermare ad arrivare nelle coste italiane. Ma per fortuna il primo ministro italiano ha un ‘caro amico” in Albania, il primo ministro albanese.”(Un autocrate irresponsabile e altri che seguono i propri interessi; 14 novembre 2023). Proprio lui che solo due anni fa, ed esattamente il 18 novembre 2021, dichiarava convinto e perentorio che “L’Albania non sarà mai un Paese dove paesi molto ricchi possano creare campi per i loro rifugiati. Mai!”. Chissà perché ha cambiato opinione solo due anni dopo?!

    Il giornalista di Rai 3, domenica scorsa durante il programma Report, ha trattato anche la parte finanziaria del Protocollo, sottolineando che “…A fronte dei 650 milioni di euro inizialmente preventivati per 5 anni, la spesa complessiva potrebbe superare la soglia di 1 miliardo di euro. E anche le previsioni fatte dal governo sul numero dei migranti sembrerebbero troppo ottimistiche. Verrebbero spese, dunque, cifre spropositate, rispetto ai costi di gestione ordinari in Italia, per spedire in Albania a mala pena 3000 migranti all’anno che comunque dovranno successivamente essere trasferiti in Italia”. E poi faceva la naturale domanda: “Ma chi beneficerà davvero di questo accordo?”. La risposta, oltre al giornalista, la possono dare tutti coloro che conoscono bene la vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese. E la risposta, essendo l’Albania ormai considerato da molte istituzioni e strutture specializzate internazionali come un “narcostato”, è semplice, evidente e chiara: la criminalità organizzata locale che ormai è diventata molto attiva e pericolosa anche in Europa ed altrove. Sì, perchè i profughi diventeranno preda del traffico dei clandestini. E si tratta proprio di quella criminalità organizzata che collabora con il potere politico e che determina non poche decisioni del governo albanese.

    Lo confermano anche due noti procuratori italiani, intervistati dall’autore del programma Report, Nicola Gratteri e Francesco Mandoi. Nicola Gratteri, uno dei magistrati più impegnati nella lotta alla ‘ndrangheta, attualmente procuratore della Repubblica di Napoli, ha dichiarato che “…La mafia albanese è forte, perché è attiva in uno Stato dova la corruzione e ampiamente diffusa”. Aggiungendo anche: “…Le organizzazioni criminali che arrivano dall’Albania sono ricche, forti e potenti. […] Da alcuni anni la mafia albanese la troviamo anche in America latina. È in grado di portare, autonomamente, tonnellate di cocaina in Italia ed in Europa”. Anche Francesco Mandoi, già procuratore nazionale antimafia, ormai in pensione, conosce molto bene la realtà albanese. Lui è stato assunto come consigliere speciale proprio dal primo ministro albanese. Ha lavorato molto per quattro anni in Albania. Ma, come ha affermato lui stesso al giornalista del Report, il primo ministro non ha chiesto mai da lui un consiglio! “…Sono stato consigliere sulla carta, perché non ho mai dato un solo consiglio”, ha dichiarato Mandoi. Sottolineando che “…la mafia albanese ha i suoi rappresentanti nel governo ed orienta molte scelte dello stesso governo.”.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno di molto più spazio per trattare tutti gli argomenti affrontati domenica scorsa dal programma Report. Ma troverà il modo di informare il nostro lettore nelle prossime settimane sugli altri clamorosi abusi rivelati dal giornalista di Report. È sempre attuale però l’affermazione di Giacomo Leopardi: “L’abuso e la disubbidienza alla legge non può essere impedita da nessuna legge”. Lo conferma anche la grave e pericolosa realtà albanese.

  • Altre clamorose testimonianze di corruzione ed abuso di potere

    Il potere va definito dalla possibilità di abusarne.
    André Malraux, La via dei re, 1930

    Era la metà di dicembre del 2022, quando il primo ministro albanese ha dovuto di nuovo difendere, di fronte ai giornalisti, le sue decisioni che hanno portato a quello che ormai è noto in Albania come lo scandalo dei tre inceneritori. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito e a più riprese di questo scandalo. A metà dicembre 2022 è stata divulgata la notizia secondo la quale uno dei più stretti collaboratori del primo ministro era coinvolto in quello scandalo. Si trattava del vice primo ministro (2021-2022), il quale, dal 2013, è stato anche ministro dello sviluppo economico, ministro delle finanze e alla fine, ministro di Stato per la Ricostruzione del Paese, dopo il terremoto del 2019. Il primo ministro però, ha cercato di apparire ignaro del diretto coinvolgimento del suo collaboratore, come fa di solito in simili circostanze. Di fronte ai giornalisti che gli chiedevano del suo stretto collaboratore, cercando di cambiare discorso, lui ha dichiarato invece, riferendosi al progetto dei tre inceneritori, che “…anche se 100 volte tornassi indietro, 100 volte avrei detto che devono essere fatti”. Poi, riferendosi a ciascuno dei tre inceneritori, ha spudoratamente mentito. E non poteva essere diversamente, visto che, mentre il primo ministro rispondeva ai giornalisti, nessuno dei tre inceneritori era realmente operativo. Soprattutto quello della capitale, che non esisteva proprio, non era stato messo neanche un mattone. La saggezza popolare però ci insegna che la lingua batte dove il dente duole. E anche il primo ministro, senza batter ciglio, riferendosi all’inceneritore della capitale, ha detto che “…l’inceneritore della capitale […] aveva salvato Tirana una volta per tutte dalle immondizie” (Sic!). Ma i giornalisti hanno insistito per sapere l’opinione del primo ministro sul suo stretto collaboratore. Allora il primo ministro, cercando di allontanare da se stesso ogni responsabilità, come fa sempre quando si trova di fronte a dei fatti inconfutabili, ha risposto: “Se noi partiamo per una determinata battaglia e, strada facendo, qualcuno o alcuni, che sono partiti per raggiungere l’obiettivo [prestabilito], raccolgono anche pere e mele per  poi metterle nei sacchetti, dietro la mia schiena, questa è una questione che non coinvolge me ma la giustizia”.

    Ebbene, erano passati soltanto sette mesi quando, dopo che l’opposizione politica ed il coraggioso lavoro di alcuni giornalisti investigativi hanno evidenziato e denunciato proprio l’ex vice primo ministro, la Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata è stata costretta a chiedere al Parlamento il permesso di procedere contro di lui. Nel frattempo però lui era riuscito a fuggire all’estero. Le cattive lingue hanno detto subito che era stato informato in tempo da chi di dovere. L’autore di queste righe informava allora il nostro lettore che “ … guarda caso, lui, l’ex vice primo ministro, che è stato anche ministro delle finanze e di altri ministeri importanti, dove si gestiva il denaro pubblico, fatti accaduti, documentati, testimoniati, resi pubblici e denunciati ufficialmente alla mano, non risulta essere accusato della violazione delle leggi in vigore che regolano le procedure seguite nel caso dei tre inceneritori e gli obblighi istituzionali del ministro. Violazioni delle procedure che porterebbero poi direttamente al primo ministro” (Inganna per non ammettere che è il maggior responsabile; 24 luglio 2023). Dall’esilio in un Paese europeo, l’ex vice primo ministro, nel febbraio scorso ha rilasciato una lunga intervista ad una rete televisiva albanese. Il nostro lettore è stato informato subito dopo che il 1o febbraio “…l’ex primo ministro ha fatto delle rivelazioni riguardanti ruberie milionarie ed abuso del potere. Lui ha accusato direttamente il primo ministro ed il sindaco della capitale come ideatori e approfittatori dei progetti degli inceneritori. Lui ha fatto delle rivelazioni che non lasciano dubbi, durante una lunga intervista televisiva seguita con grande interesse dal pubblico. Lo ha fatto da un Paese europeo dove ormai gode dello stato di avente asilo politico. Lui ha dichiarato, tra l’altro: “Porterò sulla schiena la mia croce. Ma non porterò la croce di nessun altro””. Aggiungendo anche che “…se si aprisse il dossier degli inceneritori “gli albanesi si spaventerebbero” (Rivelazioni riguardanti ruberie milionarie ed abuso del potere; 6 febbraio 2024).

    Il 28 marzo scorso, sempre in seguito alle continue e dettagliate denunce dell’opposizione, la Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata ha chiesto e ottenuto l’arresto, questa volta, di alcuni dei più stretti collaboratori del sindaco della capitale. Si tratta di importanti direttori del municipio che gestivano i soldi pubblici. Ma risulta che loro non hanno preso la “loro parte”, come tangenti. Hanno invece costituito delle imprese private, con dei “trucchi” di gestione e di appartenenza dal 2016, solo alcuni mesi dopo che l’attuale sindaco della capitale ha cominciato il suo primo mandato. E tramite quelle imprese, soprattutto di una di loro, registrata come impresa edile, vincevano appalti milionari di cui loro stessi, i direttori, decidevano il “vincitore”. E dai tanti documenti ed intercettazioni ambientali, risulterebbe che tutto veniva fatto con il beneplacito del sindaco. Anzi, risulterebbe proprio che il sindaco era il vero proprietario delle imprese e di tutto ciò che a loro apparteneva. Ma, guarda caso però, la Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, nonostante abbia tutto il materiale necessario per accusare ed arrestare il sindaco della capitale, ha chiuso il fascicolo.

    Sabato scorso, finalmente, il sindaco della capitale ha reagito pubblicamente all’arresto dei suoi stretti collaboratori. Ha elogiato l’operato dei suoi direttori, specificando i loro “contributi” durante tutti questi anni. (Sic!) Ma il sindaco della capitale ha usato la stessa “strategia difensiva” del primo ministro. E cioè che lui non sapeva niente degli “abusi dietro le sue spalle” dei suoi collaboratori. Il che era anche un ricatto nei confronti dello stesso primo ministro, il quale, a distanza di poche ore, ha dichiarato: “Se unisco parola e virgola” con quanto ha detto il sindaco della capitale e “appoggiava il giusto comportamento” del sindaco. Il ricatto ha perciò funzionato.

    Chi scrive queste righe continuerà ad informare il nostro lettore di questi clamorosi sviluppi tuttora in corso. Egli però è convinto che sia il primo ministro albanese che il sindaco della capitale devono essere i primi indagati per tutti i loro clamorosi abusi del potere. E, nel frattempo, devono lasciare i loro incarichi istituzionali. O perché sono cosi “ingenui” che con la loro “ingenuità”, che è anche incapacità, non capiscono quello che fanno i loro stretti collaboratori. Oppure perché mentono ed ingannano e, perciò devono essere puniti legalmente. Chi scrive queste righe è convinto però che loro due sono degli incalliti bugiardi ed ingannatori. Ma, come scriveva André Malraux, il potere va definito dalla possibilità di abusarne.

  • Reazioni dopo le notizie di progetti milionari occulti nei Balcani

    Dai potenti vengono gli uomini più malvagi

    Socrate

    La scorsa settimana il nostro lettore veniva informato su alcuni progetti milionari occulti, sia in Serbia che in Albania. Progetti finanziati da Jared Kushner, il genero del ex presidente statunitense Donald Trump, e resi pubblici da alcuni ben noti giornali internazionali come The New York Times, Newsweek, Bloomberg News ed il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung. Secondo quanto riferiscono i giornalisti investigativi, il genero di Trump è convinto che si tratterebbe di progetti molto redditizi. “Per lui anche nei Balcani si potrebbe investire su delle lussuose strutture turistiche ed altro. Ragion per cui ha scelto di investire sia in Serbia che in Albania. Almeno da quello che si sa pubblicamente per il momento. E perché i suoi progetti milionari abbiano successo, il genero di Trump ha trattato direttamente con due autocrati, il presidente serbo ed il primo ministro albanese” (Poteri ed interessi occulti nei Balcani ed altrove; 25 marzo 2024).

    Il progetto in Serbia riguarda la costruzione, in pieno centro di Belgrado, di una lussuosa struttura alberghiera ed un complesso di appartamenti. Un progetto che potrebbe avere un costo finanziario di circa 500 milioni di dollari. Costruzioni previste in un terreno dove fino al 1999 c’era la sede del Comando supremo dell’esercito jugoslavo. Una sede bombardata e distrutta allora durante gli attacchi aerei, nell’ambito dell’Operazione Allied Force (Forza Alleata; n.d.a.) contro la Repubblica federale di Jugoslavia. Invece in Albania sono stati previsti due, altrettanto occulti e milionari, progetti edilizi del valore di circa 1 miliardo di dollari. Si tratta sempre di lussuose strutture alberghiere e residenziali che sono state tenute nascoste al pubblico fino ad una decina di giorni fa. Invece, come prevede la legislazione in vigore, si doveva discutere e consultare i diversi gruppi di interesse. Il nostro lettore veniva informato la scorsa settimana che “…i due progetti in Albania prevedono costruzioni in aree protette. Uno sulla maggior isola albanese nel golfo di Valona, zona marina protetta. L’altro, sempre in un’isola in mezzo ad una bellissima laguna nel nord di Valona, anche quella zona protetta, sia per i valori naturali, che quelli storici ed architettonici. E, guarda caso, il parlamento albanese ha approvato il 22 febbraio scorso, con una procedura abbreviata, alcuni emendamenti sulla legge per le aeree protette. Adesso si capisce anche il perché. Ormai questi due progetti, sostenuti da poteri ed interessi occulti e portati avanti fino alla scorsa settimana in gran segreto, non hanno più delle difficoltà, neanche legali, per essere attuati”. Riferendosi ai progetti in Serbia ed in Albania, l’autore di queste righe specificava, altresì, che “….si tratta sempre di progetti, ideati e portati avanti in un modo occulto, che soddisfano sia coloro che li propongono che quelli che hanno dato il loro beneplacito; il presidente serbo ed il primo ministro albanese. Due autocrati che si trovano in difficoltà nei rispettivi Paesi e che sperano e fanno di tutto per avere un sostegno statunitense se Trump vincesse le elezioni il prossimo 5 novembre” (Poteri ed interessi occulti nei Balcani ed altrove; 25 marzo 2024).

    Sono state immediate le reazioni dopo la propagazione delle notizie sui sopracitati progetti occulti. In Serbia alcuni movimenti politici e della società civile hanno subito contestato il progetto della costruzione di una lussuosa struttura alberghiera ed un complesso di appartamenti in pieno centro di Belgrado. In meno di un giorno sono state raccolte più di 10.000 firme per una petizione contro il progetto. Un dirigente dell’opposizione, riferendosi alle previste costruzioni lussuose lì dove fino al 1999 c’era il Quartiere generale dell’esercito jugoslavo, ha dichiarato che si trattava di “…una questione dell’orgoglio dello Stato e dei cittadini. E noi abbiamo il buon esempio quando i terroristi hanno abbattuto le torri gemelle a New York. Gli americani non hanno dato quel terreno ad alcuni investitori arabi per costruire i propri alberghi. Essi hanno costruito [invece] un monumento per le loro vittime”. Mentre un noto attivista, sempre riferendosi agli accordi occulti tra il genero  di Trump e il presidente serbo Aleksandar Vučić, tra l’altro ha detto una frase molto significativa: “…la Serbia non è un buffet svedese e Vučić non è un cameriere. Questa non è una sua proprietà privata”. I rappresentanti dell’opposizione hanno, inoltre, proclamato che il 6 aprile prossimo a Belgrado ci sarà la prima di una serie di proteste. E non a caso è stata scelta quella data. Perché il 6 aprile 1941 gli aerei della Wehrmacht nazista hanno bombardato e distrutto Belgrado.

    In Albania, dopo essere stati resi noti i due sopracitati progetti occulti voluti dal genero di Trump, hanno reagito soprattutto alcuni giornalisti ed opinionisti. Mentre i rappresentanti dell’opposizione politica si sono limitati a delle dichiarazioni, ma senza nessun’altra iniziativa, come in Serbia. In Albania però c’è stato un altro episodio che ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica e delle associazioni dei giornalisti, sia locali, ma soprattutto internazionali. Il 19 marzo scorso, il primo ministro albanese ha perso il controllo dopo alcune domande “imbarazzanti” fatte a lui da una giornalista. Domande che si riferivano proprio ai sopracitati progetti occulti del genero di Trump e la totale mancanza di trasparenza, come prevede la legge in casi simili. All’inizio il primo ministro ha tentato di tergiversare alle dirette e molto chiare domande della giornalista, come fa quando si trova in difficoltà.  Ma siccome la giornalista insisteva, allora il primo ministro si è avvicinato a lei e le ha toccato con la mano il viso. Un gesto quello che ha subito suscitato una dura reazione sia della stessa giornalista che dei suoi colleghi. Il primo ministro però ha cercato di ingannare, come suo solito, nonostante dalle immagini di un video si vedeva chiaramente tutto. Immediata è stata anche la reazione dei diversi giornali internazionali e delle associazioni per la difesa dei diritti dei giornalisti. Una delle più note di queste associazioni, The Committee to Protect Journalists (CPJ – Il Comitato per difendere i giornalisti; n.d.a.), ha reagito sul caso mercoledì scorso. Una sua rappresentante, riferendosi al gesto del primo ministro, ha dichiarato: “Noi siamo inorriditi dal comportamento intimidatorio del primo ministro albanese”. Aggiungendo, in più, che “..condanniamo il gesto come parte di una tendenza più ampia dell’uso di un linguaggio abusivo e il comportamento intimidatorio da parte dei funzionari albanesi contro i giornalisti che fanno delle domande critiche”. Mentre l’associazione SafeJournalists Network (La rete per la difesa dei giornalisti; operativa nei Balcani occidentali; n.d.a.) ha considerato il gesto del primo ministro nei confronti della giornalista come “inaccetabile ed allarmante”. In più SafeJournalists Network ha ribadito che il primo ministro albanese “…ha una storia di vendetta contro i giornalisti che sono critici nei confronti del governo”.

    Chi scrive queste righe, fatti accaduti alla mano, conferma queste dichiarazioni. E trova sempre attuale il pensiero di Socrate, il noto filosofo della Grecia antica, il quale affermava, venticinque secoli fa, che dai potenti vengono gli uomini più malvagi. Ed il primo ministro albanese è tale.

  • Poteri ed interessi occulti nei Balcani ed altrove

    L’abuso è il contrassegno del possesso e del potere.

    Paul Valéry; da “Quaderni”

    “La costa di Gaza ha un alto valore immobiliare. Fossi in Israele, manderei i civili della Striscia nel Negev”. Lo affermava recentemente Jared Kushner, il genero del ex presidente statunitense Donald Trump, secondo il quotidiano britannico The Guardian, durante un’attività organizzata da Harvard University. E lui si riferiva al deserto di Negev, un’estesa area poco popolata nel sud del Israele. Durante l’intervento all’Università di Harvard, il genero del ex presidente statunitense ha aggiunto: “…Io azionerei i bulldozer nel Negev e cercherei di spostare lì le persone. Penso che questa sarebbe l’opzione migliore. Così possiamo andare ora e finire il lavoro”. Bisogna sottolineare che Jared Kushner è uno dei discendente di una famiglia di imprenditori immobiliari statunitensi di origine ebrea. E’ stato il consigliere di Trump per il Medio Oriente durante la sua presidenza. Nella Striscia di Gaza si sta combattendo ancora, dopo l’attacco dei militanti di Hamas del 7 ottobre scorso. E nel frattempo sono in corso anche dei negoziati per arrivare ad un accordo di pace tra le parti belligeranti. Accordo che prevede l’esistenza di due Stati indipendenti, Israele e Palestina. Ma per Kushner si tratterebbe di “…un’idea superbamente cattiva che essenzialmente sarebbe un premio per un’azione terroristica”. E nel caso Trump diventasse di nuovo presidente, suo genero gli avrebbe consigliato anche questo. Ovviamente però lui porterebbe avanti anche i suoi progetti immobiliari. Perché, come ha affermato all’Università di Harvard, “…le proprietà sul lungomare di Gaza potrebbero avere un grande valore se la gente fosse concentrata sul migliorare il proprio standard di vita”.

    Il genero di Trump, da ambizioso imprenditore immobiliare qual è, non ha solo dei progetti nella Striscia di Gaza. Per lui anche nei Balcani si potrebbe investire su delle lussuose strutture turistiche ed altro. Ragion per cui ha scelto di investire sia in Serbia che in Albania. Almeno da quello che si sa pubblicamente per il momento. E perché i suoi progetti milionari abbiano successo, il genero di Trump ha trattato direttamente con due autocrati, il presidente serbo ed il primo ministro albanese. Un ruolo importante in queste trattative lo ha avuto anche uno stretto collaboratore di Trump, il quale è stato ambasciatore degli Stati Uniti in Germania (2018-2020). In seguito, e per poco tempo, è stato anche il direttore della National Intelligence Community (Comunità dell’Intelligenza nazionale; n.d.a.), ma è stato attivo altresì nei Balcani, come rappresentante speciale del presidente degli Stati Uniti d’America per i negoziati di pace tra la Serbia ed il Kosovo. In quell’occasione ha conosciuto anche il presidente serbo ed il primo ministro albanese. In seguito il presidente serbo gli ha accordato il più alto riconoscimento ufficiale. Conoscenze ed “amicizie” da allora stabilite e che sono state messe a disposizione anche al genero di Trump.

    In Serbia, sfruttando sia quelle relazioni, che gli stretti legami famigliari con l’ex presidente statunitense, l’imprenditore immobiliare sembrerebbe aver accordato con il presidente serbo un vantaggioso affitto per 99 anni, senza nessun impegno finanziario, di un terreno a Belgrado che, fino al 1999, era la sede del ministero della Difesa della Jugoslavia. Sede che è stata bombardata proprio dalle forze aeree della NATO durante gli attacchi aerei, nell’ambito dell’Operazione Allied Force (Forza Alleata; n.d.a.) contro la Repubblica federale di Jugoslavia. Un accordo quello tra il genero di Trump ed il presidente serbo che prevede il diritto di costruire, in quel terreno affittato, una lussuosa struttura alberghiera, un complesso di appartamenti ed un museo. Si valuta che il progetto potrebbe avere un costo finanziario di circa 500 milioni di dollari. Il noto quotidiano statunitense The New York Times, riferendosi a quell’accordo, ha recentemente pubblicato anche un articolo investigativo. In quell’articolo sono state riportate anche le interviste, sia del genero di Trump, che dello stretto collaboratore dell’ex presidente, adesso consigliere e collaboratore di suo genero. Per loro il progetto di Belgrado permette agli Stati Uniti di aiutare a curare le piaghe causate dai bombardamenti del 1999 nell’ambito dell’Operazione Allied Force. Mentre per gli oppositori del presidente serbo si tratta di un progetto che è stato messo in atto dai poteri occulti per ottenere anche degli ingenti interessi, sempre occulti.

    Ma il progetto di Belgrado è soltanto uno dei tre progetti che il genero di Trump vuole realizzare nei Balcani. Gli altri due sono previsti in Albania. Si tratta di due progetti, del valore di circa 1 miliardo di dollari, che sono stati resi pubblici proprio la scorsa settimana e che prevedono sempre la costruzione di lussuose strutture alberghiere. Progetti ed accordi tenuti segreti per il pubblico fino alla scorsa settimana, quando dei noti giornali internazionali, gli statunitensi The New York Times, Newsweek, Bloomberg News e il tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, hanno trattato professionalmente l’argomento. E da quegli articoli risulta che si tratta sempre di progetti, ideati e portati avanti in un modo occulto, che soddisfano sia coloro che li propongono che quelli che hanno dato il loro beneplacito; il presidente serbo ed il primo ministro albanese. Due autocrati che si trovano in difficoltà nei rispettivi Paesi e che sperano e fanno di tutto per avere un sostegno statunitense se Trump vincesse le elezioni il prossimo 5 novembre.

    Ma mentre quello di Belgrado prevede costruzioni in un terreno in disuso, i due progetti in Albania prevedono costruzioni in aree protette. Uno sulla maggior isola albanese nel golfo di Valona, zona marina protetta. L’altro, sempre in una isola in mezzo ad una bellissima laguna nel nord di Valona, anche quella zona protetta, sia per i valori naturali, che quelli storici ed architettonici. E, guarda caso, il parlamento albanese ha approvato il 22 febbraio scorso, con una procedura abbreviata, alcuni emendamenti sulla legge per le aeree protette. Adesso si capisce anche il perché. Ormai questi due progetti sostenuti da poteri ed interessi occulti e portati avanti fino alla scorsa settimana in gran segreto, non hanno più delle difficoltà, neanche legali, per essere attuati.

    Chi scrive queste righe informerà il nostro lettore, con la dovuta oggettività, di altri sviluppi legati a questi progetti occulti. Per il momento si ferma qui, convinto però che, come affermava Paul Valery, l’abuso è il contrassegno del possesso e del potere.

  • Rapporto indipendente che conferma inquietanti abusi di potere

    Un’ingiustizia fatta all’individuo è una minaccia fatta a tutta la società.

    Montesquieu

    Il Consiglio degli Ambasciatori Statunitensi (The Council of American Ambassadors; n.d.a.) è una nota organizzazione senza scopo di lucro e apartitica che raggruppa più di 200 membri. Si tratta di ex ambasciatori di carriera che hanno svolto la loro attività diplomatica negli ultimi sessant’anni. Il Consiglio, riconosciuto ufficialmente anche dal Dipartimento di Stato, svolge diverse attività in base ai suoi programmi. Il Consiglio collabora attivamente con il Dipartimento di Stato, offrendo sostegno e suggerimenti, riferensosi agli obiettivi della politica estera degli Stati Uniti in divese parti del mondo, nonché all’esperienze dei suoi membri. In più il Consiglio degli Ambasciatori Statunitensi programma ed organizza delle riunioni, delle tavole rotonde con diversi alti rappresentati diplomatici stranieri accreditati presso la Casa Bianca. Tra le tante attività che svolge il Consiglio c’è anche quella di organizzare ed attuare delle missioni investigative indipendenti per raccogliere dati ed informazioni in diversi Paesi del mondo. Dati ed informazioni che spesso non vengono rapportati da altre istituzioni e/o dai media.

    Ebbene, nel periodo tra il 7 ed il 14 maggio 2023 un gruppo di dieci rappresentanti del Consiglio degli Ambasciatori Statunitensi è stato mandato in una missione di raccolta dati ed informazioni in tre Paesi dei Balcani occidentali: Albania, Kosovo e Macedonia del Nord. Dopo quella missione è stato redatto un rapporto che è stato reso pubblico una decina di giorni fa. Nel rapporto sull’Albania viene trattata soprattutto la decisione firmata dal segretario di Stato statunitense nei confronti dell’attuale dirigente dell’opposizione albanese, ex Presidente della Repubblica (1992-1997) ed ex primo ministro (2005-2013).

    Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò in un articolo pubblicato nel maggio 2021. “Il 19 maggio scorso, un’inattesa notizia, arrivata da oltreoceano, ha scombussolato la politica e l’opinione pubblica in Albania. Il Segretario di Stato degli Stati Uniti d’America ha pubblicato, nel suo account personale Twitter, la dichiarazione come “persona non desiderata per entrare negli Stati Uniti” dell’ex Presidente della Repubblica (1992-1997) ed ex primo ministro (2005-2013). Con lui anche sua moglie e i due figli. Questa drastica decisione è stata presa perché gli atti corruttivi dell’ex Presidente “…hanno minato la democrazia in Albania”. Il Segretario di Stato ha espresso la sua convinzione che l’ex primo ministro “…. era coinvolto in atti corruttivi come l’uso improprio dei fondi pubblici, interventi nei processi pubblici, compreso l’uso del suo potere a beneficio e all’arricchimento degli alleati politici e dei membri della sua famiglia”. Il Segretario di Stato ha ribadito anche che l’ex primo ministro, con la sua retorica, “…è pronto a difendere se stesso, i membri della sua famiglia e gli alleati politici, a scapito delle indagini indipendenti, degli sforzi anticorruzione e delle misure sulla responsabilità [penale]””. Così scriveva l’autore di queste righe il 24 maggio 2021. E poi aggiungeva: “…Per facilitare la chiave di lettura, il nostro lettore deve sapere che ormai l’ex primo ministro albanese, dichiarato “persona non grata” il 19 maggio scorso, dopo la sua sconfitta elettorale nel 2013 ha dato le dimissioni da ogni responsabilità istituzionale e politica, tranne quella di deputato, della quale ha beneficiato fino al febbraio 2019. Il che vuol dire che lui, da circa otto anni ormai, non gode di nessun “potere corruttivo” (Eclatanti e preoccupanti incoerenze istituzionali; 24 maggio 2021).

    Il sopracitato rapporto del Consiglio degli Ambasciatori Statunitensi, all’inizio del capitolo che si riferiva all’Albania, affermava che i membri della missione avevano incontrato il presidente della Repubblica, membri del parlamento, rappresentanti dell’opposizione ed altri. E sottolineava che il primo ministro e i membri del suo gabinetto “non hanno dato informazioni”. Aggiungendo che “È difficile determinare se si trattava di una mancanza di tempo, oppure per tergiversare e [in seguito] discreditare ogni critica che poteva emergere dalla nostra missione. Ma il primo ministro Rama è stato il tema delle conversazioni in quasi tutti i nostri incontri”. Nel rapporto viene sottolineato, tra l’altro, il fatto che l’allora ambasciatrice statunitense in Albania (2020-2023) non ha risposto alle domande dei membri della missione riguardo alle prove che hanno portato alla sopracitata decisione firmata dal segretario di Stato statunitense il 19 maggio 2021. Il rapporto sottolineava che quello nei confronti del dirigente dell’opposizione era “interamente una determinazione in camera, esclusa da contestazioni della parte lesa e senza appello. Questo è altamente insolito, se non [caso] unico per la giurisprudenza statunitense”. Chissà perché allora una simile decisione?! Le cattive lingue hanno sempre parlato però di supporto lobbistico da oltreoceano a favore del primo ministro. Ma l’ambasciatrice aveva confermato in privato alla missione del Consiglio degli Ambasciatori Statunitensi che “…la lotta contro la corruzione era così fondamentale per la politica degli Stati Uniti e così prioritaria, che i funzionari dell’amministrazione Biden hanno considerato di fare qualcuno come esempio, per sottolineare che nessuno è sopra la legge, oppure immune quando si tratta del crimine della corruzione”. I membri della missione affermavano nel loro sopracitato rapporto che l’ormai 79enne dirigente dell’opposizione si potrebbe considerare alla fine della sua vita politica. Ma affermavano, altresì, che “…non è il modo come la giustizia americana possa mettere nel mirino qualcuno per dare lezione ad un attuale colpevole”. E per rendere tutto più chiaro hanno usato il detto cinese “Uccidere i polli per spaventare le scimmie”. Per chi conosce la preoccupante realtà albanese è molto chiaro che se c’è qualcuno che dovrebbe essere punito per la galoppante corruzione in Albania quello è proprio il primo ministro. Ma “stranamente” durante la sua visita lampo in Albania, il 15 febbraio scorso, il segretario di Stato statunitense ha dichiarato che il primo ministro albanese era “…un illustre dirigente e un ottimo primo ministro”(Sic!). Chissà perché?! Ed era proprio quel segretario di Stato che il 19 maggio 2021 firmava la sopracitata decisione nei confronti del dirigente dell’opposizione,

    Chi scrive queste righe ha trattato per il nostro lettore questi argomenti e continuerà a farlo. Egli, nel frattempo, trova sempre attuale che un’ingiustizia fatta all’individuo è una minaccia fatta a tutta la società. Come saggiamente affermava Montesquieu circa tre secoli fa.

  • Autocrati disponibili a tutto in cambio di favori

    Un tiranno troverà sempre un pretesto per la sua tirannia.

    Esopo

    Il 10 dicembre 1948, durante la sua terza sessione, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Dichiarazione universale dei Diritti umani. Si tratta di un importante documento che sancisce i diritti innati, acquisiti ed inalienabili dell’essere umano. Si tratta di diritti fondamentali ed universali che garantiscono la dignità della persona. L’articolo 19 della Dichiarazione conferma che “…tutti hanno il diritto alla libertà di espressione; questo diritto include la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni tipo, senza limiti di frontiera, sia oralmente, sia per iscritto, sia sotto forma d’arte, sia attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta”.

    Oltre alle istituzioni specializzate di ogni Paese e di quelle internazionali, anche il contributo del giornalismo indipendente e responsabile è importante e necessario per garantire sia la tutela dei diritti dell’essere umano, che l’investigazione e la denuncia degli abusi di potere da parte dei rappresentanti politici ed istituzionali. Compresi i massimi livelli. Anzi, loro prima di tutti gli altri. Nel mondo sono operativi diversi media scritti, audiovisivi ed in rete che contribuiscono a raggiungere questo obiettivo. Risulterebbe che uno di loro sia anche il giornale digitale francese Mediapart, fondato nel 2008 da un ex capo redattore della nota testata Le Monde. Mediapart è un quotidiano che non accetta nessuna pubblicità ed è finanziato soltanto dagli abbonamenti dei cittadini. Si tratta di un media composto da due sezioni. Le Journal è lo spazio dove pubblicano i giornalisti professionisti, mentre Le Club è quello in cui scrivono i cittadini abbonati. Bisogna, in più, sottolineare che è stato proprio Mediapart che ha denunciato gli abusi fatti da due presidenti della repubblica francese, Nicolas Sarcozy e François Hollande, con le dovute conseguenze sancite dalla legge. Lo stesso quotidiano, per primo, ha reso pubblico quello che nel 2010 venne chiamato come l’affare Bettencourt. Ha pubblicato nel 2012 una registrazione audio che costrinse, in seguito, l’allora ministro delle finanze a dare le dimissioni. E questi sono soltanto alcuni dei molti altri casi seguiti e resi pubblici dai giornalisti investigativi di Mediapart.

    Il 28 febbraio scorso è stato proprio questo media che ha pubblicato un articolo in cui si trattava la vera realtà in Albania. L’articolo, intitolato “Albanie: comment l’autocrate Edi Rama est devenu le meilleur allié des Occidentaux” (Albania; come l’autocrate Edi Rama è diventato il miglio alleato degli occidentali; n.d.a.), evidenzia, fatti accaduti alla mano, come un autocrate, il primo ministro, controlla tutto anche con il sostegno degli “occidentali”, in cambio a dei favori a loro necessari e ben graditi. Si tratta di un articolo investigativo scritto da tre noti giornalisti del Mediapart che cominciano affermando: “La capitale albanese s’imposta come una tappa diplomatica inevitabile nei Balcani, nel frattempo che il Paese si appresta ad accogliere i richiedenti asilo “delocalizzati” dall’Italia”. Ed in seguito gli autori dell’articolo scrivono: “Mercoledì, il 28 febbraio, l’Albania organizza un “vertice di pace” con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. L’indomani (29 febbraio; n.d.a.) la capitale albanese ospiterà un vertice regionale Balcani-Unione europea. Del “Vertice” sull’Ucraina il nostro lettore è stato informato la scorsa settimana (Vertice che non è servito a niente tranne alla necessità di apparire; 4 marzo 2024). Nel loro articolo gli autori francesi affermano che “Due settimane prima, il 15 febbraio, c’era il segretario di Stato americano Antony Blinken in una visita a Tirana, dove non ha mancato di salutare “l’importanza strategica” dell’Albania e “l’eccellente collaborazione che mantiene il piccolo Paese con gli Stati Uniti”. E poi gli autori si domandano: “Come mai il regime del primo ministro Edi Rama è diventato il partner privilegiato degli occidentali nella penisola balcanica, mentre le libertà fondamentali continuano a peggiorare in Albania?”. L’autore di queste righe, riferendosi alla visita del segretario di Stato statunitense, informava il nostro lettore anche che “….il segretario di Stato ha considerato il primo ministro albanese come “un illustre dirigente e un ottimo primo ministro” (Sic!). Chissà a cosa si riferiva? Ma non di certo alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese” (Sostegno da Oltreoceano ad un autocrate corrotto; 20 febbraio 2024).

    Nell’articolo pubblicato da Mediapart, riferendosi al primo ministro albanese, gli autori evidenziano che lui “…è nato e cresciuto in una famiglia della nomenklatura dell’Albania stalinista”. Sempre riferendosi al primo ministro albanese, affermavano che lui “…guida l’Albania in un modo sempre più aspro, sapendo [però] come diventare utile per i suoi partner stranieri ed evitare ogni critica riguardo alla [sua] caduta verso l’autoritarismo”. Gli autori del sopracitato articolo affermavano che in cambio dei favori offerti e spesso attuati dal primo ministro albanese “…i partner occidentali sono pronti ad ignorare le “piccole” deviazioni del suo regime dal predominio della legge”. Loro evidenziavano, altresì, che  “Negli ultimi anni la riforma della giustizia […] è stata deviata dai suoi obiettivi”.

    Nel ultimo capitolo del sopracitato articolo pubblicato il 28 febbraio scorso da Mediapart, gli autori scrivevano che il primo ministro albanese, di fronte ai partner occidentali, “…non ha nessuna difficoltà di imporre la narrativa che interessa a lui”. Aggiungendo che il primo ministro albanese fa apparire se stesso “…come ‘un uomo di Stato della stabilità’ nei Balcani, come l’amico sul quale l’Occidente può sempre appoggiarsi. E, per questo, gli occidentali sono pronti a non mostrarsi così rigorosi con i principi democratici”. Con questa frase terminava l’articolo.

    Chi scrive queste righe ha spesso trattato anche questi argomenti per il nostro lettore e condivide quanto hanno scritto i tre giornalisti del Mediapart. Egli, fatti accaduti alla mano, è convinto che il primo ministro albanese è un autocrate disponibile a tutto in cambio di favori. E parafrasando Esopo, il noto scrittore della Grecia antica, si potrebbe dire che un autocrate troverà sempre un pretesto per la sua autocrazia. Anche perché un autocrate e un tiranno hanno molte cose in comune.

  • Vertice che non è servito a niente tranne alla necessità di apparire

    Le persone non sono ridicole se non quando vogliono parere o essere ciò che non sono.

    Giacomo Leopardi

    Continua la guerra in Ucraina con tutte le sue gravi e tragiche conseguenze. Si combatte, si soffre e si muore ogni giorno in diverse parti del martoriato paese. Subito dopo quel 24 febbraio 2022 sono stati immediati gli aiuti proposti e realmente resi attivi da diversi Paesi del mondo. Compresi anche concreti supporti con delle forniture di armamenti ed altre necessità militari, di cui l’Ucraina ne aveva bisogno. Sono stati molti i Paesi, compresi anche quelli dell’Unione europea, che hanno attuato sanzioni contro la Russia. Ma sono stati altri Paesi, alcuni dei quali con grande influenza a livello geopolitico e geostrategico internazionale, che appoggiano il dittatore russo. Ragion per cui non hanno condannato l’aggressione da lui ideata ed ordinata. Durante questi ultimi due anni ci sono stati molti sviluppi ed eventi legati sia alla guerra vera e propria, sia alle scelte geostrategiche di diversi Paesi, alleati e avversari dell’Ucraina. Durante questi due anni sono stati organizzati e realizzati anche diversi vertici internazionali in appoggio dell’Ucraina. Vertici con dei risultati concreti, Ma non tutti però. Come quello organizzato ed attuato il 28 febbraio scorso in Albania.

    Fatti ormai resi pubblici, compresi anche gli atti ufficiali alla mano, risulta che si è trattato non di un vertice, bensì di un incontro, di una messinscena, che il primo ministro albanese ed altri suoi “amici”, hanno ideato ed usato per altri scoppi che non avevano niente in comune con le necessità concrete e vitali dell’Ucraina. E tutto si svolgeva solo un giorno dopo il vertice organizzato a Parigi dal presidente francese, il 26 febbraio scorso. Un vertice che ha messo insieme più di venti capi di Stato e di governo di diversi Paesi che hanno partecipato alla Conferenza dei Paesi alleati per il sostegno all’Ucraina. Durante quella Conferenza il presidente francese ha dichiarato, tra l’altro:”…Oggi è in gioco la sicurezza di noi tutti. Abbiamo visto, soprattutto negli ultimi mesi, un inasprimento della Russia”. Aggiungendo:”Faremo tutto il necessario affinché la Russia non possa vincere questa guerra”.

    Prima del ‘vertice’ nella capitale albanese, il 28 febbraio scorso, c’è stato un altro vertice regionale sull’Ucraina. Il 21 agosto 2023 ad Atene, in Grecia, in occasione del ventesimo anniversario del vertice di Salonicco tra l’Unione europea ed i Paesi dei Balcani occidentali, il primo ministro greco aveva invitato i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e i dirigenti dei Paesi balcanici. Mancava solo il primo ministro albanese volutamente non invitato dall’anfitrione. Tutto dovuto ad un contenzioso legato alla carcerazione di un sindaco eletto il 14 maggio nonostante fosse stato arrestato solo due giorni prima delle elezioni. Si tratta di un cittadino della minoranza greca in Albania che tuttora le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore, ubbidendo agli ordini del primo ministro, non permettono di fare il giuramento come sindaco eletto. Durante il vertice di Atene è stata approvata una dichiarazione ufficiale con la quale si esprimeva il pieno sostegno “….per l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti internazionalmente, basati sui valori della democrazia e dello Stato di diritto, contro l’aggressione russa”.

    Invece il ‘vertice’ sull’Ucraina, svoltosi il 28 febbraio scorso nella capitale albanese, non ha prodotto nessun effetto concreto. Alla fine di quello che più di un vertice era un incontro è stato appurato il dominio della Serbia ed i condizionamenti fatti dal presidente serbo al suo “amico”, l’anfitrione albanese, per modificare il protocollo ufficiale e cambiare il testo della dichiarazione finale. Perché il presidente serbo ha insistito che non fossero presenti le bandiere nazionali degli Stati partecipanti al ‘vertice’ in Albania, cosa che non accade mai in attività del genere. E ha ottenuto, altresì, che tutti i firmatari della dichiarazione finale firmassero come singole persone e non come autorità ufficiali! Tutto per non far riconoscere la presenza della delegazione del Kosovo guidata dalla presidente della repubblica. E, guarda caso, il primo ministro albanese ha esaudito le richieste del suo “amico” serbo, calpestando protocolli ed altro. Chissà perché?! E siccome la Serbia ha degli ottimi rapporti con la Russia e non ha mai aderito alle sanzioni dell’Unione europea fatte alla Russia, il presidente serbo ha condizionato e cambiato anche il testo della dichiarazione finale del ‘vertice’ in Albania. È stato proprio il presidente serbo che ha dichiarato fiero ai giornalisti “…di aver insistito affinché la dichiarazione del vertice non includesse alcun invito a imporre sanzioni alla Russia e non includesse la formulazione proposta sull’influenza negativa della Russia nella regione balcanica”! Non c’è stata però nessuna decisione concreta che si riferiva al sostegno dei Paesi balcanici all’Ucraina. Chissà perché?!

    Ma durante il ‘vertice’ sull’Ucraina del 28 febbraio scorso in Albania è stata verificata anche la presenza di una persona che non aveva nessun mandato ufficiale per essere lì. Non solo, ma di essere tra gli ospiti importanti del ‘vertice’. Si tratta del figlio di George Soros, il noto multimiliardario e speculatore di borsa statunitense, molto attivo nei Paesi balcanici durante questi ultimi anni. Le cattive lingue hanno insistito anche su una cena privata in tre dopo il ‘vertice’ tra il primo ministro albanese, il presidente della Serbia ed il figlio di George Soros. E si sa, le cattive lingue in Albania non hanno mai sbagliato in quello che hanno affermato durante questi anni.

    Chi scrive queste righe è convinto, fatti pubblicamente noti ormai alla mano, che il ‘vertice’ di Albania sull’Ucraina non ha prodotto niente per la sofferente e martoriata popolazione ucraina, mentre ha fatto contento però il presidente serbo. È stato un vertice che non è servito a niente tranne alla necessità di apparire del primo ministro albanese. A costo di sembrare anche ridicolo nel suo tentativo di farsi notare come un importante protagonista a livello internazionale, dando così un’ulteriore conferma alla saggezza di Giacomo Leopardi, il quale affermava convinto che le persone non sono ridicole se non quando vogliono parere o essere ciò che non sono.

  • Una decisione che viola i diritti dei giornalisti indipendenti

    Dove c’è un tribunale c’è iniquità.

    Lev Tolstoj

    Il Consiglio d’Europa è stato costituito a Londra, il 5 maggio 1949. I dieci Paesi che lo hanno fondato dovevano impegnarsi a non avere più conflitti armati in Europa ed evitare, perciò, tutte le atrocità vissute e sofferte durante la Seconda guerra mondiale, finita soltanto quattro anni prima. Nel documento base del Consiglio d’Europa si sancivano anche gli obiettivi da raggiungere. I Paesi firmatari si dovevano impegnare a promuovere e difendere i principi della democrazia, i diritti dell’uomo, l’identità culturale dei Paesi europei, nonché risolvere i diversi problemi sociali nei Paesi membri del Consiglio d’Europa. Obiettivi che ormai devono rispettare non più dieci, bensì quarantasei Paesi aderenti.

    Era il 4 novembre 1950 quando a Roma è stata approvata la Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, nota come la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Si trattava di una Convenzione basata su quanto sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Una Convenzione che entrò in vigore il 3 settembre 1953 per gli Stati aderenti al Consiglio d’Europa e che tale rimane anche attualmente per tutti i Paesi membri. In seguito, nel 1959, si costituì la Corte europea dei Diritti dell’Uomo, ideata come un organo internazionale giurisdizionale, il cui principale obbligo istituzionale era ed è quello di garantire quanto si stabilisce nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. In più la Corte europea dei Diritti dell’Uomo, con sede a Strasburgo, garantisce a tutti i cittadini dei Paesi membri del Consiglio d’Europa il diritto di rivolgersi alla Corte. Riconosce perciò il diritto e fare ricorso per risolvere ogni contenzioso con le istituzioni del Paese di appartenenza, dopo avere esaurito lì tutto il percorso giuridico e quando il cittadino non è convinto di aver avuto una giusta giustizia.

    L’articolo 10, comma 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sancisce: “Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. …”. Mentre il 16 settembre 2022 la Commissione europea ha adottato un documento noto come European Media Freedom Act (Legge europea sulla libertà dei media; n.d.a.). L’articolo 4, comma 3, di questa legge sancisce: “Gli Stati membri non possono sanzionare, intercettare, sottoporre a sorveglianza, perquisizione o sequestro, media professionisti, i loro dipendenti o i loro familiari, perché si rifiutano di rivelare informazioni sulle loro fonti, a meno che ciò non sia giustificato da un’esigenza di interesse pubblico”.

    L’Albania è diventato un Paese membro del Consiglio d’Europa dal 13 luglio 1995. Come tale ha assunto anche l’obbligo di rispettare quanto è stato sancito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, compreso il suo articolo 10, comma 1. Perciò, tutte le istituzioni albanesi, sia quelle statali e governative, sia anche le istituzioni del sistema della giustizia, sono obbligate a rispettare quanto sancito in quell’articolo. E cioè sono obbligate a rispettare il diritto di un giornalista a non rivelare la fonte delle sue informazioni. Ma una decisione della Corte Suprema del 20 febbraio scorso ha violato questo diritto ad un giornalista investigativo che stava indagando sulle attività di un’organizzazione della criminalità organizzata e il coinvolgimento di alcuni alti funzionari istituzionali e rappresentanti politici dell’unico partito al governo. Era il 13 dicembre 2023 quando il giornalista è stato fermato, in piena violazione della legge, dai funzionari della Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata, un “vanto” del sistema “riformato” della giustizia in Albania. Una Struttura che però e purtroppo, dati accaduti e che stanno accadendo alla mano, risulta non rispettare i propri obblighi previsti dalla legge, ma ubbidire agli ordini che arrivano dai massimi livelli governativi e politici. Il nostro lettore è stato spesso informato delle violazioni della Costituzione e delle legge in vigore da parte di questa Struttura. Al giornalista fermato hanno sequestrato i telefoni, i computer ed hanno chiesto di rivelare le fonti delle sue informazioni legate all’organizzazione della criminalità organizzata e ad alcuni alcuni alti funzionari istituzionali e politici sui quali lui stava indagando. Il giornalista ed i suoi legali si sono rivolti al tribunale di primo grado della capitale, ma il tribunale ha dato ragione all’operato della Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata. La stessa decisione è stata presa in seguito anche dalla Corte d’Appello.

    Dopo quelle decisioni sono state immediate le reazioni delle organizzazioni locali ed internazionali dei giornalisti, come Reporters sans Frontières (Reporter senza Frontiere) e la Federazione europea dei giornalisti. Ma sono valse a niente tutte queste reazioni. Il 20 febbraio scorso la Corte Suprema ha convalidato le decisioni del tribunale della capitale e quella della Corte d’Appello. Ma quello che risulta veramente “strano” nella decisione della Corte Suprema è proprio il fatto che quella decisione contrasta palesemente con un’altra decisione presa dalla stessa Corte più di due anni fa. E guarda caso, tre dei cinque giudici erano gli stessi che hanno deliberato diversamente quando si stava giudicando il caso di due giornalisti e dei materiali sequestrati al loro media dai funzionari della Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata! L’autore di queste righe informava il nostro lettore allora che “…i due giornalisti si sono rivolti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Con una sua immediata delibera del 22 aprile 2021, quella Corte ha considerato la decisione presa dal tribunale albanese non valida ed ha deciso che “Le autorità (del Sistema di giustizia albanese; n.d.a.) devono impedire l’attuazione della delibera […] per il sequestro della strumentazione che serve per la conservazione dei dati e delle informazioni, dei computer o altre strumentazioni elettroniche appartenenti al ricorrente …” (Uso scandaloso di dati personali; 31 gennaio 2022). Dopo quella decisione della Corte europea dei Diritti dell’Uomo c’è stata anche la decisione della Corte Suprema albanese a favore dei due giornalisti. Chissà perché il 20 febbraio scorso la stessa Corte, compresi anche tre dei cinque giudici che hanno deliberato, decisero proprio l’opposto contrario, nonostante i due casi erano simili?!

    Chi scrive queste righe pensa che quella decisione della Corte Suprema albanese viola i diritti dei giornalisti indipendenti e rappresenta un ulteriore e preoccupante testimonianza del controllo del sistema “riformato” della giustizia da parte del potere politico. Chi scrive queste righe è convinto che non ovunque dove c’è un tribunale c’è iniquità, come affermava Lev Tolstoj. Ma quella realtà si verifica purtroppo molto spesso in Albania.

  • Sostegno da Oltreoceano ad un autocrate corrotto

    In nessun altro tempo ebbe la ciarlataneria tanti seguaci e s’allegrò di

    così lauti profitti, quanto in questo tempo di spregiudicati e di scaltriti.

    Arturo Graf; da “Ecce Homo”, 1908

    Si continua a combattere e a morire nella Striscia di Gaza, dopo che il 7 ottobre 2023 i terroristi di Hamas attaccarono e uccisero circa 1200 persone innocenti, tra civili e militari israeliani. In più presero come ostaggi circa 250 altri cittadini israeliani. Da allora il numero delle vittime aumenta ogni giorno che passa. E mentre il conflitto continua si sta cercando anche di mediare tra le parti. Purtroppo i negoziati, tuttora in corso, non hanno portato ad una soluzione plausibile e duratura, accettata sia dal governo israeliano, sia dai rappresentanti del Hamas.

    Nel frattempo e quasi da due anni ormai si continua a combattere e a morire anche in Ucraina. L’aggressione, che il dittatore russo considerava “un’operazione militare speciale”, cominciò il 24 febbraio 2022. Un’aggressione che ha causato molte vittime innocenti, soprattutto tra i cittadini ucraini. L’opinione pubblica in tutto il mondo ha avuto modo di conoscere le atrocità dell’esercito russo. Sono tanti i simboli di queste crudeltà, compresa quella nella cittadina di Bucha durante la primavera del 2022. Lì sono stati ritrovati uccisi e buttati nelle fosse comuni alcune centinaia di cittadini inermi ucraini, tra cui anche bambini ed anziani. Ogni giorno che passa arrivano notizie di questa guerra che continua a mietere tante vite umane. L’ideatore di questa aggressione continua però a parlare cinicamente di “un’operazione militare speciale” e non di una sanguinosa guerra, di una vera e propria carneficina.

    Purtroppo attualmente non si combatte e non si muore soltanto in Ucraina e nella Striscia di Gaza. Da circa dieci mesi si sta combattendo anche in Sudan, causando morti tra i civili inermi e i combattenti nonché una grave crisi umanitaria. Nello stesso tempo però sono in corso anche altri combattimenti in diverse parti del mondo, con morti e distruzioni, nonostante non abbiano la stessa attenzione mediatica e politica.

    La scorsa settimana c’è stata un’altra notizia che ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica; la morte di Alexei Navalny, il maggior oppositore politico del dittatore russo. La morte “improvvisa” è avvenuta in una prigione speciale in Siberia, oltre il circolo polare artico, costruita nel periodo dei lager nell’Unione Sovietica. La colonia penale IK-3, nota anche come la colonia Polar Wolf (Lupo polare; n.d.a.) si trova a circa duemila chilometri a nord-est di Mosca. E, guarda caso, la morte di Navalny è avvenuta a meno di un mese dalle elezioni presidenziali in Russia, previste tra il 15 ed il 17 marzo 2024. Elezioni che, vista la realtà, saranno “vinte” di nuovo dal dittatore russo. Proprio da lui che ha visto sempre nella persona di Alexei Navalny un avversario molto pericoloso, perciò un avversario da eliminare.

    La notizia della morte di Navalny è stata diffusa dalle autorità venerdì scorso, 16 febbraio, alle ore 14:17 locali (le 10:17 italiane; n.d.a.). Lo confermava anche un certificato rilasciato a sua madre dalle autorità della colonia penale IK-3, dopo che lei era andata lì per vedere il defunto figlio, dopo la diffusione della notizia, insieme con l’avvocato di Navalny. Bisogna sottolineare che la notizia è stata propagata dal servizio penitenziario russo tramite alcune delle reti televisive controllate dal governo. In un breve comunicato stampa si faceva sapere che Alexei Navalny “… si è sentito male dopo una passeggiata e ha perso conoscenza quasi immediatamente”. Aggiungendo che “…tutti gli sforzi fatti per rianimarlo non hanno avuto esiti”. Da fonti indipendenti e credibili risulterebbe che ai media ed ai giornalisti è stato “consigliato” di non dare spazio alla notizia e comunque di attenersi a quanto diramato solo dalle autorità e diffuso dalle televisioni e dalle agenzie stampa controllate dal governo russo. Ma nonostante tutto ciò, la notizia ha avuto subito una rapida diffusione a livello internazionale. E si riferiva soprattutto alle dichiarazioni della madre e della moglie di Navalny, della sua portavoce e dell’avvocato. Si è saputo che sua madre ed il suo legale hanno dovuto aspettare per circa due ore prima che un funzionario della colonia penitenziaria si presentasse finalmente per comunicare loro che il corpo era stato portato nel obitorio di una città a circa 50 chilometri di distanza. Andati lì hanno trovato però l’obitorio chiuso, In seguito, è stato comunicato loro che il cadavere non si trovava nell’obitorio! La famiglia e i suoi collaboratori sono convinti che la morte di Navalny “ha un solo responsabile: Vladimir Putin”. La portavoce dell’oppositore ha dichiarato, tra l’altro::“….Ora chiediamo che il corpo di Navalny sia consegnato alla famiglia, e facciamo appello a tutti perché lo chiedano con noi”.

    Alexei Navalny, morto il 16 febbraio scorso, a 47 anni, era un avvocato e uno dei più convinti ed agguerriti oppositori del dittatore russo. Aveva cominciato la sua attività politica all’inizio degli anni 2000 con il partito liberale e nazionalista Yabloko (La mela; n.d.a.). In seguito ha aperto un sito dove denunciava la corruzione del regime russo e degli oligarchi “amici” del dittatore. Poi, nel 2011, registra ufficialmente la sua Fondazione anticorruzione e continua a pubblicare molti materiali e documenti con i quali denunciava la corruzione ai massimi livelli del potere politico. Ed era proprio tra il 2011 ed il 2012 che Navalny organizzava e dirigeva, insieme ad altri suoi amici e collaboratori, delle proteste in piazza contro i brogli elettorali. Brogli che garantivano sempre al dittatore russo la vittoria. Le “paperelle gialle” sono state diventate il simbolo della realtà russa, caratterizzata dalla corruzione diffusa e che partiva dai massimi livelli del potere politico. Navalny diventa perciò un’avversario “ingombrante” per il dittatore russo e proprio per questa ragione lui non è stato registrato come candidato nelle elezioni presidenziali del 2018 con la scusa di una “condanna per frode”. Alexei Navalny diventava sempre più una crescente preoccupazione per lo zar russo. Ragion per cui quest’ultimo ordina ai suoi di avvelenarlo. Era il 20 agosto del 2020 quando, a bordo di un aereo diretto a Mosca, Navalny si sente male. Perciò l’aereo atterra nella città di Omsk e lui viene ricoverato nell’ospedale dove, comunque, non hanno fatto riferimento di avvelenamento. Da quell’ospedale Navalny, su sua richiesta, è stato trasferito presso l’ospedale Charité (Carità; n.d.a.) di Berlino. I medici tedeschi hanno constatato l’avvelenanento con un agente nervino. Ma nonostante la consapevolezza dei pericoli che poteva affrontare, Navalny, dopo la degenza in Germania, nel gennaio 2021 decise di ritornare di nuovo in Russia. Ma in patria lui è stato di nuovo condannato dal regime russo. Condanne che ammontavano, tutte insieme, ad oltre trent’anni di carcere. A quelle condanne poi, guarda caso, subito dopo l’inizio guerra in Ucraina, a Navalny è stata aggiunta un’altra condanna di nove anni. Ma non è finita lì. Era l’agosto del 2023 quando a lui arriva un’altra, l’ennesima, condanna. Quella volta di 19 anni di prigione. Ed era dopo quella condanna che lui, a fine dicembre scorso, è stato trasferito proprio nella colonia penale IK-3 dove, secondo i suoi familiari e collaboratori, è stato ucciso venerdì scorso 16 febbraio.

    Subito dopo la diffusione della notizia della morte di Navalny in diverse città in Russia sono state organizzate delle manifestazioni per onorare quello che lui rappresentava. Ovviamente la reazione delle autorità russe è stata immediata, con alcune centinaia di arresti. Durante il fine settimana ci sono state delle manifestazione in onore di Navalny anche in diverse capitali e città europee e negli Stati Uniti d’America. Lunedì 19 febbraio, mentre le autorità russe annunciavano che la salma non sarebbe stata restituita alla famiglia per altri 14 giorni, la vedova di Alexei Navalny è stata a Bruxelles dove ha partecipato alla riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi membri dell’Unione europea. Lo stesso giorno, in una video, lei affermava: “Mentono meschinamente e nascondono il suo corpo attendendo quando svaniranno le tracce dell’ennesimo novichok di Putin”.

    Purtroppo il dittatore russo ha dei suoi simili in diverse parti del  mondo. Simili che, come lui, fanno di tutto per avere le “mani libere” nella gestione dei regimi dittatoriali. Compresa anche l’eliminazione degli avversari politici e di qualsiasi opposizione. Quanto sta accadendo in questi ultimi mesi in Albania ne è una significativa ed inconfutabile testimonianza. Il nostro lettore è stato informato della palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore da parte delle istituzioni del sistema “riformato’ della giustizia. Si tratta di procuratori e giudici che, ubbidendo agli ordini personali e perentori del primo ministro albanese, hanno deliberato prima il divieto dell’uso del passaporto e poi, dal 30 dicembre scorso, l’arresto domiciliare del dirigente dell’opposizione politica albanese (Inconfutabili testimonianze di una dittatura in azione, 23 ottobre 2023; Preoccupante ubbidienza delle istituzioni al regime dittatoriale, 7 novembre 2023; Un dittatore corrotto e disposto a tutto, 20 dicembre 2023). Riferendosi alla drammatica realtà albanese, l’autore di queste righe scriveva che si tratta di una realtà: “…che è stata palesemente confermata anche da quello che è accaduto con il dirigente dell’opposizione, ex presidente della Repubblica (1992-1997) ed ex primo ministro (2005-2013). Per il primo ministro e per i suoi “alleati”, lui rappresenta non solo un avversario politico, ma bensì un nemico da combattere con tutti i metodi. E dal 30 dicembre scorso, in piena violazione della Costituzione e delle leggi in vigore, il dirigente dell’opposizione è agli arresti domiciliari” (Preoccupanti e pericolose somiglianze; 16 gennaio 2024).

    Il primo ministro albanese, trovandosi sempre più impantanato in vistose difficoltà, da lui stesso causate, sta cercando, costi quel che costi, un “appoggio internazionale”. E siccome non convince più il comprato sostegno dei soliti “rappresentanti diplomatici” accreditati in Albania e neanche quello di alcuni rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea, allora lui sta disperatamente cercando di avere anche l’appoggio di alcuni massimi rappresentanti delle istituzioni statunitensi.

    Giovedì scorso, 15 febbraio, per alcune ore, è arrivato in  Albania il segretario di Stato degli Stati Uniti d’America. Proprio colui che ultimamente è stato continuamente impegnato nei negoziati difficili e ad ora senza nessun esito, tra l’Israele e Hamas. Proprio lui che, guarda caso, il 19 maggio 2021 dichiarava il dirigente dell’opposizione, ormai agli arresti domiciliari dal 30 dicembre scorso, come persona “non idonea ad entrare negli Stati Uniti d’America’. Una visita, quella del segretario di Stato ,che è stata smentita dalle istituzioni statunitensi fino a pochi giorni prima di essere stata realizzata. Una visita durante la quale non sono state trattate delle “questioni geostrategiche”, come preannunciavano alcuni media controllati dal primo ministro albanese. Una visita, durante la quale l’illustre ospite ha avuto un brevissimo incontro con il presidente della Repubblica, un ubbidiente  servitore del primo ministro, fatti accaduti alla mano. Una visita, durante la quale il segretario di Stato ha incontrato anche alcuni dirigenti delle istituzioni del sistema “riformato’ della giustizia. Il segretario di Stato statunitense ha avuto però un lungo incontro e poi una conferenza stampa con il primo ministro albanese. E durante quella conferenza stampa il segretario di Stato ha considerato il primo ministro albanese come ”un illustre dirigente e un ottimo primo ministro” (Sic!). Chissà a cosa si riferiva? Ma non di certo alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese. E se lui, il segretario di Stato, avesse letto solo l’ultimo rapporto pubblicato nel marzo 2023 proprio del Dipartimento di Stato che lui dirige, doveva avere avuto dei “buoni motivi” per dire quelle parole.

    Chi scrive queste righe pensa che quello del segretario di Stato statunitense, giovedì scorso, è stato un vergognoso sostegno da oltreoceano ad un autocrate corrotto. Aveva pienamente ragione Arturo Graf quando scriveva nel suo libro “Ecce Uomo” che in nessun altro tempo ebbe la ciarlataneria tanti seguaci e s’allegrò di così lauti profitti, quanto in questo tempo di spregiudicati e di scaltriti.

  • Assordanti silenzi che nascondono interessi occulti

    Il silenzio è l’ultima arma del potere.

    Charles de Gaulle

    Sabato scorso, il 10 febbraio, è stato celebrato il “Giorno del Ricordo”. Una ricorrenza, un giorno per ricordare le tante ed ineffabili atrocità subite tra il 1943 ed il 1945, ma anche negli anni che seguirono, dalla popolazione italiana in Venezia Giulia, Dalmazia ed altre aree circostanti. Atrocità messe in atto da alcuni reparti speciali dall’esercito jugoslavo con una freddezza disumana. Quella del “Giorno del Ricordo” è una ricorrenza per non dimenticare migliaia di morti innocenti istriani, fiumani e dalmati. Vittime incatenate con dei lunghi fili di ferro e portate sugli argini delle foibe, profonde fosse carsiche sul fondo delle quali si aprivano delle spaccature, spesso colme d’acqua. Gli spietati esecutori sparavano solo alle prime vittime che, cadendo dentro le foibe, trascinavano anche le altre, ancora vive, mentre precipitavano giù nei profondi inghiottitoi. Ma molte altre vittime innocenti hanno perso la vita nelle prigioni e nei campi di concentramento in Jugoslavia. Tutto è cominciato nel 1943, dopo la caduta del regime fascista in Italia ed il seguente armistizio. Sono stati resi attivi i cosiddetti “poteri popolari” e costituiti dei “tribunali speciali” gestiti da esponenti delle forze armate jugoslave. Tutto per fare giustizia e vendicarsi di quello che il regime fascista aveva fatto e causato in Venezia Giulia, in Dalmazia e in altre regioni. Si doveva “ripulire” tutto il territorio dai “nemici del popolo”. Quei tribunali hanno emesso migliaia di condanne a morte. Purtroppo la maggior parte delle persone condannate a morte non erano dei rappresentanti locali dei fascismo, ma bensì, dei semplici cittadini delle comunità italiane che vivevano da anni in quelle regioni. Simili atrocità continuarono fino alla firma del Trattato di Parigi, il 10 febbraio 1947. Come previsto in quel Trattato, alla Jugoslavia venivano assegnate l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia. Tutte regioni ed aree che fino ad allora erano dei territori dell’Italia.

    Ma le sofferenze e le violazioni dei diritti innati della popolazione italiana non finirono con la firma del Trattato di Parigi. Il regime comunista al potere in Jugoslavia aveva già pronta una strategia per gli italiani nelle zone annesse con il Trattato di Parigi. Coloro che appoggiavano il regime, considerati come i “meritevoli”, potevano rimanere ed integrarsi, invece tutti gli altri, che erano la maggior parte, si dovevano allontanare dai territori jugoslavi. Cominciò così un esodo drammatico degli italiani. Un esodo che, infatti, cominciò subito dopo la fine della seconda guerra mondiale e continuò fino al 1958. Un esodo che, secondo dei dati credibili, avrebbe coinvolto non meno di 250.000 persone, le quali sono state costrette a lasciare tutto, case ed averi lì dove abitavano. Purtroppo però gli esuli giuliani e dalmati, che sono arrivati in Italia, non sono stati bene accolti neanche lì. La maggior parte di loro è stata messa nei campi profughi allestiti dentro delle caserme ed altre strutture, costretti a subire anche un atteggiamento freddo e, non di rado, addirittura ostile degli italiani. Tra i tanti episodi, che non si dovevano mai e poi mai verificare, è molto significativo quello che ormai è noto come il ”treno della vergogna”. Nel 1947 erano sbarcati ad Ancona degli esuli arrivati da Pola. Da Ancona poi loro dovevano proseguire con treno per arrivare a La Spezia. Ma quegli esuli, considerati dalla popolazione locale come dei “fascisti in fuga”, sono stati trattati con ostilità. Il che ha reso necessario l’intervento dei militari. In seguito il viaggio degli esuli continuò a bordo di un treno merci. Era stata prevista una fermata di quel treno alla stazione di Bologna per offrire a coloro che erano dentro un pasto caldo. Ma tutto saltò in seguito ad una sassata contro il treno. Sassata organizzata ed attuata dai ferrovieri comunisti per impedire la fermata in stazione del “treno dei fascisti”! Il treno allora proseguì per poi arrivare finalmente e Parma dove gli esuli, tra i quali c’erano bambini ed anziani, ricevettero la necessaria assistenza ed ebbero qualche pasto prima di raggiungere La Spezia.

    Su tutte quelle atrocità subite dalla popolazione italiana in Venezia Giulia, in Dalmazia ed in altre località c’è stato per anni un continuo silenzio da parte dello Stato italiano, ma non solo. Silenzio che è stato causato dalle cosiddette “ragioni di Stato” e da “interessi geopolitici/geostrategici”. Dal 1948 la Jugoslavia si staccò dall’Unione Sovietica, assumendo un suo ruolo nello scacchiere geopolitico e geostregico. Il che costrinse i Paesi occidentali ad avere un diverso approccio ed un nuovo atteggiamento nei confronti della Jugoslavia, che era uno dei Paesi fondatori, insieme con India ed Egitto, nel 1955, del Movimento dei Paesi non allineati. Ma dopo tanti anni di “silenzio” sulle atrocità subite dagli italiani in Venezia Giulia, in Dalmazia ed altre località, finalmente c’è stata l’approvazione da parte del Parlamento, il 30 marzo 2004, e la successiva pubblicazione, il 13 aprile 2004, nella Gazzetta Ufficiale n.86, della legge n.92 che sanciva l’istituzione del “Giorno del Ricordo”. In quella legge si sanciva, tra l’altro, l’obbligo civile e morale per conservare e rinnovare “…la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati italiani, durante la seconda guerra mondiale e dell’immediato secondo dopoguerra (1943-1945), e della più complessa vicenda del confine orientale”. L’autore di queste righe ha sentito parlare per la prima volta delle disumane atrocità subite dalle popolazioni di Venezia Giulia e di Dalmazia da un suo collega. Erano gli inizi degli anni ’90. In seguito l’autore di queste righe ha avuto modo di incontrare anche la madre del collega, nato e vissuto fino alla giovanissima età a Lussinpiccolo. Poi è stato costretto, insieme con la sua famiglia, a lasciare l’isola di Lussino (ormai parte della Croazia; n.d.a.) e a sistemarsi a Trieste. Erano proprio il collega e sua madre, la quale parlava in dialetto, che hanno raccontato all’autore di queste righe di quello che i “titini” avevano fatto subire agli italiani. Foibe ed esodo forzato compresi. Racconti che egli ricorda ancora, soprattutto quando sente parlare delle foibe. Il “Giorno del Ricordo” offre perciò a tutti delle opportunità per conoscere la verità e, allo stesso tempo, ricorda l’obbligo civile e morale di non dimenticare tutte quelle atrocità.

    Purtroppo attualmente si stanno verificando altri esodi drammatici in diverse parti del mondo. Così come si sta verificando anche un preoccupante aumento di flussi delle persone che scappano da guerre e da altre difficoltà nei propri paesi natali. Quanto accade da anni ormai a Lampedusa ed in altre località dell’Italia meridionale ne è una inconfutabile testimonianza. Scappano i siriani, gli afghani, gli africani subsahariani ed altri. Scappano perché in Siria ancora ci sono degli scontri etnici armati. Scappano perché in Afghanistan, dopo il vergognoso ritiro nell’agosto 2021 del contingente internazionale, guidato dagli Stati Uniti d’America, i talebani, sopravvissuti per ben venti anni e poi ritornati di nuovo al potere, stanno reprimendo tutte le innate libertà degli afghani. Scappano i subsahariani ed altre popolazioni africane per sfuggire alle carestie ed altre sofferenze. Ma in questi ultimi dieci anni scappano in tanti anche dall’Albania, nonostante lì non si combatta una guerra. Ma in Albania in questi ultimi anni è stata restaurata e si sta consolidando, ogni giorno che passa, una pericolosa nuova dittatura. Il nostro lettore ormai da anni è stato sempre informato con la dovuta e richiesta oggettività e con tanti fatti accaduti e documentati alla mano, di questa vera, preoccupante, pericolosa e sofferta realtà. Realtà causata da quella dittatura camuffata da una ingannatrice facciata di pluripartitismo. Si tratta però di una dittatura, espressione dell’alleanza tra il potere politico, rappresentato istituzionalmente dal primo ministro, la criminalità organizzata locale e/o internazionale, quella italiana e latino americana comprese, e determinati raggruppamenti occulti internazionali. E non a caso, ormai da alcuni anni, gli albanesi stanno scappando numerosi dalla madre patria. Il che sta generando un altrettanto preoccupante e pericoloso problema a lungo termine: lo spopolamento dell’Albania. Purtroppo c’è una ben studiata, ideata e attualmente attuata strategia per lo spopolamento dell’Albania. Il governo jugoslavo, subito dopo la seconda guerra mondiale, ha costretto gli italiani in Venezia Giulia, in Dalmazia ed in altre località a scappare per poi impadronirsi dei loro territori. Mentre adesso, la strategia per lo spopolamento dell’Albania prevede l’uso dei territori abbandonati, da coloro che gestiscono tutto, per la diffusa coltivazione della cannabis e la necessaria base logistica. Il Paese deve diventare, con il passare degli anni e dopo il continuo spopolamento, una specie di “porto franco” sia per i traffici internazionali degli stupefacenti che per il successivo smistamento verso i Paesi dell Europa occidentale.

    Durante lo scorso autunno in Albania è stato svolto un censimento della popolazione. Ebbene il risultato di quel censimento non è stato ancora reso noto. Gli specialisti, con la loro esperienza professionale, affermano che sia per l’elaborazione dei dati, sia per la pubblicazione dei risultati era necessario non tanto tempo. Comunque meno del tempo ormai passato. Ad oggi però nessun risultato del censimento è stato reso pubblico. Secondo fonti credibili risulterebbe che la ragione è una sola: l’allarmante spopolamento del Paese. Nel 2011, in base al censimento fatto allora, risultava che in Albania la popolazione residente era di circa 2.800.000 abitanti. Invece attualmente la popolazione residente, nel migliore dei casi, non è mai superiore a 1.700.000! Mentre le cattive lingue dicono che attualmente in Albania la popolazione residente non supera i 1.500.000 abitanti. Chi sa che anche in questo caso le cattive lingue non abbiano avuto ragione?!

    L’autore di queste righe da anni ha trattato per il nostro lettore questo preoccupante e pericoloso fenomeno demografico. Già nel settembre 2015 egli scriveva: “…Giustamente l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sia orientata verso migliaia e migliaia di profughi che scappano dalle atrocità, di guerre e conflitti continui, in Medio Oriente e in Nord Africa. La situazione drammatica ha reso impossibile la vita a milioni di abitanti in quelle terre”. E poi continuava “…Purtroppo tutto questo sta sfumando un altrettanto preoccupante fenomeno che si sta consumando in Albania. Flussi migratori, provenienti da un paese candidato all’Unione Europea e membro della NATO, che gode da alcuni anni del regime di Schengen per la libera circolazione, si dirigono verso la Germania, ma non solo”(Accade in Albania; 7 settembre 2015). Mentre nell’estate del 2022 l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore: L’Albania si sta paurosamente spopolando! Solo questo fatto dovrebbe essere un assordante campanello d’allarme per tutte le persone responsabili, per tutti gli albanesi patrioti. Solo questo fatto dovrebbe essere un buon motivo, non solo per protestare, ma per ribellarsi contro il nuovo regime restaurato in Albania” (La ribellione contro le dittature è un sacrosanto diritto e dovere; 12 luglio 2022). Solo alcuni mesi dopo, sempre riferendosi agli albanesi che scappano, egli scriveva: “…dai dati risulta che durante i primi sei mesi di quest’anno nel Regno Unito sono arrivati 2165 albanesi, 2066 afghani, 1723 iraniani, 1573 iracheni, 1041 siriani, 850 eritrei, 460 sudanesi, 305 egiziani, 279 vietnamiti e 198 kuwaitiani. I numeri parlano da soli e meglio di qualsiasi commento!” (Scontri diplomatici e governativi sui migranti; 14 novembre 2022).

    Chi scrive queste righe è convinto che nei territori abbandonati in Albania ci sono dei progetti anche per far costruire dei centri per profughi, che altri Paesi europei possono trasferire in Albania. L’Italia ne sta approfittando. Ci sta seriamente pensando anche la Germania. In cambio i dirigenti di questi Paesi rimangono silenziosi di fronte alla molto preoccupante realtà albanese. Come si è fatto per tanti anni con la verità sulle foibe e sull’esodo degli italiani. Si tratta di assordanti silenzi che nascondono interessi occulti. Chi scrive queste righe, stimando Charles de Gaulle, condivide anche la sua convinzione sul silenzio. E cioè che il silenzio è l’ultima arma del potere.

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