I dazi: a monte o a valle
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Durante la presidenza Obama venne introdotta negli Stati Uniti la certificazione della filiera della carne nella quale venivano indicati tutti i passaggi, dall’allevamento alla macellazione fino al banco del supermercato. Questa iniziativa normativa ovviamente risultò molto apprezzata dal consumatore statunitense e provocò un aumento delle vendite di carne prodotta negli Stati Uniti a scapito di quelli importata dal Messico e dal Canada, dimostrando innanzitutto come anche i consumatori statunitensi risultino molto attenti alla certificazione della filiera di ogni alimento e quindi all’aspetto qualitativo. Contemporaneamente l’iniziativa conferma l’importanza della conoscenza nello specifico della certificazione della filiera che rappresenta la vera soluzione per un consumo consapevole di prodotti di alto di gamma, come risultano quelli del made in Italy.
I due stati (Canada e Messico) chiamarono in causa il Wto e ottennero di aprire una procedura contro gli Stati Uniti accusandoli di concorrenza sleale che avrebbe provocato una diminuzione delle proprie esportazioni di carne verso il mercato statunitense. All’inizio della propria presidenza Trump affermò come il mercato americano non potesse più rappresentare il punto di arrivo delle esportazioni di tutti i paesi (in particolare cinesi ed europee) ma che l’amministrazione statunitense aveva intenzione di riequilibrare il traffico commerciale in entrata come in uscita con gli altri paesi partner ed attori del mercato globale.
Fedele a queste impostazioni economico-politiche infatti l’amministrazione statunitense provò ad esportare in Europa la carne statunitense (la stessa certificata dall’amministrazione Obama) che venne bloccata in quanto non rispondeva a determinate specifiche presenti in Europa. Ebbero medesima sorte i prodotti agricoli in quanto sospettati di essere OGM.
A fronte di tali rifiuti nel 2017 il presidente Trump criticò aspramente queste decisioni europee definendole assolutamente inaccettabili e che avrebbe avviato, di fronte al perdurare di tali decisioni, una politica dei dazi relativa anche ai prodotti europei.
Nel medesimo periodo, cioè nell’ottobre 2017, l’Unione Europea unilateralmente decise l’introduzione dei dazi sull’alluminio e sul’acciaio cinese per un valore percentuale dal 23 al 52%.
Quando la medesima decisione venne presa solo cinque mesi più tardi dall’amministrazione statunitense l’Unione Europea criticò aspramente bollandola come un ulteriore attacco al mercato globale. Contemporaneamente la stessa Unione Europea introdusse dei dazi per i pneumatici cinesi da 43 fino a 82 dollari a pneumatico, omettendo così, ancora una volta, di essere stata la prima a introdurre questa politica dei dazi al fine di favorire le produzioni nazionali o continentali.
Successivamente, di fronte alla incapacità ed impossibilità per l’amministrazione statunitense di aumentare le proprie esportazioni verso l’Unione Europea, la pressione politica esercitata dagli Usa ha tuttavia permesso e negoziato un accordo con la Cina la quale si impegna ad acquistare circa 300 miliardi di nuovi prodotti agricoli.
Tornando all’Europa, sempre il presidente Trump ha introdotto, fronte al muro di gomma europeo, i dazi relativi all’alluminio e all’acciaio europeo. Contemporaneamente la pressione politica esercitata dall’amministrazione Trump ha indotto l’amministrazione cinese ad abbassare i dazi sulle auto straniere (sia europee che statunitensi) dal 25 al 15%. Verrebbe poi da chiedersi come mai la Ue abbia considerato un attacco al libero mercato l’azione del presidente Trump quando poi accettava dazi cinesi del 25% sulle proprie esportazioni di auto! Ora, dimenticando in più di essere stata la prima ad aver inaugurato questo tipo di strategia, l’Unione Europea ha deciso, o perlomeno sta decidendo, di introdurre una serie di dazi sui prodotti finiti come Levi’s o il Whisky Bourbon e le Harley-Davidson in risposta all’iniziativa dell’amministrazione americana, offrendo quindi una deriva pericolosa alle contromosse statunitensi. L’Unione Europea perciò prima ed unica responsabile per quanto riguarda l’inizio di questa tipologia di politica dei dazi in risposta all’amministrazione Trump impone dei dazi sui “prodotti finiti” mentre quelli imposti dall’amministrazione Trump riguardano le “materie prime“, per ora.
I dazi (va specificato) rappresentano certamente l’estrema ratio per quanto riguarda la politica economica. Tuttavia questi possono rappresentare anche una modalità, certamente temporanea, per salvaguardare le produzioni in attesa di un piano strutturale di sviluppo completo, come per esempio l’introduzione di una organizzazione aziendale più consona ad un mercato globale.
Questi inoltre hanno ragione di essere utilizzati quando le aziende si trovano ad operare in un mercato globale ma con regole profondamente diverse (per quanto riguarda le normative sul lavoro sui protocolli sanitari degli stessi prodotti), tanto da rendere i fattori di tutela dei lavoratori come quelli dei consumatori antieconomici, impossibili da annullare anche con qualsivoglia aumento della produttività. Soprattutto però dovrebbero essere imposti sulle materie prime e non sui prodotti finiti, perlomeno nelle prime stagioni di utilizzo di questa leva fiscale.
I dazi imposti sui prodotti finiti colpiscono infatti l’intera filiera a monte della stessa rendendo impossibile qualsiasi tipo di adeguamento produttivo che possa assorbire il valore anti-competitivo del dazio e di conseguenza penalizzando il consumatore. In questo senso si ricorda che il vantaggio per il consumatore viene considerato la ragione principale proposta dai fautori del mercato globale senza regole. Gli stessi che ora vogliono imporre i dazi sul prodotto finale, penalizzando così il consumatore, manifestano una netta contraddizione in termini.
Viceversa il dazio imposto a monte della filiera, quindi sulle materie prime, permette alle diverse industrie di trasformazione che partecipano alla complessa filiera, attraverso la ricerca di una maggiore produttività come di sinergie anche digitali più evolute ed un conseguente aumento della produttività, di assorbire il valore del dazio in modo da rendere minimo l’impatto per il consumatore.
Ancora una volta l’Unione Europea ha dimostrato di avere una posizione ideologica ed assolutamente irresponsabile attraverso la scelta di imporre dei dazi sui prodotti finiti che coinvolgono figure professionali che rappresentano la forza lavoro e professionale delle diverse aziende che contribuiscono alla filiera complessa di un prodotto.
La posizione europea, sia che venga dettata da una questione ideologica o semplicemente da una miope visione economica, rappresenta l’ennesima conferma di un declino culturale che investe l’intero vecchio continente. Una Europa che si dimostra e si conferma incapace di gestire un mercato complesso ignorando o annullando i problemi che la complessità inevitabilmente comporta.