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Con Boris Johnson la Brexit diventa un rebus

E il Regno Unito corre dritto verso il “no deal”

L’ipotesi più probabile è che l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea avvenga il 31 ottobre senza nessun accordo per il dopo (no deal). Boris Johnson, il primo ministro, punta a questa soluzione, pur di mettere la parola fine alla Brexit, che da tre anni infierisce sulla politica britannica, contando le dimissioni di due primi ministri e di numerosi ministri, senza, per ora, cavare un ragno dal buco. L’accordo raggiunto infatti da Theresa May con l’UE è stato respinto tre volte dal parlamento e l’attuale governo insiste per modificarlo entro la fine d’ottobre, non si sa bene se è perché ci crede o se ne fa finta, tanto per prender tempo. Il pomo della discordia è rappresentato dal confine dell’Irlanda del Nord con la Repubblica d’Irlanda. Nell’accordo con la May, l’UE garantirebbe un confine aperto, senza dogane, in attesa di trovare una soluzione definitiva comune con il R.U. dopo la sua uscita dall’Europa. Ma è proprio su questo tema che si sono scatenati i fautori della Brexit. Nessun legame, sia pure provvisorio, con l’Unione doganale europea. L’uscita deve essere netta, senza addentellati, sia pure provvisori, con le strutture dell’UE. L’atteggiamento di rifiuto del Primo ministro Johnson e la sua richiesta di un nuovo accordo sembrano provocatori. Come è possibile in due o tre settimane raggiungere un risultato che non è stato possibile raggiungere in tre anni di negoziati? Non a caso l’opposizione chiede una nuova proroga fino al gennaio dell’anno prossimo. Ma Johnson è irremovibile. Non solo ne ha fatto un’altra delle sue, chiudendo il Parlamento per cinque settimane, in modo da impedire dibattiti che potrebbero, forse, modificare la situazione; non solo ha perso la maggioranza, per un voto, sulla quale si reggeva il suo governo; non solo ha dovuto subire una legge che vieta un’uscita “no deal” dell’UE¸ non solo ha subito le dimissioni del ministro del Lavoro, Amber Rudd, una Tory moderata, che non condivideva le sue posizioni radicali, ma ha rimpiazzato seduta stante la dimissionaria e minaccia inutilmente elezioni anticipate da effettuarsi in ottobre, prima dell’uscita preventivata. Diciamo inutilmente perché i due terzi dei voti necessari per giungere alle elezioni Johnson se li sogna. Non esiste questa maggioranza in Parlamento e la minaccia fa parte di un inutile ricatto teso a confermare che in caso di elezioni lui ne uscirebbe vittorioso. È di ieri, infatti, il risultato di un sondaggio promosso dall’istituto YouGov che dà ai Conservatori il 35%  dei voti, con 14 punti di scarto sul Labour di Corbyn, indicato in calo al 21%, con i LibDem al 19% e il Brexit Party di Farage al 12%. Nessuna elezione in vista, quindi, e corsa verso l’uscita senza accordo. Il “no deal”, tanto temuto dal mondo economico e finanziario, potrebbe diventare realtà e rappresentare la scelta definitiva di Johnson per realizzare la Brexit. Le conseguenze di un’uscita senza accordo coinvolgerebbero anche i Paesi dell’UE con i quali il Regno Unito ha intensi rapporti commerciali, ma è indubbio che le conseguenze peggiori le subirebbe la Gran Bretagna, nonostante le offerte del presidente americano Trump per accordi commerciali privilegiati tra Usa e RU. La situazione è ingarbugliata, non c’è dubbio, e la politica del Primo ministro Johnson non tende a sbrogliarla, anzi! I britannici devono ringraziare i 92 mila iscritti al partito conservatore, responsabili della sua nomina in sostituzione di Theresa May, 92 mila contro 66 milioni di britannici. 92 mila che rappresentano il popolo sovrano. E’ certo comunque che questo tipo di sovranità lascia molto a desiderare e le conseguenze della sua scelta sono subite da una stragrande maggioranza di cittadini. E’ una sovranità che, mutatis mutandi, assomiglia un po’ a quella recentemente espressasi in Italia, con 79 mila cittadini “grillini” che hanno dato il via libera, tramite un voto elettronico, al governo Pd/M5s (79mila contro 60 milioni di cittadini italiani). Le rassomiglianze non finiscono qui. L’Italia ha scelto come prima forza politica un movimento fondato da un teatrante comico. Il Regno Unito ha scelto come Primo ministro un personaggio considerato da molti un guitto, un clown, capace di decisioni spassose e bizzarre. Dipenderà anche da questo se la situazione politica nei due Paesi si trova in uno stato confusionale?

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