Il boomerang delle tecnologie: favoriscono gli incontri ma possono rovinare la reputazione
La tecnologia può favorire relazioni e sesso, come dimostra il fiorente mercato delle app di dating. Ma può anche rovinare relazioni e sesso, come è emerso chiaramente alcuni mesi fa col caso della coppia clandestina così poco furba invero da farsi beccare da una kiss cam a un concerto.
Come è stato evidenziato nel caso di quella coppia clandestina, in eventi pubblici come un concerto non si può invocare la stessa privacy che si può invocare a casa propria. Ma il fatto è che le tecnologie pongono un problema più profondo in tema di privacy. Nel 2010 il fondatore di Facebook Zuckerberg, aveva dichiarato che la riservatezza dei dati personali «non è più una norma sociale» e oggi Guido Scorza, componente del Garante italiano per la Privacy, rileva che ormai «siamo tutti un po’ personaggi pubblici, è fuor di dubbio. Non solo per il tema della riconoscibilità facciale, ma anche perché ormai condividiamo tantissimo (vacanze, figli, ecc.), cose che un tempo si sapevano solo dei Vip». Occorre però distinguere tra casi in cui la diffusione di immagini o altro riguardo la propria vita privata è almeno in parte riconducibile a colpa di chi di quella diffusione resta vittima (come il caso degli amanti al concerto) e casi in cui la diffusione è operata a totale insaputa e senza alcun concorso da parte di chi viene colto in momenti privati. E occorre altresì distinguere tra momenti in cui si è nella propria totale sfera privata e momenti in cui non lo si è (sul lavoro, anzitutto).
In Europa il GDPR stabilisce che il trattamento dei dati personali deve basarsi su una chiara base giuridica, e i dati raccolti devono essere pertinenti, limitati a quanto necessario e utilizzati esclusivamente per scopi determinati. L’uso del contenuto di un video girato a fini ludici (come una kiss-cam) per finalità disciplinari o reputazionali violerebbe non solo la normativa privacy, ma anche i principi di buona fede contrattuale e riservatezza. Nel nostro Paese poi la giurisprudenza è decisamente orientata nel negare l’utilizzo di prove acquisite in violazione della privacy per procedimenti disciplinari: due colleghi e amanti beccati a un concerto non potrebbero insomma essere licenziati, come invece è accaduto ai protagonisti dell’episodio del concerto (negli Usa, dove l’episodio è avvenuto, le regole in tema di privacy sono meno rigide) e qualora un datore di lavoro, basasse un provvedimento su immagini virali diffuse senza consenso, rischierebbe sanzioni del Garante, impugnazioni giudiziarie e anche richieste risarcitorie da parte del dipendente.
Resta tuttavia un problema sociale. Come un processo macchia la reputazione di chi lo deve affrontare, anche qualora ne esca pienamente assolto, così la diffusione di immagini provoca gossip e una fama non ricercata che non può essere sanzionata, anche in assenza di reazioni non consentite da parte del datore di lavoro e anche qualora la diffusione stessa sia in parte colpa di chi ne è rimasto vittima: se marito o moglie hanno diritto di contestare il tradimento, fin dove possono spingersi terze persone nel rilanciare immagini altrui o nel commentare o prendere posizione rispetto ai protagonisti di quelle immagini? Chi fosse indotto a dimettersi sulla base di immagini relative a suoi comportamenti privati in sé non illegali (come una relazione clandestina con un/a collega) può essere scartato/a a un colloquio di lavoro solo per via di quelle immagini?




