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Il Botswana paga coi diamanti l’accoglienza ai migranti di cui ha bisogno

Il aprire i confini ai migranti, anche sprovvisti di documenti. L’iniziativa, rivolta anzitutto ai vicini dello Zimbabwe (paese che dall’indipendenza non ha visto certo la popolazione governata meglio di quanto era una colona nuovo presidente del Botswana, paese africano a nord-ovest del Sud Africa, Duma Boko ha promesso di nota come Rhodesia), mira a risolvere, senza intralci legali o burocratici da parte delle amministrazioni pubbliche, il fabbisogno degli operatori economici di braccianti nei campi, nell’edilizia o nei servizi di cura domestica. Il neopresidente è convinto che molte di queste persone accetteranno mansioni che gli abitanti del posto trovano ormai poco attraenti e che così si colmerà il gap di unità produttive di cui il Botswana ha bisogno. Secondo Boko, «in qualsiasi cantiere del Botswana la maggior parte dei lavoratori qualificati arrivano dallo Zimbabwe» e piuttosto che respingerli conviene dunque «apprendere le loro competenze».

All’Espresso Christian John Makgala, professore di Storia e politica economica presso l’Università del Botswana, ha spiegato che «finora il governo ha speso una fortuna per arrestare e deportare i migranti, che poi riattraversavano nuovamente il confine appena possibile. Non è affatto detto che le regolarizzazioni abbiano un impatto profondo sull’economia, ma almeno così si allarga la base imponibile e si aumentano le entrate fiscali dello Stato». Per far fronte ai costi dell’iniziativa Boko punta a ridiscutere con De Beerà e Anglo American la quota di spettanza del governo di Gaborone dei proventi dei diamanti, di cui il paese è ricco.

I kenyoti, che non vivono particolarmente vicino al Botswana, fanno invece gola alla Germania. Secondo l’Ufficio federale per il lavoro di Berlino mancano all’appello 400mila persone l’anno e già sono in arrivo i 500 medici e infermieri, mentre nel Paese africano c’è chi denuncia il rischio di un impoverimento della sanità locale.

In Asia invece la Thailandia ha appena avviato la più grande regolarizzazione della storia di persone senza cittadinanza a beneficio di oltre 335mila rohingya in fuga dal Myanmar o appartenenti ad altre comunità neglette (in quasi la metà dei casi a beneficiare della misura saranno bambini nati in Thailandia da genitori migranti). L’iniziativa è in linea con gli obiettivi fissati da una campagna delle Nazioni Unite che si chiama “Global Alliance to End Stateless”.

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