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Oleodotto in mano russa sfugge alle sanzioni e pompa dollari al Cremlino

Il Caspian Pipeline Consortium (Cpc) è un consorzio misto tra aziende statali e compagnie occidentali che gestisce uno dei maggiori oleodotti al mondo: 1500 chilometri, inaugurati nel 2001, per trasportare il greggio dall’enorme giacimento kazako di Tengiz, nel bacino del Caspio al porto russo di Novorossiyrsk, sul Mar Nero. Da queste condutture passa l’80% di tutto il petrolio del Kazakhistan e su 63 milioni di tonnellate di flusso annuale di greggio, quasi 10 sono russe; i maggiori azionisti sono la Federazione Russa con una quota del 24%, la società statale kazaka KazMunayGas (19%) e la statunitense Chevron (15%). La stessa multinazionale possiede metà del giacimento di Tengiz e ne è l’operatore tecnico.

Finora il Cpc ha versato nelle casse statali russe almeno 1,4 miliardi di dollari, a cui si aggiungono oltre 300 milioni all’anno di tasse, senza che le sanzioni per l’invasione dell’Ucraina intaccassero i proventi: né gli Usa né la Ue hanno decretato sanzioni per questo impianto. In origine, l’oleodotto fu progettato e realizzato, era l’epoca di Boris Eltsin, per promuovere gli interessi americani nell’ex Urss e della cordata che lo realizzò facevano parte la Chevron, Exxon-Mobil, Shell e altre, tra cui l’italiana Eni con una quota del 2%. Con l’arrivo di Putin, mentre la portata dell’oleodotto viene raddoppiata, Mosca fa valere sempre di più, anche con metodi ben poco ortodossi, la propria posizione. Nel maggio 2020 i manager occidentali si vedono addirittura accusare di avere documenti illegali e devono scappare dalla Russia. In assenza di un cda, la gestione dell’oleodotto passa, per statuto, al direttore generale, il russo Nikolai Gorban, ex vicepresidente della Transneft (la società che gestisce gli oleodotti russi) e fedelissimo del boiaro di stato putiniano (erano colleghi nel Kgb) Nikolay Tokarev. Dopo l’attacco russo all’Ucraina, l’oleodotto diventa un’arma di guerra, tramite una serie di stop delle forniture che provocano aumenti del prezzo del petrolio, nonostante le proteste degli azionisti non putiniani. Dall’inizio della guerra in Ucraina le società statali che ne sono azioniste hanno incassato dividendi per oltre 816 milioni.

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