Lettere

Un caso per la reintroduzione dei ghepardi in India

Traduzione a cura Betty von Hoenning

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di un gruppo di scienziati tra qui Laurie Marker, fondatrice del Cheetah Conservation Fund, scritto dopo il rilascio di 12 ghepardi in India

In una recente corrispondenza a Nature Ecology & Evolution, Gopalaswamy et al. si esprimono criticamente sulla reintroduzione in India dei ghepardi, riferendosi ripetutamente ai rischi ecologici, genetici e patologici che ritengono non siano stati considerati nel sostituire i ghepardi asiatici con i ghepardi dell’Africa australe. Inoltre affermano che tre elementi esposti nella reintroduzione di ghepardi in India sono privi di sostanza: che i ghepardi in Africa non hanno più sufficiente spazio; che c’è abbastanza spazio adeguato per accoglierli in India; che la translocazione per la conservazione dei ghepardi ha avuto successo nello sforzo di recupero di areali. Inoltre affermano che la densità bassa è un fatto naturale nei ghepardi, rendendoli sensibili alla rimozione di alcuni individui dalle popolazioni d’origine.

Siamo stati coinvolti in consulenze scientifiche sul progetto di reintroduzione in India, e ci permettiamo rispettosamente di non essere d’accordo. In questa sede affronteremo tutti gli argomenti di Gopalaswamy e colleghi, dimostrando scientificamente e appoggiando l’operazione di rinaturalizzazione attualmente in corso.

I ghepardi storicamente occupavano una nicchia ecologica all’interno delle savane indiane e nei sistemi di foreste aperte che attualmente sono deprivate della fauna selvatica. Riempire questo vuoto contribuirebbe a restaurare l’ecologia funzionale di questi sistemi tramite un processo top down. Ripristinare le specie ed il loro ruolo negli ecosistemi è essenziale per una rinaturalizzazione efficace e onnicomprensiva; la reintroduzione dei carnivori è particolarmente importante per il ripristino degli ecosistemi. Le minacce principali, quali soprattutto il conflitto umani/predatori che ha causato l’estinzione in India, sono state ridotte sensibilmente tramite leggi e azioni di contrasto efficaci. Inoltre, la reintroduzione è stata proposta all’interno di siti protetti negli areali storici, dopo un’attenta valutazione della disponibilità di habitat e prede, oltre alla pressione antropogenica. Attualmente esistono circa 100.000 km2 di riserve protette all’interno degli areali storici del ghepardo in India, che potenzialmente sono in grado di accogliere popolazioni di ghepardi in età riproduttiva, oltre a 700.000 km quadrati in grado di sostenere la presenza di ghepardi.

L’UICN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) ha sviluppato linee guida chiare sulla riproduzione delle popolazioni: nello specifico, i fondatori selezionati dovrebbero fornire diversità genetica adeguata, e la loro rimozione non dovrebbe mettere a rischio le popolazioni d’origine. Le linee guida appoggiano inoltre la sostituzione sostenibile di taxon (gruppo tassonomico) allorquando “una specie simile, imparentata, o una sub-specie può essere sostituita quale surrogato ecologico“.

Nel 2022, il Dipartimento dell’Ambiente Iraniano ha riferito che solo 12 ghepardi asiatici in libertà sono stati confermati ancora in vita. Le cifre così basse ed il livello di endogamia della popolazione di ghepardi iraniani li escludono come fonte di popolazione potenziale per la reintroduzione in India. La popolazione di ghepardi sudafricani possiede la maggiore diversità genetica documentata ed è sufficientemente numerosa da fornire fondatori, senza che una rimozione vada a danneggiare le popolazioni coinvolte. Secondo nostri dati non ancora pubblicati (V.v.d.M. E Y.V.J.) la metapopolazione di ghepardi sudafricani (circa 500 individui) cresce con un incremento dell’8,8% annuo; l’analisi di fattibilità della popolazione suggerisce che la componente sudafricana di tale popolazione può reggere la rimozione annua di 29 ghepardi, senza effetti dannosi.

Sulla base di queste informazioni, l’Autorità Scientifica del Sudafrica ha acconsentito all’esportazione del 10% di maschi e del 4% di femmine l’anno. Nel corso degli ultimi due decenni, in Sudafrica sono state coordinate settanta reintroduzioni di ghepardi. Anche se tali reintroduzioni sono avvenute principalmente in riserve recintate, 22 ghepardi sono stati liberati nel Zambezi Delta in Mozambico fin dall’agosto del 2021. In Namibia, in un altro progetto, 36 ghepardi sono stati rilasciati in territori agricoli o in riserve recintate e non, con il 75-96% degli esemplari che hanno raggiunto l’indipendenza dopo il rilascio ed con una percentuale di sopravvivenza annuale elevata.

Come da prescrizioni della World Organization for Animal Health e dell’UICN noi (A.S.W.T., Y.V.J. E R.A.K.) ed altri abbiamo condotto un’analisi esauriente sui rischi di patologie per il progetto indiano di reintroduzione. La maggior parte dei rischi di patologie sono stati valutati come bassi o minimi.

La trasmissione di patologie considerate di medio rischio viene mitigata dallo screening patologico e dalla somministrazione di vaccini e cure antiparassitarie durante il periodo di pre – e post quarantena.

Pur convenendo che esistono spazi ecologici potenzialmente adatti alla reintroduzione di ghepardi in molte parti dell’Africa, la realtà ci dice che pochi siti in Africa sono in grado di fornire un livello adeguato di protezione per gli animali, tanto da garantire il successo delle reintroduzioni. I contributori culturali, religiosi e socioeconomici della tolleranza nei riguardi di grandi carnivori se paragonati all’India sarebbero troppo lunghi da dibattere in questa sede, ma riteniamo sia evidente che i ghepardi sono probabilmente meno minacciati dalle persecuzioni in India, dove altri sforzi di conservazione di grandi carnivori sono stati notevolmente pieni di successo.

Non concordiamo con l’approccio di Gopalaswamy e coautori quando valutano la capacità di sopportare i rilasci sulla densità delle popolazioni di ghepardi dell’Africa orientale (circa 1 per 100 chilometri quadrati), in quanto le densità sono ampiamente definite dalle biomasse di prede adeguate – che a loro volta sono il prodotto delle condizioni della vegetazione. Le densità storiche di popolazioni di ghepardi in Africa Orientale probabilmente erano maggiori prima del marcato declino di prede di base, e i ghepardi a loro volta probabilmente abbondavano maggiormente in aree più produttive dei loro areali storici che oggi sono state soppiantate dall’allevamento di bestiame. In una riserva nel sud del Botswana, con recinzioni permeabili ai predatori, è stata riferita una densità media e reale di 5,23 ghepardi per 100 km2, il che sta ad indicare che densità superiori sono possibili.

Le raccomandazioni generiche offerte da Gopalaswmy et al. relative a come l’India dovrebbe impegnarsi nella conservazione globale dei ghepardi sono affascinanti, ma ci permettiamo di suggerire che sono molto poco fattibili nell’attuale clima politico. Con alcune eccezioni degne di nota, i governi, soprattutto dei paesi in via di sviluppo, tendono a dare priorità agli investimenti nelle proprie giurisdizioni che non in progetti di conservazione in altri paesi.

A nostro parere, i dati disponibili e le argomentazioni che abbiamo proposto precedentemente sostengono a sufficienza la reintroduzione sperimentale di ghepardi in india, e siamo ansiosi di valutare i risultati del progetto nel tempo. (Fig.1). I titoli dei media hanno recentemente dimostrato che i ghepardi hanno già richiamato positivamente l’attenzione del pubblico e dei politici indiani, che sono componenti cruciali per il successo del progetto.

Il loro ruolo di specie ombrello, che gioverà alla conservazione della biodiversità più ampia e agli obiettivi di sussistenza in India – anche se sostenuti in teoria – dovranno essere valutati dopo che i ghepardi saranno reintrodotti e si saranno stabiliti in India.

Adrian S.D. Tordiffe, Yadvendradev V.Jhala, Luigi Boitani, Bogdan Cristescu, Richard A. Kock, Leith R.C.Meyer, Simon Naylor, Stephen J.O’Brien, Anne Schmidt-Kuentzel, Mark R.Stanley Price, Vincent van der Merwe&Laurie Marker

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