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In attesa di Giustizia: 1984

Ci mancava solo questa: a distanza di anni, salta fuori un nastro, sul quale è incisa la voce di un magistrato – purtroppo (od opportunamente, a seconda dei punti di vista) deceduto e quindi impossibilitato a confermare o smentire – che racconta a Berlusconi e a qualcun altro che la sentenza dell’agosto 2013 fu dettata da ragioni politiche e non giuridiche.

Non c’è niente da fare, meritiamo di morire di intercettazioni perché viviamo di intercettazioni: aveva ragione Orwell, il grande fratello come oggi  lo conosciamo è arrivato forse un po’ dopo il 1984 ma ormai è tra noi e ci  osserva senza tregua.

Poniamo l’attenzione, per un istante, su una serie di ovvietà e proviamo a trovare una sintesi a margine di questa ennesima, sconcertante, vicenda:

  1. quella sentenza non convinceva e neppure la premura con cui venne disposta la discussione del ricorso in periodo feriale senza che vi fossero reali ragioni di urgenza;
  2. il sospetto vi è sempre stato che le azioni giudiziarie contro Silvio Berlusconi (e il modo in cui erano condotte) non fossero del tutto immuni da condizionamenti metagiuridici (fermiamoci qui, il rischio querele inizia a corrersi un po’ troppo spesso);
  3. è molto singolare che un magistrato confessi il più grave tra i peccati giudiziari al diretto interessato;
  4. perché attendere che il magistrato fosse morto per svelare il contenuto del colloquio?
  5. perché tutto questo capita oggi, in piena bufera per il caso Palamara?
  6. la causa civile intentata a Milano da cui è emersa questa “verità rivelata” non sarà stato un espediente per ottenere proprio questo risultato?
  7. chi ha deciso la causa civile, peraltro, appartiene all’ordine giudiziario esattamente come coloro che condannarono Berlusconi.

Ovvietà che ci fanno intendere come la questione vada presa con le molle, in ogni caso.

Resta, però, il fatto che, ancora una volta, tutto nasce (e muore) in una intercettazione, occulta o compiacente che sia e che, attraverso il contenuto di un nastro (o di un file), emergano fatti o verità di cui nessuno sapeva niente e che dipendono esclusivamente da quel nastro.

Moriremo di intercettazioni. Anzi: ci intercetteremo tutti, precostituendoci prove da usare, prima o poi, pro o contro qualcuno. E nessuno crederà più a nulla, o saremo tutti dannati.

D’altra parte, siamo sulla strada giusta: la credibilità dei magistrati è compromessa; i processi si fanno in tv; le vicende giudiziarie non si chiudono mai.

Ci mancava solo questa: è il trionfo del relativismo di cui parlava quel sant’uomo di Ratzinger.

E, intanto, l’attesa di giustizia continua.

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