accordi

  • Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto

    La verità trionfa da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici.

    Epitteto

    Il 5 giugno scorso tre Paesi balcanici hanno chiuso i rispettivi spazi aerei ad un aereo russo, a bordo del quale si trovava il ministro degli Esteri russo e una delegazione da lui guidata. Il volo era diretto a Belgrado, capitale della Serbia, dove il ministro russo, l’indomani, doveva incontrare il presidente, il ministro degli Interni ed altri alti funzionari serbi. Una programmata visita ufficiale durante la quale si doveva concludere l’accordo tra i due Paesi per il rinnovo, per altri tre anni, del contratto sulla fornitura alla Serbia del gas russo a condizioni molto vantaggiose. Tutto dopo che precedentemente i termini dell’accordo sono stati resi pubblicamente noti, dopo un colloquio telefonico, avvenuto il 29 maggio scorso, tra il presidente russo e quello serbo. I Paesi che hanno impedito il volo dell’aereo sul quale viaggiava il ministro russo con la sua delegazione erano la Bulgaria, la Macedonia del Nord ed il Montenegro. Tutti e tre sono Paesi che, insieme a quelli dell’Unione europea e ai tanti altri, hanno aderito alle sanzioni restrittive contro la Russia, dopo l’invasione del territorio ucraino il 24 febbraio scorso. Parte di quelle restrizioni riguardano anche il presidente russo ed il ministro degli Esteri. Loro due, insieme con tanti altri, dal 25 febbraio, un giorno dopo l’inizio della guerra in Ucraina, che il presidente russo considera cinicamente come “un’operazione militare speciale”, sono stati inseriti nella lista delle persone colpite dalle sanzioni. Una di quelle sanzioni è anche “il divieto di viaggio che impedisce l’ingresso o il transito attraverso il territorio dei Paesi membri e dei partner allineati”. Da sottolineare che la Serbia è uno dei Paesi dei Balcani occidentali che ha avviato la procedura di adesione all’Unione europea dal 2008, con la firma dell’Accordo di Stabilizzazione e Associazione. Mentre il 1o marzo 2012 il Consiglio europeo ha riconosciuto alla Serbia lo stato del Paese candidato all’adesione nell’Unione. La Serbia è anche uno dei 141 Paesi che, il 2 marzo scorso, hanno votato la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la quale si condanna l’invasione russa dell’Ucraina. Ebbene, nonostante ciò, la Serbia non ha aderito però alle sanzioni restrittive contro la Russia. Una scelta quella della Serbia che è stata criticata e contestata dai massimi rappresentanti dell’Unione europea e di alcuni singoli Stati membri, soprattutto la Germania. Il ministro tedesco degli Esteri dichiarava a metà aprile scorso che “…Se la Serbia vuole aderire all’Unione europea, deve sostenere la politica estera degli altri membri dell’Unione […] e quindi imporre alla Russia le sanzioni necessarie”. Il 16 maggio scorso, si è svolta una riunione dei 27 ministri degli Esteri dell’Unione europea. In una loro comune dichiarazione ufficiale pubblicata dopo la riunione, riferendosi alle sanzioni restrittive contro la Russia, i ministri dell’Unione hanno ribadito che “…Chi non l’ha fatto, come la Serbia, dovrà adeguarsi il prima possibile alle sanzioni”. Un simile e determinato appello è stato fatto, il 10 giugno scorso, anche dal cancelliere tedesco, in visita ufficiale a Belgrado. Lo ha confermato, durante la conferenza stampa dopo l’incontro, lo stesso presidente serbo. Secondo lui “In maniera decisa e tagliente, il cancelliere [tedesco] ha chiesto alla Serbia di aderire alle sanzioni contro la Federazione Russa, cioè di sostenere le misure restrittive che l’Unione europea ha già adottato nei loro confronti”.

    Il 6 giugno scorso, dopo l’impedimento di arrivare a Belgrado, il ministro degli Esteri russo durante una conferenza online con i media da Mosca ha considerato come inimmaginabile la chiusura degli spazi aerei, il 5 giugno scorso, da parte dei tre sopracitati Paesi balcanici che hanno impedito a lui e alla sua delegazione di arrivare a Belgrado. “È accaduto qualcosa di inimmaginabile. Ad uno Stato sovrano è stato negato il diritto di seguire la [sua] politica estera”. Aggiungendo che “Le attività internazionali della Serbia verso la Russia sono bloccate”. Ma ha espresso anche la sua ferma convinzione che “La cosa più importante è che nessuno potrà distruggere il nostri legami con la Serbia”. Durante quella conferenza il ministro russo degli Esteri ha attaccato l’Unione europea e, più in generale, quello che ha chiamato “l’Occidente”.  Lui ha dichiarato convinto che “Se la visita del ministro degli Esteri russo in Serbia è percepita in Occidente come una minaccia su scala globale, allora, chiaramente, le cose in Occidente vanno piuttosto male”. Dopo l’impedimento al ministro russo di arrivare a Belgrado hanno subito reagito anche il presidente serbo ed il ministro degli Interni. Il presidente serbo, tramite un comunicato stampa ufficiale, pubblicato soltanto in lingua serba, ha espresso la “sua insoddisfazione” per l’impedimento della programmata visita del ministro russo e della sua delegazione. Ma ha ribadito la sua determinazione a mantenere “l’indipendenza e l’autonomia nel processo decisionale politico” da parte della Serbia, nonostante i negoziati d’adesione del suo Paese nell’Unione europea. Mentre il ministro serbo degli Interni, sempre riferendosi alla mancata visita della delegazione russa a Belgrado, ha detto che “Il mondo in cui i diplomatici non possono attuare la pace, è un mondo in cui non c’è la pace”. E poi ha aggiunto di essere rimasto “profondamente dispiaciuto per l’ostruzione alla visita di un grande e comprovato amico della Serbia”. Il ministro degli Interni serbo ha ribadito perentorio che “…Chi ha impedito l’arrivo di Lavrov non vuole la pace, sogna di sconfiggere la Russia e la Serbia è orgogliosa di non far parte dell’isteria anti-russa”. Più chiaro di così non lo poteva dire un ministro serbo!

    Due settimane fa l’autore di queste righe, informava il nostro lettore su un’iniziativa regionale occulta; quella che ormai è nota come Open Balcan (facendo riferimento alla denominazione ufficiale e all’ortografia usata dai promotori; per essere corretti però, visto che si usa la lingua inglese, si dovrebbe, invece, scrivere Open Balcans – Balcani aperti; n.d.a.). Egli ha trattato questo tema, a tempo debito, anche in precedenza. In quell’articolo l’autore di queste righe evidenziava, tra l’altro, che “…L’iniziativa regionale, nota ormai come Open Balcan, è stata presentata ufficialmente il 10 ottobre 2019 in Serbia, a Novi Sad. Allora è stata considerata come una nuova iniziativa per costituire ‘L’area economica comune dei Balcani occidentali’. Ma allora l’iniziativa regionale era stata denominata il Mini-Schengen balcanico. Solo in seguito, il 29 luglio 2021, il presidente serbo, il primo ministro albanese ed il primo ministro macedone, durante il vertice di Skopje, lo hanno ribattezzata come l’iniziativa Open Balcan”. In seguito egli specificava che “…A onor del vero però, le tesi dell’iniziativa, sono state rese note in un articolo pubblicato nel 1999. L’autore era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Invece adesso, dopo più di venti anni, i firmatari si mostrano come gli ideatori dell’iniziativa, presentandola come una novità!”. A proposito, l’autore di queste righe informava il nostro lettore che il giovane figlio del multimiliardario speculatore di borsa statunitense “è presente sempre in tutte le occasioni dove si tratta e si promuove l’iniziativa Open Balcan”. E di fronte a quel “giovane rampollo ereditario” i firmatari dell’iniziativa, i tre “amici” di suo padre, stanno ‘sull’attenti’. Chissà perché?! L’autore di queste righe due settimane fa informava altresì il nostro lettore, riferendosi all’iniziativa occulta Open Balcan, che si trattava di “un’iniziativa quella ideata per garantire e rafforzare la supremazia serba nei Balcani. Una supremazia che non interessa però solo alla Serbia, ma, tramite la Serbia, ne approfittano anche altri Paesi, Russia e Cina compresi.” (Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale; 31 maggio 2022).

    Ebbene, il 6 giugno scorso, durante la sua conferenza online con i media da Mosca, il ministro russo degli Esteri non ha parlato, con toni offensivi, soltanto dell’Unione europea e, più in generale, di quello che ha chiamato “l’Occidente”. Il ministro russo degli Esteri ha ribadito che alla Serbia e al suo presidente non mancherà l’appoggio della Russia. Lui, guarda caso, ha parlato anche dell’iniziativa Open Balcan e della paternità di quell’iniziativa. E così facendo lui ha contribuito, nolens volens, proprio ad un ulteriore smascheramento di un accordo regionale occulto. Bisogna sottolineare che, dal 2014 ad oggi, i massimi rappresentanti dell’Unione europea e di singoli Stati membri hanno sempre appoggiato istituzionalmente quello che è noto come il Processo di Berlino. Mentre i tre “promotori” dell’iniziativa occulta Open Balcan e cioè il presidente serbo, il primo ministro albanese e il primo ministro macedone, hanno continuamente e consapevolmente mentito, dichiarando e “giurando” che Open Balcan ha tutto l’appoggio dell’Unione europea! Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022 ecc…)

    Riferendosi però all’iniziativa Open Balcan e alludendo anche alla visita impedita, il ministro russo degli Esteri ha dichiarato il 6 giugno scorso che “Quegli che stanno tirando i fili a Bruxelles non hanno voluto questo, non hanno voluto che noi esprimessimo il nostro appoggio a Belgrado”. E subito dopo ha smascherato anche la vera paternità dell’iniziativa Open Balcan.  Il ministro degli Esteri russo ha confermato pubblicamente quello che si sapeva già. Sempre riferendosi all’Unione europea lui ha detto: “Loro non volevano che noi esprimessimo il nostro appoggio all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balcan all’interesse di un rapporto più solido e più sano tra i Paesi della regione [balcanica]”. Sì, ha confermato proprio l’appoggio russo “all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balcan”. Dichiarando così che l’iniziativa occulta è stata promossa dalla Serbia, avendo anche l’appoggio della Russia. Così facendo, il ministro russo degli Esteri il 6 giugno scorso ha smascherato, una vota per sempre, tutte le ingannevoli dichiarazioni pronunciate dal 2019 ad oggi, dai “tre amici” del multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Che poi è il vero ideatore del progetto per i Balcani Aperti. Proprio lui, il fondatore delle Fondazioni della Società Aperta che sono attive, dagli inizi degli anni ’90, anche nei Paesi balcanici. Serbia, Albania e Macedonia del Nord compresi. E non a caso è stato usato anche lo stesso aggettivo, ‘aperto’, come testimonianza e firma dell’autore! Il ministro russo degli Esteri ha dichiarato il 6 giugno scorso, durante la sua conferenza online con i media da Mosca, che “…Ormai è chiaro per tutti che Bruxelles, la NATO e l’Unione europea vogliono convertire il progetto Open Balcan in un loro progetto, chiamato Close Balcans (Balcani chiusi; n.d.a.)!

    La scorsa settimana, il 7 e l’8 giugno, a Ohrid (Macedonia del Nord) si è svolto il vertice di turno dell’iniziativa Open Balcan. E nonostante quanto ha dichiarato il ministro russo degli Esteri il 6 giugno scorso, i tre “promotori” dell’iniziativa occulta Open Balcan hanno continuato le loro messinscene, le loro bugie e i loro inganni pubblici. Con un “piccolo cambiamento di programma” però. Hanno cercato di far “combaciare” Open Balcan con il Processo di Berlino. Anzi, per il primo ministro albanese Open Balcan è “un’unità del Processo di Berlino”! I bugiardi, gli ingannatori, gli ipocriti senza scrupoli non smettono mai di essere “innovativi”. Nel frattempo però e proprio il 10 giugno scorso, dal Kosovo, il cancelliere tedesco, ha dichiarato senza equivoci che “In quanto al Open Balcan, voglio chiaramente dire che noi diamo grande priorità al Mercato Comune Regionale (parte integrante del Processo di Berlino; n.d.a.), che crediamo debba progredire”.

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto bisogno, anche in questo caso, di molto più spazio per trattare, con la dovuta oggettività, questo argomento per il nostro lettore. Ma egli è convinto che non mancheranno altre occasioni. Per il momento però condivide il pensiero di Epitteto che la verità trionfa da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici.

  • Saltato l’accordo tra Cina e Paesi del Pacifico

    E’ saltato il progetto di Pechino per il Pacifico che aveva messo in allarme sia gli Usa sia l’Australia: i Paesi del Pacifico meridionale hanno rifiutato di sottoscrivere l’ampio accordo regionale economico e di sicurezza proposto dalla Cina, dopo l’incontro virtuale tenuto il 30 maggio nelle isole Figi dai ministri degli Esteri delle parti coinvolte.

    “Continueremo ad avere discussioni e consultazioni per formare più consenso sulla cooperazione”, ha affermato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, in una conferenza stampa congiunta con il premier delle Figi, Frank Bainimarama, hanno riferito i media australiani.

    I contenuti dell’accordo, trapelati la scorsa settimana e rivolti a coagulare un consenso con 10 Paesi insulari, avevano copertura molto vasta, passando dal libero scambio alla fornitura di aiuti umanitari e anti-Covid fino a delineare la visione di Pechino per un rapporto molto più stretto con il Pacifico meridionale, in particolare in materia di sicurezza, tra la formazione delle forze di polizia, la cybersecurity, la mappatura marina sensibile e un maggiore accesso alle risorse naturali.

    L’ambasciatore cinese alle Figi ha riferito che, malgrado un “sostegno generale”, l’accordo è stato messo da parte dopo che alcuni Paesi hanno espresso diverse preoccupazioni. Bainimarama ha alluso al dissenso emerso durante l’incontro, osservando che il gruppo dei partecipanti puntava a trovare “prima il consenso”.

    Il rifiuto dell’accordo è maturato nel mezzo di un tour de force diplomatico di Wang nella regione con la visita di otto Paesi in dieci giorni, in un viaggio che gli esperti di sicurezza hanno descritto come una mossa per imprimere una forte impronta all’influenza cinese nella regione contro Usa, Australia e Nuova Zelanda.

    Cina e Figi, quest’ultimo Paese nel frattempo ha aderito al piano economico Indo-Pacifico lanciato a Tokyo dal presidente americano Joe Biden per contenere Pechino, hanno firmato almeno tre accordi dopo l’incontro, che secondo Wang amplieranno la cooperazione su economia, commercio, agricoltura, pesca, turismo, aviazione civile, istruzione, forze dell’ordine e gestione delle emergenze, assicurando che Pechino avrebbe fornito assistenza ai Paesi insulari senza “nessun vincolo politico”.

    Bainimarama ha riaffermato l’importanza del cambiamento climatico per il Pacifico, affermando che le nazioni delle regione non erano interessate “alle questioni geopolitiche”, esortando la Cina a prendere impegni più forti sul riscaldamento del pianeta. Lo stop ai piani di Pechino è arrivato appena dopo un mese dalla firma del controverso accordo bilaterale sulla sicurezza firmato da Isole Salomone e Cina, causando allarme in tutto l’Occidente e motivando visite diplomatiche di alto livello da parte di Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti.

  • Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale

    Tutti quelli che peccano in segreto peccano più rapidamente!

    Publilio Siro

    L’uomo crede vero tutto ciò che desidera. Ne era convinto Demostene, uno dei più noti oratori della Grecia antica. Una constatazione, quella, fatta più di ventitré secoli fa che rimane sempre attuale. E anche se non lo crede, spesso l’uomo cerca di convincere se stesso che quello che lui desidera è anche vero. Ma non di rado, consapevole della vera verità, l’uomo cerca con l’inganno di convincere gli altri che è vero proprio tutto ciò che lui desidera appaia come tale. E poi quando quell’uomo ha delle responsabilità pubbliche e gestisce la cosa pubblica, allora le conseguenze dei suoi inganni potrebbero diventare ben più gravi se non si reagisce, presso chi di dovere, in tempo e con determinazione. Denunciare e discreditare pubblicamente tutte le ingannevoli farse montate ad artem da persone che hanno delle responsabilità istituzionali diventa un sacrosanto diritto ed un dovere, un obbligo civico per tutti i cittadini onesti che apprezzano la verità e la libertà.

    In Albania l’attuale primo ministro, da quando gli sono state conferite delle responsabilità istituzionali, prima come sindaco della capitale e poi, dal 2013, come capo del governo, ha cercato sempre di convincere tutti su delle “verità” e “realtà” che lui voleva che venissero credute come tali. Mentire ed ingannare, come se nulla fosse, sono dei vizzi innati che contraddistinguono il suo modo di fare. Lo dimostrerebbe palesemente tutto il suo operato. Lo ha dimostrato anche una delle sue ultime farse, con la quale il primo ministro e la sua potente e ben funzionante propaganda governativa e mediatica hanno cercato di ingannare di nuovo l’opinione pubblica. Una farsa ingannevole che, per renderla più “convincente” possibile, lo hanno denominata la “Consultazione nazionale”, portata avanti dal 19 gennaio fino al 31 marzo scorso. I risultati della farsa sono stati poi pubblicati una settimana dopo, il 7 aprile. Una populistica messinscena quella della “Consultazione nazionale”, presentata sotto forma di un questionario di 12 domande, che erano state ideate dallo stesso primo ministro e/o da chi per lui e rese pubbliche con il questionario mandato per posta ai cittadini nelle loro abitazioni, ma che si poteva trovare anche in rete e nei gazebo allestiti appositamente in diverse piazze. Le risposte delle domande però, come è stato affermato ufficialmente, sono state in seguito elaborate dal Istituto albanese delle Statistiche. Affermazione questa che ha evidenziato la palese violazione della legge in vigore che regola proprio l’attività dell’Istituto delle Statistiche. In più, siccome a quel questionario, secondo quanto è stato “ufficialmente confermato”, ha risposto non più del 25% della popolazione, allora il risultato, qualsiasi esso fosse, non poteva essere preso in considerazione. Solo questi due fatti sarebbero stati più che sufficienti per denunciare la falsità e la farsa di tutto il processo della “Consultazione nazionale”, fortemente voluta dal primo ministro. Le cattive lingue da allora hanno affermato, convinte, che la “Consultazione nazionale” era stata ideata, programmata e attuata come una messinscena, per poi dare la possibilità al primo ministro di affermare proprio quello che lui voleva ed aveva bisogno di affermare. Il che, purtroppo, non rappresenta quello che sente e pensa la maggior parte degli albanesi. Ma il loro pensiero, le loro risposte, anche se siano state espresse durante la “Consultazione nazionale”, non sono state prese poi per niente in considerazione. Come in molte altre occasioni precedenti. Questo e ben altro hanno detto le cattive lingue dopo la pubblicazione dei “risultati ufficiali” della “Consultazione nazionale” e, soprattutto, dopo i lunghi, entusiastici, ottimistici e rassicuranti monologhi del primo ministro, commentando proprio quei “risultati”, prefabbricati negli uffici che prendono ordini direttamente da lui.

    La farsa della “Consultazione nazionale”, è stata presentata come una “vasta consultazione con il popolo”, con i cittadini per avere la loro diretta espressa opinione, il loro parere, su alcune questioni che “interessano molto” al primo ministro. Ma alcune di quelle questioni vanno oltre gli “interessi” che “stanno molto a cuore” allo stesso primo ministro. Si perché, fatti da anni accaduti e che stanno tuttora accadendo, fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, dimostrerebbero palesemente che si tratta degli “interessi” della criminalità organizzata e di certi raggruppamenti occulti locali e/o internazionali. Una delle domande riguardava la legalizzazione della cannabis per “uso medicale”. Il vero obiettivo è di legalizzare definitivamente la coltivazione ed il traffico illecito della cannabis. Una seria preoccupazione che va oltre i confini dell’Albania. L’Italia è uno dei Paesi che stanno subendo il traffico illecito della cannabis e di altre droghe, cocaina compresa. Ma non solo l’Italia, essendo quella un’attività ben strutturata ed organizzata, grazie alla stretta collaborazione della criminalità organizzata albanese con altre simili organizzazioni criminali internazionali. Sono tanti i rapporti ufficiali delle altrettante note istituzioni specializzate internazionali, quelle dell’Unione europea e di singoli Stati, che hanno evidenziato e denunciano la connivenza, in Albania, dei massimi livelli del potere politico con la criminalità organizzata. Ma che hanno evidenziato anche il supporto di quelle attività criminali da parte proprio di quelle strutture che le dovevano impedire e combattere; la polizia di Stato ed altre simili. Gli stessi rapporti evidenziano anche le problematiche che si stanno ormai generando dalle strutture specializzate del sistema “riformato” della giustizia. Strutture che hanno chiuso gli occhi, le orecchie e i cervelli di fronte ai “pesci grandi” e si accontentano dei “pesciolini”. Strutture che però, e guarda caso, vengono presentate come “una storia di successo” dai soliti “rappresentanti internazionali’. Non a caso una delle dodici domande del questionario della “Consultazione nazionale”, fortemente voluta e osannata dal primo ministro e dalla sua propaganda, riguardava proprio il sistema “riformato” della giustizia. Un’altra domanda con la quale il primo ministro ha voluto avere “l’opinione del popolo”, si riferiva alla spinosa questione del rifiuto, da anni ormai, del Consiglio europeo di aprire i negoziati dell’Albania. Negoziati che, nonostante il continuo e ripetuto “parere positivo” della Commissione europea, sono stati bloccati perché l’Albania ha fallito nell’adempimento dei 15 criteri posti da alcuni anni proprio dal Consiglio europeo.

    La dodicesima domanda del questionario della “Consultazione nazionale”, tramite la quale il primo ministro albanese era “desideroso ad avere l’opinione del popolo” riguardava l’iniziativa regionale ormai nota come Open Balcan. Il nostro lettore è stato informato di questa iniziativa in questi ultimi due anni. La domanda era stata formulata come di seguito: “Ci sono delle persone le quali credono che la creazione dell’iniziativa Open Balcan tra l’Albania e i Paesi dei Balcani occidentali è nell’interesse dell’Albania. Altre [persone] dicono che quest’iniziativa non porta dei profitti all’Albania. Che ne pensate?”. Ebbene, la domanda è stata formulata consapevolmente in modo ingannevole. Perché solo tre dei sei Paesi balcanici hanno aderito all’iniziativa. Secondo i “risultati ufficiali” 303.018 albanesi sono favorevoli all’iniziativa; 134.879 sono contrari, mentre 79.666 non si sono espressi.  In totale, sempre secondo i “risultati ufficiali”, sono stati 517.563 i cittadini che hanno risposto alla domanda. Circa un quarto degli aventi diritto! Ma le cattive lingue hanno detto convinte che tutti i risultati della “Consultazione nazionale” del primo ministro con il “suo popolo” sono stati inventati di sana pianta e non hanno niente a che fare con la vera verità.

    L’iniziativa regionale, nota ormai come Open Balcan, è stata presentata ufficialmente il 10 ottobre 2019 in Serbia, a Novi Sad. Allora è stata considerata come una nuova iniziativa per costituire “L’area economica comune dei Balcani occidentali”. Ma allora l’iniziativa regionale era stata denominata il Mini-Schengen balcanico. Solo in seguito, il 29 luglio 2021, il presidente serbo, il primo ministro albanese ed il primo ministro macedone, durante il vertice di Skopje, lo hanno ribattezzata come l’iniziativa Open Balcan. A onor del vero però, le tesi dell’iniziativa, sono state rese note in un articolo pubblicato nel 1999. L’autore era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense. Invece adesso, dopo più di venti anni, i firmatari si mostrano come gli ideatori dell’iniziativa, presentandola come una novità! Il nostro lettore è stato informato del contenuto del articolo e delle tesi che stanno sulle fondamenta dell’iniziativa ormai nota come Open Balcan. Così come è stato informato che l’ereditario del multimiliardario statunitense, il suo giovane figlio è presente sempre in tutte le occasioni dove si tratta e si promuove l’iniziativa Open Balcan. Era presente anche durante il vertice di Belgrado, svoltosi il 3-4 novembre 2021. Dopo il vertice è stata pubblicata una fotografia scattata in quei giorni. L’autore di queste righe scriveva allora che “…In quella fotografia si vedono, da un lato, il figlio di George Soros che “non si sa perché” era lì, mentre dall’altro lato i tre “amici” di suo padre, stanno “sull’attenti” di fronte al figlioletto ereditario. Una fotografia quella che potrebbe dimostrare e testimoniare chi potrebbe essere, in realtà, il vero stratega delle iniziative in corso nei Balcani.” (Preoccupanti avvisaglie dai Balcani; 8 novembre 2021).

    L’iniziativa denominata ormai Open Balcan, nonostante si presenti come un’iniziativa dei Balcani occidentali, è stata firmata solo dalla Serbia, dall’Albania e dalla Macedonia del Nord. Mentre tre altri Paesi, e cioè la Bosnia-Erzegovina, il Montenegro ed il Kosovo hanno pubblicamente rifiutato di essere parte all’iniziativa. I massimi rappresentati istituzionali di questi tre Paesi hanno ufficialmente e ripetutamente dichiarato che loro credono ed aderiscono ad un’altra iniziativa, quella che dal 2014, è nota come il Processo di Berlino. Si tratta di un progetto presentato per la prima volta a Berlino, su iniziativa dell’allora cancelliera tedesca. Un processo che non solo include tutti gli obiettivi dell’iniziativa Open Balcan, ma va ben oltre. In più finanzia molti progetti regionali nei Balcani occidentali, cosa non prevista dal Open Balcan. Un’iniziativa quella ideata per garantire e rafforzare la supremazia serba nei Balcani. Una supremazia che non interessa però solo alla Serbia, ma, tramite la Serbia, ne approfittano anche altri Paesi, Russia e Cina compresi. L’autore di queste righe ha trattato questi argomenti per il nostro lettore (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021 ecc…). Quanto sta accadendo anche solo in queste ultime settimane conferma i rapporti della Serbia con la Russia e i suoi alleati, nonché con la Cina. L’accordo di due giorni fa per delle forniture sicure e a prezzi vantaggiosi di gas russo per la Serbia ne è una eloquente testimonianza, come lo sono altri accordi militari e commerciali precedentemente firmati tra i due Paesi. Ma anche come l’invio in Serbia dalla Cina di armamenti speciali, l’aprile scorso, nonché altri accordi tra i due Paesi. Il che dimostra da che parte sta la Serbia, l’unico Paese balcanico che trae grandi vantaggi dall’iniziativa Open Balcan. Verità che testimoniano perché i tre “alleati balcanici” stanno cercando di boicottare il processo di Berlino.

    Chi scrive queste righe è convinto che Open Balcan è semplicemente un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, della quale beneficia soltanto la Serbia e, tramite la Serbia, anche altri Paesi, Russia e Cina compresi. La Serbia, nel frattempo, non ha aderito alle sanzioni imposte alla Russia. Un misero doppio gioco quello del presidente serbo, che ormai convince sempre meno. Ma lui continua a godere dell’appoggio del primo ministro albanese, anche lui impegnato in un difficile doppio gioco. Loro due però collaborano molto più in segreto, con degli accordi occulti. E si sa, ne era convinto anche Publilio Siro: tutti quelli che peccano in segreto peccano più rapidamente! Se quella è una consolazione! Perché sempre peccatori rimangono, comunque sia.

  • La diplomazia

    La diplomazia viene giustamente definita un’arte, quindi un’attività assolutamente superiore e lontana dalla banale politica quotidiana, sempre alla rincorsa, nelle proprie dichiarazioni, anche durante un periodo di guerra, di un consenso immediato da incassare e tradurre magari in un successivo consenso elettorale.

    Il mondo della diplomazia invece rifugge dai fari dei media, specialmente se social, per non precludere il raggiungimento di un accordo il quale, indipendentemente dallo specifico conflitto e dall’area geografica interessata, rimane quello iniziale di un “cassate il fuoco”.

    Questo rappresenta la base minima di partenza dalla quale poi è consentito porre le basi per un accordo politico con step progressivi e successivamente assicurare una pace, armata forse, ma duratura.

    L’unica condizione richiesta dagli operatori diplomatici, ottimamente supportati dai servizi, ruolo fondamentale nell’acquisizione di informazioni relative ai sentiment dei contendenti, anche in un’ottica di comprensione delle evoluzioni politiche, è rappresentata non solo da una discrezione assoluta ma soprattutto da una tranquillità operativa come frutto di una relativa e non troppo invasiva attività attribuibile al mondo della politica ed istituzionale soprattutto.

    In altre parole, i responsabili delle sempre difficili trattative tra nazioni in guerra e i relativi leader belligeranti richiedono, all’interno di un conflitto il cui conto viene pagato giornalmente con vite umane, una comunicazione equilibrata, per quanto possibile, soprattutto dagli organi istituzionali, anche se investiti solo marginalmente dal conflitto. Il mondo della diplomazia difficilmente potrà subire un danno nella evoluzione del percorso verso un primo accordo dalla dichiarazioni di un Letta o di un Salvini qualsiasi di un paese terzo.

    Altro effetto, viceversa, possono avere le prese di posizione dei rappresentati istituzionali dei singoli Paesi le cui dichiarazioni hanno il peso di uno Stato e come tali vengono interpretate proprio dalle parti belligeranti, ancor più se impegnate all’interno della trattativa diplomatica.

    A margine del discorso di Zelensky al Parlamento italiano, le cui interpretazioni e valutazioni si moltiplicano di ora in ora, rappresenta un errore di dimensioni COLOSSALI la successiva dichiarazione del Presidente del Consiglio Mario Draghi il quale ha suggerito di fare entrare l’Ucraina nell’Unione Europea.

    Innanzitutto va rilevata la tempistica diplomaticamente suicida in quanto si fornisce un ulteriore argomento a conferma delle tesi russe relative ad una volontà dell’Ucraina di uscire dall’area di ingerenza dell’ex impero sovietico (si fa riferimento alla retorica putiniana la quale rappresenta una delle cause del conflitto).

    L’ avventata presa di posizione del Presidente del Consiglio ha l’effetto di rafforzare, quindi, la loro posizione negoziale riducendo, come inevitabile conseguenza, i margini operativi dei negoziatori diplomatici alla ricerca di una soluzione accettabile da entrambi i contendenti.

    In più, il peso politico di questa scellerata dichiarazione viene dal Presidente del Consiglio del nostro Paese e non da un rappresentate politico qualsiasi, quindi il peso specifico percepito dagli omologhi russi risulterà sicuramente maggiore ed avrà non solo nell’immediato contesto diplomatico ma anche nel medio e lungo termine un effetto politico ed economico pesante.

    L’arte della diplomazia, quindi, trova nel mondo della politica un sicuro avversario al quale si dimostra, tuttavia, impermeabile anche a causa delle spesso ridicole tesi e dichiarazioni dei singoli leader rappresentanti tanto a livello nazionale quanto europeo.

    Diverso si dimostra, invece, l’effetto ed il danno arrecato alle complesse trattative diplomatiche quando un Presidente del Consiglio si dimostra incapace di prevedere le ricadute delle proprie avventate dichiarazioni dimostrandosi, alla verifica dei fatti e dei comportamenti, molto simile a un qualsiasi rappresentante politico italiano.

    Si azzera, così, la percentuale di considerazione per l’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi Invocato alla guida del nostro Paese come espressione di una superiore preparazione e credibilità internazionale, il quale, però, in un solo anno ha adottato i medesimi comportamenti di quella classe politica per correggere i quali era stato chiamato.

  • Il Qatar si offre come mediatore tra Usa e Iran

    In attesa di conoscere le prime mosse di politica mediorientale del nuovo presidente americano Joe Biden e di capire cosa rimarrà delle scelte prese dall’ormai ex presidente Usa Donald Trump, il Qatar si offre come possibile mediatore tra Stati Uniti e Iran, ma chiede che Washington torni a essere più presente nei vari scenari di crisi della regione, dalla Libia al Golfo passando per i Territori palestinesi.

    In una intervista con l’Ansa, la portavoce del ministero degli esteri di Doha, Lolwa al Khater ha raccontato quanto la crisi economica globale e regionale, aggravata dalla pandemia, abbia contribuito ad accelerare la fine del blocco commerciale imposto nel 2017 dall’Arabia Saudita, dall’Egitto, dal Bahrein e dagli Emirati Arabi Uniti.

    Poche settimane fa l’Arabia Saudita e gli altri tre Paesi alleati di Riad hanno deciso di metter fine assieme al Qatar alla crisi scoppiata alla metà del 2017, quando Riad e i suoi alleati avevano imposto a Doha un assedio marittimo, aereo e terrestre, accusando il Qatar, alleato della Turchia, di sostenere il terrorismo. Quelle accuse sembrano improvvisamente svanite, tanto che al Khater afferma: “Era evidente che era una crisi creata ad arte”.

    La velocità con cui si è apparentemente risolta la crisi del Golfo è stata forse dovuta al persistere di altre crisi, giudicate più dannose ai rispettivi interessi nazionali: la crisi economica, aggravata dalla crisi del Covid-19. Proprio al vertice saudita dei primi di gennaio, ricorda al Khater, tutti i paesi erano “consapevoli che questi anni di crisi (del Golfo) hanno creato perdite per tutti”. Ecco perché – ha aggiunto – ci si è accordati di riattivare i diversi progetti di cooperazione che erano stati sospesi a causa della crisi (del Golfo) e riprendere la collaborazione anche in ambito sanitario”.

    Gli occhi sono ora tutti puntati su Biden e sulla prossima politica mediorientale degli Stati Uniti. L’ex presidente Trump sarà da molti ricordato come colui che ha contribuito a esasperare le tensioni con l’Iran, che ha di recente ripreso l’attività di arricchimento dell’uranio.

    Il Qatar, a due passi dalla costa iraniana, si sente “nel cuore della questione”. Ma da Doha non si sbilanciano: “è difficile parlare in nome di un’amministrazione (Biden) che finora ha detto poco sull’argomento”. Ma si dicono pronti a svolgere un ruolo di mediatori per “abbassare la tensione”.  “Il Qatar è pronto a svolgere una mediazione tra le parti, a patto che tutte le parti ci chiedano di avere questo ruolo”, ha detto la portavoce in collegamento audio-video da Doha. Anche con i ritrovati alleati arabi del Golfo, tra cui l’Arabia Saudita, arcinemica dell’Iran, il Qatar è comunque d’accordo su un punto: “nessuno vuole una nuova guerra nella regione”. Il Qatar, come molti altri attori dell’area, è coinvolto anche in Libia e nella questione palestinese. Su questo al Khater lancia un appello proprio a Biden: gli Stati Uniti devono tornare a essere presenti nella regione.

  • Intesa nel Golfo, finisce l’embargo al Qatar

    Una crisi diplomatica che per oltre tre anni ha scandito le dinamiche regionali nel Golfo in seguito al ‘congelamento’ dei rapporti tra Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein da un lato e il Qatar appare in via di risoluzione grazie anche al ruolo di mediazione degli Stati Uniti.

    Prima l’annuncio della decisione di Riad di riaprire al Qatar le frontiere e lo spazio aereo, poi le indiscrezioni – da media Usa – sulla firma di un accordo che mette fine all’embargo dei tre paesi dell’area contro Doha, hanno confermato in queste ore la svolta.

    L’accordo – scrive il sito americano Axios – è frutto di un lavoro di mediazione svolto da Jared Kushner, consigliere e genero del presidente Usa Donald Trump, volato a in Arabia Saudita per partecipare al vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) nell’ambito del quale è attesa domani la firma dell’intesa.

    Si tratta in sostanza dell’adozione di tre impegni volti a rafforzare la fiducia reciproca: in primo luogo l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein toglieranno il blocco ai trasporti qatarioti, il Qatar da parte sua annullerà le azioni legali contro i paesi vicini. Cesserà inoltre la campagna mediatica fatta di accuse tra i tre paesi e il Qatar. Segnale poi che la svolta è decisa anche la partecipazione al vertice in Arabia Saudita, secondo un annuncio ufficiale diffuso da Doha, dell’emiro del Qatar, sceicco Tamim bin Hamad Al-Thani, per la prima volta dall’entrata in vigore dell’embargo.

    Secondo la ricostruzione di Axios, l’accordo era stato raggiunto in linea di principio durante la scorsa visita di Jared Kushner in Arabia Saudita e in Qatar alcune settimane fa, dove il consigliere di Trump aveva incontrato il principe saudita Mohammed bin Salman e lo sceicco Tamim. Per poi limare l’intesa con nelle ultime settimane, non senza ulteriori mediazioni di Kushner, fino a raggiungere l’intesa che pronta sul tavolo.

    Un gesto chiaro quello dei Paesi del Golfo verso l’amministrazione Trump che ha per tutto il tempo mantenuto i rapporti con ognuno dei paesi coinvolti e che consente al tycoon di lasciare un ultimo segno, un’eredità, nel complicato scacchiere dei rapporti con i paesi del Golfo e del Medio Oriente prima di concludere la presidenza. Ma anche la volontà dei paesi interessati di chiudere il dossier in sospeso prima dell’arrivo del nuovo presidente americano, Joe Biden.

  • Webuild chiude l’acquisizione di Astaldi

    Webuild ha chiuso l’acquisizione del 65% Astaldi, dando vita a un gruppo leader sul mercato italiano e tra i principali player internazionali, con un portafoglio ordini di oltre 40 miliardi di euro e 70.000 dipendenti tra diretti e indiretti. Si concretizza così quella che la stessa Webuild, con le parole dell’ad, Pietro Salini, definisce “la più rilevante operazione di sistema in Progetto Italia”, il nuovo polo delle costruzioni del Paese, a due anni dalla prima offerta manifestata al Tribunale di Roma per l’acquisizione.

    “È un momento di grande soddisfazione per il gruppo e l’avvio di un percorso per un polo più grande e competitivo che ci fa guardare con ottimismo al futuro del settore in Italia” ha commentato Salini. Progetto Italia “si conferma un’operazione industriale di rilancio del Sistema Paese – ha aggiunto il presidente del gruppo, Donato Iacovone – un nuovo modello industriale che può essere replicato anche in altri settori, come risposta alla durissima crisi economica che l’Italia, ma anche l’Europa, sta vivendo con la pandemia”. Astaldi, che aveva visto inizialmente il titolo volare in Borsa ha chiuso debole (-0,29% a 0,34 euro) e Webuild ha guadagnato (+3,17% a 1,02 euro).

    L’operazione, come da concordato, è stata perfezionata con un aumento di capitale per cassa in Astaldi di 225 milioni di euro, riservato a Webuild, destinato in parte al pagamento dei debiti privilegiati e prededucibili e in parte a servizio del piano di continuità. Un passo che Webuild ha finanziato con la liquidità derivante dall’aumento di capitale interamente sottoscritto e versato a novembre 2019, da parte di Salini Costruttori, Cdp Equity, Banco Bpm, Intesa Sanpaolo, UniCredit e altri investitori istituzionali.  “Un significativo pool di investitori qualificati – ha evidenziato Salini – tra cui l’imprenditore Leonardo Del Vecchio, che hanno creduto in un’iniziativa che solo un anno fa sembrava pioneristica e che invece diventa realtà”. “Sarà anche un passo fondamentale – ha detto il ceo di Unicredit, Jean Pierre Mustier – a supporto del piano di sviluppo infrastrutturale promosso dal governo per dare impulso all’economia italiana”. “Fin dall’inizio – ha sottolineato il ceo e consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina – abbiamo voluto sostenere Progetto Italia, certi che ciò avrebbe consentito la messa in sicurezza di tutta la filiera e favorito nuove opportunità in termini di posti di lavoro, soprattutto per i nostri giovani”.

    Il gruppo, che realizza grandi infrastrutture complesse per mobilità sostenibile, energia idroelettrica, acqua e green building, ha inoltre l’ambizione di contribuire all’avanzamento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) dell’Onu e alla lotta ai cambiamenti climatici. “Sentiamo il dovere – ha concluso Salini – di modernizzare il Paese, sbloccando e avviando nuovi progetti in un’ottica di sostenibilità della crescita di lungo periodo, anche grazie alla straordinaria occasione dei fondi europei. Un dovere che diventa vera e propria urgenza soprattutto in questo periodo, in funzione anticiclica, per rilanciare l’economia post pandemia e dare lavoro e una nuova speranza ai giovani”.

  • Chi approfitta e chi perde cosa da un accordo?

    Chi approfitta e chi perde cosa da un accordo?
    Quando si dice che si è d’accordo su qualcosa in linea di principio,
    significa che non si ha la minima intenzione di metterla in pratica.

    Otto von Bismarck

    Il 4 settembre scorso, nell’ufficio ovale del presidente degli Stati Uniti d’America a Washington D.C., ha avuto luogo un incontro tra i massimi rappresentanti della Serbia e del Kosovo. Erano presenti l’anfitrione, presidente Trump, il presidente della Serbia e il primo ministro del Kosovo. Erano presenti anche le tre delegazioni rispettive. Un vertice a tre, rimandato però per due volte. Inizialmente era stato previsto per il 27 giugno scorso. Ma prima della partenza per Washington la delegazione del Kosovo ha annunciato che non poteva partecipare più al previsto vertice. La mancata partenza era dovuta al rilascio, il 24 giungo 2020, di un comunicato dell’Ufficio del Procuratore Speciale per il Kosovo. Con quel comunicato si rendeva noto che il Procuratore Speciale aveva presentato dieci capi d’accusa presso le Camere Speciali del Kosovo contro il presidente della Repubblica del Kosovo. Proprio lui che doveva dirigere la delegazione. Poi, in seguito, il vertice a tre a Washington è stato previsto per il 2 settembre scorso. Ma anche quella volta è stato rimandato, per poi essere stato realizzato finalmente, due giorni dopo, il 4 settembre. La persona incaricata dal presidente statunitense per organizzare l’incontro e per preparare il contenuto del previsto accordo aveva, dall’inizio, ribadito che si trattava di un accordo con obiettivi economici. Mentre per quelli politici le delegazioni della Serbia e del Kosovo dovevano negoziare con i rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea.

    Nel frattempo i massimi rappresentanti dell’Unione europea non hanno visto di buon occhio lo spostamento a Washington dei negoziati tra la Serbia ed il Kosovo. Ragion per cui, subito dopo il fallimento del vertice a tre del 27 giugno 2020, il presidente francese ha proposto un vertice in videoconferenza. Il 12 luglio scorso da Parigi, lui e la cancelliera tedesca hanno dialogato con il presidente serbo, il primo ministro kosovaro e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza. Un dialogo considerato positivo dagli organizzatori. Per l’occasione il rappresentante dell’Unione europea per il dialogo tra la Serbia ed il Kosovo ha espresso la sua soddisfazione perché, secondo lui, finalmente il dialogo tra la Serbia ed il Kosovo, con la diretta mediazione degli alti rappresentanti dell’Unione europea per la normalizzazione dei rapporti, “è ritornato, dopo 20 mesi, nella giusta via”.

    Dopo il sopracitato vertice in videoconferenza le parti hanno ribadito le loro richieste. Il primo ministro del Kosovo ha annunciato le sue cinque. La più importante delle quali era che l’Accordo integrale della Pace tra il Kosovo e la Serbia “doveva portare ad un riconoscimento reciproco” tra i due paesi. Perché per il momento la Serbia considera il Kosovo come una sua regione, parte integrante del suo territorio. Invece il presidente della Serbia, riferendosi al contenuto sostanziale delle richieste del Kosovo, ha dichairato che “… se quello è il perno di tutto ciò che essi [la delegazione del Kosovo] vogliono discutere, allora tutto diventa completamente insensato”.

    Il processo di mediazione di un accordo tra la Serbia ed il Kosovo è cominciato a Rambouillet, in Francia, nel lontano febbraio del 1999. Il testo con il contenuto dell’accordo presentato alle parti, che prevedeva un’autonomia sostanziale per il Kosovo, nonché le modalità della presenza dei rappresentanti internazionali, civili e militari ecc., era preparato dagli esperti della NATO (l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord). Dopo tanti, continui e difficili negoziati non si è raggiunto però un accordo. Il 18 marzo 1999 le delegazioni del Kosovo, degli Stati Uniti d’America e del Regno Unito hanno firmato quello che viene riconosciuto come l’Accordo di Rambouillet. Mentre le delegazioni della Serbia e della Russia hanno rifiutato di farlo. Ragion per cui, in seguito, la NATO ha deciso l’intervento militare con bombardamenti aerei contro la Serbia. Il resto è ormai storia nota.

    Negli anni dopo quell’intervento militare, i negoziati tra i due paesi hanno continuato, sempre con le stesse e insuperabili difficoltà. Nel novembre 2005 ha avuto inizio quello che diventerà il processo per l’indipendenza del Kosovo, nell’ambito di quella che è stata riconosciuta come la Conferenza di Vienna. Dopo una serie di incontri tra le parti, il 2 febbraio 2007 il rappresentante internazionale ha presentato le sue proposte per portare ad un accordo. Quel rappresentante era un noto diplomatico e politico finlandese. Egli è stato presidente della Finlandia dal 1994 al 2000 e anche sottosegretario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Per il suo continuo e apprezzato impegno per la pace nel mondo, a lui, Martti Ahtisaari, è stato assegnato il premio Nobel per la pace 2008. La Serbia, come sempre, ha rifiutato il riconoscimento del Kosovo come Stato indipendente. Mentre il Kosovo, con il deciso sostegno di tutti i paesi del G7 e di molti altri in seguito, ha dichiarato la sua indipendenza il 17 febbraio 2008.

    Un terzo processo di dialoghi tra la Serbia ed il Kosovo, per raggiungere un accordo di pace, è ricominciato nel 2011, con la mediazione dei massimi rappresentanti dell’Unione europea. Si tratta di un processo che continua tutto’ora e che, come sopracitato, è ricominciato il 12 luglio scorso, dopo venti mesi di pausa. Si tratta, però, di un processo che ha avuto degli alti e bassi e che ha rischiato di portare non solo ad un fallimento, ma anche a degli accordi che potevano mettere a repentaglio la sicurezza e la stabilità nei Balcani. Perché, come è stato reso pubblico durante gli ultimi anni, si poteva arrivare, con un consenso non solo dei massimi rappresentanti della Serbia e del Kosovo, ma anche dell’attuale primo ministro albanese, ad un pericoloso processo della ridistribuzione di determinati territori confinanti, a vantaggio della Serbia. Un simile progetto ha visto come un attivo promotore anche l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza dal 2014 al 2019. Durante questo periodo tra la Serbia e il Kosovo sono stati raggiunti degli accordi particolari, che mai sono stati però attuati in seguito. Ragion per cui, la mediazione dell’Unione europea è stata considerata come un fallimento da molti analisti e opinionisti internazionali.

    Una situazione quella che ha fatto “scendere in campo” gli Stati Uniti d’America. Ovviamente ci sono anche dei motivi non pubblicamente dichiarati che hanno portato ad una simile decisione. Motivi che, secondo gli analisti, hanno a che fare con l’aumento della presenza russa e cinese nei Balcani. Ma anche motivi che avrebbero a che fare, forse, anche con la campagna in corso per le elezioni presidenziali del prossimo novembre. Sui reali motivi e sui primi e attesi risultati del vertice del 4 settembre scorso a Washington D.C., tra i massimi rappresentanti della Serbia e del Kosovo, alla presenza del presidente statunitense, le opinioni sono diverse e spesso anche ben differenti. Comunque sia, la discesa in campo degli Stati Uniti darà un nuovo impulso dei negoziati e della soluzione finale del problema spinoso tra la Serbia e il Kosovo. Come è stato anche nel 1999 e poi, nel 2007 – 2008. Il primo risultato, comunque, è stato la ripresa dei negoziati con la mediazione dell’Unione europea. Tutto rimane, però, da vedere.

    Chi scrive queste righe pensa che quando si tratta di un accordo non ci sono mai né vincitori e né vinti. Altrimenti non si tratterebbe di un accordo, ma bensì di un diktat. Egli auspica che quanto scriveva Bismark, su un accordo in linea di principio, non sia vero sempre. Perché se no, ci si chiederebbe chi approfitta e chi perde cosa dall’accordo del 4 settembre scorso a Washington?

  • Accordo USA-talebani: valeva la pena tutto quello che è accaduto?

    19 anni fa, dopo i tragici attentati negli Stati Uniti, iniziò la lunga odissea in Afghanistan, la guerra voluta dagli Stati Uniti nella quale sono stati coinvolti soldati di molte nazioni tra le quali l’Italia. Gli attentati dell’11 settembre seguivano l’omicidio, avvenuto a tradimento in Afghanistan, del comandante Massoud il 9 settembre per mano di terroristi islamici provenienti dal Belgio. Massoud era stato pochi mesi prima in Europa per incontrare governi e forze politiche nella speranza di trovare aiuto per sconfiggere i talebani del mullah Omar, alleati con Osama Bid Laden, che si stavano impadronendo del paese. Al Qaeda si era già insediata in Somalia ed il progetto era di espandere la jihad nel mondo ed il regime del terrore con attentati sanguinari  Nel suo viaggio in Europa l’eroe afgano, che aveva combattuto vittorioso contro il potente esercito russo, aveva cercato ascolto anche al Parlamento europeo, ma i governi occidentali non gli fornirono le armi che gli servivano per sconfiggere i talebani e Osama Bin Laden e rimasero inascoltati i suoi avvertimenti su imminenti attacchi terroristici nel mondo. Da allora la guerra del terrore si è estesa in tutto il mondo con innumerevoli attentati che hanno segnato la vita di quasi tutte le nazioni e massacrato migliaia di innocenti mentre agli orrori di Al Qaeda si sono aggiunti quelli dell’Isis, ancor oggi non completamente sconfitto.

    Ora, dopo 19 anni di conflitti, morti e stragi in Afghanistan i talebani, che ancora si rifiutano di riconoscere il governo frutto di un minimo di democrazia elettorale e continuano a rendere impossibile una vita normale a chi, uomini, bambini e in special modo donne, vorrebbe avere la libertà di studiare e di vivere serenamente, diventano interlocutori degli americani. Certo non c’è più il mullah Omar e Bin Laden è stato ucciso e sono morti migliaia di soldati e di civili e il presidente americano ha bisogno di presentarsi alle elezioni portando a casa dall’Afghanistan i soldati americani. Valeva la pena tutto quello che è accaduto? Non sarebbe bastato uccidere Bid Laden? Cosa ha significato continuare per 19 anni una guerra per fare un trattato proprio con i talebani? Dobbiamo aspettarci presto anche un accordo con gli al Shabaab somali?

    Che gli Stati Uniti abbiano ormai da tempo dimostrato di non essere in grado di vincere le guerre che iniziano sotto la spinta delle case produttrici di armi e dell’irrazionalità di chi governa è noto come è purtroppo noto che la loro reazione al terrorismo è spesso inefficace e non porta risultati positivi ed è altrettanto noto il caos che hanno generato nel mondo con gli interventi in Iraq e in Libia, con la complicità francese. Noi rimaniamo dell’idea che le guerre si fanno per difendere libertà e giustizia, per sopprimere i terroristi e per difendere i civili ma il dio denaro e l’orgoglio spropositato portano invece ad errori devastanti per tutti e si traducono in vere sconfitte come l’accordo siglato in questi giorni il cui prezzo sono state le morti inutili di chi ha combattuto In Afghanistan per un mondo diverso.

  • EU and Kazakhstan launch high-level dialogue on economic and business cooperation

    The EU-Kazakhstan High-Level Platform of dialogue on economic and business matters held its first meeting on 1 July in Nur-Sultan, chaired by Kazakhstan Prime Minister Askar Mamin. The meeting was also attended by leading European companies and EU Heads of Mission led by the EU Ambassador to Kazakhstan Sven-Olov Carlsson. “The High-Level Platform between the European Union, its businesses and the Kazakh Government is important for regular exchange of views,” Carlsson said in his opening speech.

    With the Enhanced Partnership and Cooperation Agreement, the EU and Kazakhstan have developed a framework for further strengthening trade and economic relations. The EU supports Kazakhstan’s ambitious reform and modernisation processes, including the improvement of the business climate.

    During the meeting, both parties discussed issues of common interest, including reducing technical barriers to trade, notably in the agro-food sector, as well as issues related to tax legislation. The European Union is Kazakhstan’s first trading partner and represents more than half of foreign direct investment in Kazakhstan.

    The EU is Kazakhstan’s first trading partner and represents more than half of foreign direct investment in Kazakhstan. The EU represents over one third of Kazakhstan’s external trade and over half of total foreign direct investment in Kazakhstan. With over 75% of oil exports going to the EU (representing approximately 6% of total EU imports), Kazakhstan is already the third largest non-member of the Organisation of the Petroleum Exporting Countries supplier for the EU. From the EU, Kazakhstan imports machinery, transport equipment and pharmaceuticals, alongside chemical products, plastics, medical devices and furniture.

    The EU-Kazakhstan Enhanced Partnership and Cooperation Agreement, signed in Nur-Sultan on 21 December 2015 and provisionally application since 1 May 2016, aims at creating a better regulatory environment for businesses in areas such as trade in services, establishment and operation of companies, capital movements, raw materials and energy, intellectual property rights. It is a tool of regulatory convergence between Kazakhstan and the EU, with some “WTO plus” provisions, notably on public procurement.

    The next meeting is preliminary scheduled for autumn this year.

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