Canada

  • Canada announces new border rules following Trump tariff threat

    Canada has promised to implement a set of sweeping new security measures along the country’s US border, including strengthened surveillance and a joint “strike force” to target transnational organised crime.

    The pledge follows a threat from President-elect Donald Trump to impose, when he takes office in January, a 25% tariff on Canadian goods if the country does not secure its shared border to the flow of irregular migrants and illegal drugs.

    Economists say such tariffs could strike a blow to Canada’s economy.

    Announcing details of the plan, Canada’s minister of finance and intergovernmental affairs said the federal government would devote C$1.3bn ($900m; £700m) to the plan.

    The measures “will secure our border against the flow of illegal drugs and irregular migration while ensuring the free flow of people and goods that are at the core of North America’s prosperity”, Minister Dominic LeBlanc said on Tuesday.

    The five pillars of the plan cover the disruption of the fentanyl trade, new tools for law enforcement, enhanced coordination with US law enforcement, increased information sharing and limiting traffic at the border.

    They include a proposed aerial surveillance task force, including helicopters, drones and mobile surveillance towers between ports of entry.

    The government is also giving the Canada Border Service Agency funds to train new dog teams to find illegal drugs, and new detection tools for high-risk ports of entry.

    And LeBlanc provided further detail on the so-called “joint strike force” for Canadian and US authorities, saying it would include “support in operational surges, dedicated synthetic drug units, expanded combined forces, special enforcement units, binational integrated enforcement teams, and new operational capacity and infrastructure”.

    The new plan appears to correspond to the concerns publicly disclosed by Trump in recent weeks: the flow of fentanyl and undocumented immigrants into the US.

    The number of crossings at the US-Canada border is significantly lower than at the southern border, according to US Border Patrol data on migrant encounters, as is the amount of fentanyl seized.

    Mexico is also facing a 25% tariff threat.

    LeBlanc said he and other officials had a “preliminary” conversation with Trump’s incoming “border tsar” Tom Homan about the new plan.

    “I’m in encouraged by that conversation,” he said.

    LeBlanc was present at a meeting last month between Prime Minister Justin Trudeau and Trump at Mar-a-Lago, a trip reportedly meant to head-off the levy.

    The announcement comes on LeBlanc’s first day as Canada’s finance minister.

    The longtime ally to Trudeau was hastily sworn in on Monday after the surprise resignation of Chrystia Freeland, who served as both finance minister and deputy prime minister.

    Freeland quit her posts with a scathing open letter to Trudeau in which she outlined disagreements she had with him on spending and “the best path forward for Canada”.

    Her abrupt exit from cabinet has put additional strain on Trudeau’s weakened minority government.

    On Tuesday, in a speech to party faithful at a Liberal holiday event, a defiant Trudeau said there are “always tough days and big challenges” in politics.

    “But this team doesn’t hold the record for the longest minority in Canadian history because we shy away from these moments, we put in the work, whether it’s easy or hard”.

  • L’antitrust del Canada avvia un’azione legale contro Google per la pubblicità online

    L’Ufficio per la concorrenza canadese ha avviato un’azione legale contro Google per condotta anticoncorrenziale nei servizi tecnologici di pubblicità online in Canada: dopo un’indagine approfondita ha presentato una domanda al Tribunale per la concorrenza per chiedere di porre rimedio a tale condotta a vantaggio dei canadesi. Lo rende noto un comunicato dell’Ufficio. Il caso, spiega l’organismo antitrust, riguarda la pubblicità online, ovvero gli annunci mostrati agli utenti quando visitano i siti web. Lo spazio pubblicitario digitale viene spesso acquistato e venduto tramite aste automatizzate utilizzando piattaforme note come strumenti tecnologici pubblicitari. Dall’indagine è emerso che, in Canada, Google è il più grande fornitore di tecnologia pubblicitaria per la pubblicità sul web e ha abusato della sua posizione dominante attraverso una condotta volta a mantenere e consolidare il suo potere di mercato.

    Tale condotta costringe i partecipanti al mercato a utilizzare gli strumenti di tecnologia pubblicitaria di Google, impedendo ai rivali di competere in base ai meriti della loro offerta e distorcendo il processo competitivo. In particolare, l’Ufficio ha scoperto che Google ha collegato illegalmente i suoi vari strumenti tecnologici pubblicitari per mantenere il suo predominio e ha sfruttato la sua posizione per distorcere le dinamiche delle aste dando ai propri strumenti un accesso preferenziale, adottando in alcune circostanze margini negativi per svantaggiare i rivali e dettando le condizioni alle quali i propri clienti possono effettuare transazioni con gli strumenti tecnologici pubblicitari concorrenti.

    L’Ufficio ritiene, pertanto, che attuando questa condotta anticoncorrenziale, Google abbia consolidato la propria posizione dominante, impedito ai rivali di competere, inibito l’innovazione, aumentato i costi pubblicitari e ridotto i ricavi degli editori. Al Tribunale per la concorrenza, cui spetta la decisione finale, si chiede, quindi, un’ordinanza volta a ottenere che Google venda due dei suoi strumenti tecnologici pubblicitari, paghi una penale e metta fine alle pratiche anticoncorrenziali.

  • Canada e India ai ferri corti: espulsi i reciproci ambasciatori

    La crisi diplomatica in atto da ormai un anno tra India e Canada ha portato nei giorni scorsi all’espulsione reciproca degli ambasciatori. La crisi è aperta dal 18 settembre 2023, giorno in cui il primo ministro del Canada, Justin Trudeau, durante un intervento parlamentare, riferendo di aver ricevuto “elementi credibili” dalle agenzie di sicurezza, accusò pubblicamente l’India di essere coinvolta nell’omicidio dell’attivista sikh Hardeep Singh Nijjar, cittadino canadese, avvenuto due mesi prima in territorio canadese. L’attivista ucciso era coinvolto nel movimento per il Khalistan, una patria sikh che dovrebbe comprendere il Punjab indiano, l’unico Stato in cui la comunità è maggioritaria (circa 60 per cento della popolazione, contro il due per cento scarso in tutta l’India) e alcuni altri territori (i confini variano a seconda dei gruppi).

    Il movimento per il Khalistan, nato verso la fine del dominio britannico, raggiunse il suo culmine nel Punjab negli anni Ottanta, mentre dagli anni Novanta è andato scemando, sia per la repressione delle forze dell’ordine sia per le divisioni interne. La terra dei sikh oggi è vagheggiata soprattutto tra gli espatriati. Nuova Delhi, tuttavia, mantiene una linea durissima contro il separatismo sikh. L’organizzazione Sikhs for Justice (Sfj), di cui Nijjar faceva parte, è classificata come associazione illegale in India. Il gruppo militante Khalistan Tiger Force (Ktf), di cui Nijjar era ritenuto il capo dalle autorità indiane, è stato designato come organizzazione terroristica. La questione sikh è stata motivo di frizioni tra India e Canada anche prima della grave crisi in corso, da quando Trudeau è in carica. Le accuse scambiate tra i due governi hanno però raggiunto toni drammatici ieri.

    Il ministero degli Esteri indiano ha emesso tre comunicati nel corso della giornata: il primo per contestare l’inclusione del suo ambasciatore a Ottawa e di altri diplomatici tra le “persone di interesse”, ovvero informate dei fatti e convocabili durante le indagini sul caso Nijiar; il secondo per annunciare il ritiro dell’ambasciatore e di altri diplomatici e funzionari; il terzo per comunicare l’espulsione di sei diplomatici canadesi. Nel frattempo, indiscrezioni della stampa, in particolare del quotidiano “The Washington Post”, che ha interpellato funzionari del governo canadese, hanno rivelato che i diplomatici indiani sono stati in realtà espulsi. L’espulsione, infine, è stata confermata dal ministero degli Esteri del Canada, dopo un quadro allarmante illustrato da una conferenza stampa della Polizia reale canadese a cavallo (Rcmc).

    La Polizia canadese ha parlato senza mezzi termini del “coinvolgimento di agenti del governo indiano in gravi attività criminali in Canada”, tra cui “omicidi, estorsioni e altri atti criminali di violenza”, scoperto attraverso “molteplici indagini in corso”. L’Rcnc ha spiegato che, in seguito a diverse denunce, ha creato nel febbraio di quest’anno una squadra multidisciplinare che “ha appreso una notevole quantità di informazioni sull’ampiezza e la profondità dell’attività criminale orchestrata da agenti del governo indiano”. Le indagini hanno rivelato anche che diplomatici e funzionari consolari indiani “hanno sfruttato le loro posizioni ufficiali per svolgere attività clandestine, come la raccolta di informazioni per il governo indiano, direttamente o tramite i loro rappresentanti; e altri individui hanno agito volontariamente o tramite coercizione”.

    Secondo quanto riferito, il vice commissario della polizia federale, Mark Flynn, ha tentato di incontrare gli omologhi delle forze dell’ordine indiane per discuterne, ma “questi tentativi non hanno avuto successo”. Nel fine settimana, quindi, Flynn, insieme alla consigliera per la Sicurezza nazionale e l’intelligence, Nathalie Drouin, e al viceministro degli Esteri, David Morrison, ha incontrato funzionari del governo indiano per presentare alcune “evidenze” e chiedere collaborazione in merito a quattro problemi molto gravi: l’estremismo violento che colpisce entrambi i Paesi; i collegamenti tra agenti del governo indiano e omicidi e atti violenti; l’uso della criminalità organizzata per creare la percezione di un ambiente non sicuro che prende di mira la comunità sud-asiatica in Canada; l’interferenza nei processi democratici.

    Il ministero degli Esteri del Canada ha motivato l’espulsione di sei diplomatici e funzionari consolari indiani con l’indisponibilità dell’India a collaborare e con la necessità di proteggere la sicurezza dei canadesi: “Per far progredire l’indagine e consentire alla Rcmp di interrogare gli individui interessati, è stato chiesto all’India di rinunciare alle immunità diplomatiche e consolari e di collaborare all’indagine. Purtroppo, poiché l’India non era d’accordo e dati i problemi di sicurezza pubblica per i canadesi, il Canada ha notificato l’espulsione a questi individui”, si legge nel comunicato. La ministra Melanie Joly si è rammaricata, sottolineando che è “nell’interesse di entrambi i Paesi arrivare in fondo a questa questione”.

    Per Nuova Delhi, invece, “il governo canadese non ha condiviso un briciolo di prova con il governo dell’India, nonostante le numerose richieste”; contro i diplomatici indiani sono state lanciate “imputazioni assurde” e “ridicole”; da Ottawa sono giunte solo “affermazioni prive di fatti” e dietro “il pretesto di un’indagine” c’è “una strategia deliberata di diffamazione dell’India per guadagni politici”. Il ministero degli Esteri indiano, a sua volta, ha accusato il governo del Canada, ed esplicitamente il suo primo ministro Trudeau, di aver “concesso spazio a estremisti violenti e terroristi per molestare, minacciare e intimidire diplomatici indiani” giustificando tali attività “in nome della libertà di parola”. Oltre a lamentare la mancata repressione in Canada dell’attivismo separatista sikh, il ministero ha attribuito a Trudeau una “evidente ostilità” nei confronti dell’India, con motivazioni politiche.

    La vicenda per Nuova Delhi è da attribuire “all’agenda politica del governo Trudeau che è incentrata sulla politica della banca dei voti”. Dunque, Trudeau – leader del Partito liberale, nettamente indietro rispetto al Partito conservatore in tutti i sondaggi più recenti in vista delle elezioni federali dell’anno prossimo – utilizzerebbe il caso Nijiar a scopo elettorale, per attingere alla “riserva di voti” dell’elettorato sikh (una comunità di circa 800 mila persone, su una popolazione di circa 39 milioni). Anche a costo delle relazioni di lunga data, 75 anni, con l’India, con cui sussistono importanti legami storici ed economici.

    Il caso Nijiar, comunque, non è isolato. Ne esiste uno analogo negli Stati Uniti, dove un cittadino indiano di nome Nikhil Gupta è stato incriminato per il coinvolgimento in un “complotto sventato” per assassinare a New York un “leader del movimento separatista sikh”, Gurpatwant Singh Pannun, fondatore del gruppo Sikhs for Justice. Qualche mese fa, inoltre, il quotidiano “The Washington Post” ha pubblicato un’inchiesta – “infondata” secondo Nuova Delhi – sulle “campagne di repressione transfrontaliera” condotte negli ultimi anni dall’India. La testata ha intervistato “più di tre decine di attuali ed ex alti funzionari negli Stati Uniti, in India, Canada, Regno Unito, Germania e Australia”, interviste che hanno descritto una “posizione globale sempre più aggressiva della Raw”, l’agenzia di spionaggio indiana Research and Analysis Wing.

  • India to resume visa services for Canadians

    India will resume visa services for Canadians after they ceased in a major diplomatic row in September, India’s High Commission in Ottawa says.

    At the time, India said the move was due to “security threats” disrupting work at its Canadian missions.

    But the suspension came amid a serious dispute over the killing of a Sikh separatist on Canadian soil.

    Ottawa accused India of being behind the killing – an allegation New Delhi has called “absurd.”

    On Wednesday, officials said they will resume issuing some visas after reviewing the security situation at their missions, and in light of recent Canadian measures which they did not name.

    Services will reportedly resume on Thursday, and will apply to entry visas, as well as business, medical and conference visas.

    Relations between India and Canada reached historic lows after Prime Minister Justin Trudeau accused the country of being behind the murder of Hardeep Singh Nijjar, a Sikh separatist leader that was shot and killed in Surrey, British Columbia, in June.

    Police at the time described it as a “targeted killing”, but no suspects have yet been identified.

    Mr Trudeau has urged for India’s cooperation into the ongoing murder investigation, while stressing that Canada is not looking to escalate the rift with India.

    Canada recently withdrew dozens of its diplomats from India, after the country threatened to remove diplomatic immunity for them.

    India has said Canada had many more diplomats in Delhi than India has in Ottawa, and has demanded parity ever since the row between the two countries erupted.

    Twenty-one Canadian diplomats remain in India.

  • Handguns: Canada proposes complete freeze on ownership

    Canada should introduce a total ban on the buying and selling of all handguns, Prime Minister Justin Trudeau has said.

    His government is proposing a new law that would freeze private ownership of all short-barrelled firearms.

    The legislation would not ban the ownership of handguns outright – but would make it illegal to buy them.

    Mr Trudeau’s proposal comes days after a deadly shooting at a Texas primary school, in the neighbouring US, killed 21 people.

    The bill, which was presented to Canada’s parliament on Monday, makes it impossible to buy, sell, transfer or import handguns anywhere in the country.

    “Other than using firearms for sport shooting and hunting, there is no reason anyone in Canada should need guns in their everyday lives,” Mr Trudeau told reporters.

    “As we see gun violence continue to rise, it is our duty to keep taking action,” he said.

    It marks the most ambitious attempt yet by his government to restrict access to firearms.

    The bill would also require rifle magazines to be reconfigured so they can hold no more than five rounds at a time.

    And it would take away firearms licences from gun owners involved in domestic violence or criminal harassment.

    Unlike in the US, gun ownership is not enshrined in Canada’s constitution, but firearms are still popular, especially in rural parts of the country.

    Canada already has stricter rules on gun ownership than its southern neighbour and records fewer firearm incidents every year.

    For example, all guns must be kept locked and unloaded and anyone wishing to buy a firearm must undergo extensive background checks.

    But there have been calls in recent years to tighten gun legislation there even further, especially following a number of deadly shootings.

    In April 2020, a gunman posing as a police officer killed 22 people during a shooting spree in Nova Scotia – the deadliest in Canada’s history.

    Within days, Mr Trudeau announced an immediate ban on 1,500 different kinds of military-grade and assault-style weapons.

    The new bill would effectively limit the number of legally-owned handguns in Canada to present levels.

  • Il Canada esclude Huawei e ZTE dal 5G

    La Cina ha criticato duramente il Canada per la decisione di escludere dal suo network di telecomunicazioni i colossi Huawei e ZTE, a partire dalle reti del 5G, definendo “infondata” la stretta perché su “inesistenti rischi per la sicurezza”.

    “La Cina è fermamente contraria a tutto questo”, ha tuonato il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin, assicurando che Pechino “adotterà tutte le misure necessarie” per proteggere le aziende cinesi. Mentre lo stesso gruppo di Shenzhen ha definito il blocco ai suoi servizi come una “decisione politica”.

    La decisione di Ottawa è in linea con quelle adottate da Stati Uniti, Australia, Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Giappone e Svezia, che hanno già bloccato o fortemente limitato l’uso di tecnologie Huawei, e segue l’aspro scontro diplomatico con Pechino sulla detenzione di quasi tre anni di Meng Wangzhou, la manager a capo della finanza di Huawei, nonché figlia del fondatore Ren Zhengfei, arrestata a Vancouver a dicembre 2018 su richiesta Usa con l’accusa di violazione delle sanzioni all’Iran. La Cina, pochi giorni dopo il suo fermo, arrestò due cittadini canadesi – l’ex diplomatico Michael Kovrig e l’uomo d’affari Michael Spavor – in quella che gli osservatori videro come una rappresaglia per l’arresto di Meng. Tutti e tre furono rilasciati a settembre 2021 dopo che la manager trovò un accordo con il Dipartimento alla Giustizia Usa sulle accuse di frode, ponendo fine all’estenuante battaglia legale per la sua estradizione negli Stati Uniti.

    Washington ha messo in guardia sulle implicazioni per la sicurezza legate alle forniture delle aziende tecnologiche cinesi, soprattutto concedendo l’accesso a infrastrutture di tlc o strategiche che potrebbero essere usate per lo spionaggio o anche per il semplice sabotaggio.

    Giovedì scorso il ministro dell’industria canadese Francois-Philippe Champagne, sul 5G, ha annunciato “l’intenzione di vietare l’inclusione di prodotti e servizi di Huawei e ZTE nei sistemi di telecomunicazioni canadesi”, aggiungendo che non ci sarà alcuna autorizzazione agli operatori che “vorranno avvalersi di prodotti o servizi che mettono a rischio la sicurezza nazionale”. Inoltre, gli operatori che ne fanno già uso “dovranno cessarne l’uso e rimuoverla”, in merito alle apparecchiature 4G.

    Per Huawei si tratta di un brutto colpo, nel mezzo degli sforzi per riorientare il business dopo la stretta americana sulle forniture di componenti hi-tech Usa. “Nonostante un calo delle entrate nel 2021, la nostra capacità di realizzare profitti e generare flussi di cassa è in aumento e siamo più capaci di affrontare l’incertezza”, disse Meng, ‘Lady Huawei’, al suo primo grande evento pubblico, parlando un po’ emozionata del bilancio 2021 chiuso con utili netti record in rialzo del 75,9% e ricavi in frenata del 28,6%.

  • Canadian police reveal decade-long Manitoba residential school inquiry

    Canadian police say they have spent over a decade investigating abuse allegations at a former residential school for indigenous children.

    The government-funded Fort Alexander school in Manitoba was one of dozens of such institutions founded to forcibly assimilate indigenous children.

    For years, activists and survivors have alleged systematic abuse at the school, which closed in 1970.

    Police on Tuesday revealed that they had launched a criminal probe in 2011.

    The Manitoba branch of the Royal Canadian Mounted Police (RCMP) made the rare comment about the ongoing investigation after an inquiry from a local media outlet.

    As part of their search for potential victims, police have said they spoke to more than 700 people. Ultimately, a total of 75 witness and victim statements were obtained since the inquiry began.

    To date, no criminal charges have been filed, as evidence is still being reviewed.

    The RCMP said it is “imperative” that the privacy of those victims, suspects and witnesses be respected.

    Chief Derrick Henderson of the Sagkeeng First Nation – the community most affected by the investigation – said that privacy violations “will not only cause further trauma to everyone involved, but also potentially compromise this highly sensitive investigation”.

    Government-run boarding schools in Canada were part of a policy to attempt to assimilate children and destroy indigenous cultures and languages.

    More than 150,000 First Nations, Métis and Inuit children were taken from their families and placed in residential schools between 1874 and 1996.

    The policy traumatised generations of indigenous children, who were forced to adopt Christianity, drop their native languages and speak English or French.

    In May, the discovery of 215 unmarked graves near the Kamloops Indian Residential School brought fresh attention to this dark chapter of Canadian history.

    In the months that followed, the tally of unmarked graves across the country rose to more than 1,300.

    In July, Canadian Prime Minister Justin Trudeau called the assimilation policy “incredibly harmful”.

  • Canada’s Trudeau hits China on human rights, ‘coercive diplomacy’

    Canada’s prime minister Justin Trudeau on Tuesday criticised China’s “coercive diplomacy,” repressive measures in Hong Kong and detention of Uyghur Muslims, saying they are counterproductive both for Beijing and for the rest of the world.

    “We will remain absolutely committed to working with our allies to ensure that China’s approach of coercive diplomacy, its arbitrary detention of two Canadian citizens alongside other citizens of other countries around the world is not viewed as a successful tactic by them”, Trudeau said. He also stressed Canada’s “concern for the protection of human rights and places like Hong Kong” and “with the Uyghurs”.

    The Chinese embassy in Ottawa did not have an immediate response to Trudeau’s criticism of its diplomacy. China has repeatedly said Canada must set Meng Wanzhou, a senior executive of Chinese telecoms giant Huawei, free before relations can improve.

    Ties between the two countries deteriorated in 2018 after Canadian police arrested Meng on a US extradition warrant. She is charged with bank fraud related to violations of US sanctions against Iran. Soon after, China detained two Canadians and charged them with spying.

    Tuesday marked the 50th anniversary of Canada’s diplomatic ties with China. Trudeau said that Canada would “continue to work with our fellow like-minded nations around the world, to impress upon China that its approach to internal affairs and global affairs is not on a particularly productive path for itself or for all of us”.

     

  • Il premier canadese Trudeau nei guai per i rapporti con una Ong

    Il premier canadese Justin Trudeau è accusato per la terza volta di conflitto di interessi: un ente di beneficenza cui il governo aveva aggiudicato non molto tempo fa un importante finanziamento pubblico ha pagato complessivamente centinaia di migliaia di dollari alla madre, al fratello e alla moglie del leader per farli partecipare ad alcuni suoi eventi. E i suoi rivali politici chiedono ora che sia aperta un’indagine penale nei suoi confronti.

    La vicenda, con il suo corollario di polemiche, è esplosa quando il commissario ai conflitti d’interesse, un funzionario indipendente dal parlamento, ha aperto un’indagine etica. Le rivelazioni hanno spinto l’opposizione conservatrice a reclamare un’inchiesta per eventuali frodi. “E’ una cosa molto più seria di un conflitto di interessi”, ha dichiarato Pierre Poilievre, portavoce conservatore incaricato degli affari finanziari, mentre dal New Democratic Party hanno definito “più che inquietante” la situazione e il Bloc québécois ha chiesto al leader liberale di ritirarsi per qualche mese e di farsi rimpiazzare dalla vicepremier Chrystia Freeland, almeno finché la situazione non sarà chiarita del tutto. Dopo aver perso la maggioranza in parlamento alle elezioni dell’ottobre scorso, la sopravvivenza del governo Trudeau dipende dal sostegno dei partiti dell’opposizione, anche se per il momento nessuno dice di voler rovesciare l’esecutivo.

    A beneficiare di fondi governativi per una somma equivalente a 587 milioni di euro è stata l’associazione ‘We Charity’. L’ong ha ammesso di aver pagato a sua volta complessivamente circa 191mila euro ai tre famigliari del premier: 162mila euro a sua madre Margaret Trudeau, per dei discorsi pronunciati in 20 eventi tra il 2016 e l’anno in corso, 21mila euro al fratello Alexandre per la sua partecipazione a otto iniziative e 1.000 euro a sua moglie Sophie per un evento nel 2012, prima che il leader diventasse capo del governo. Dati che cozzano con quanto dichiarato qualche giorno fa dall’ufficio del premier: lo staff di Trudeau aveva assicurato ai principali quotidiani canadesi che la coppia presidenziale non aveva mai ricevuto somme di denaro per la sua presenza ad iniziative dell’ong. We Charity aveva ottenuto un contratto pubblico per la gestione di un programma di borse di studio ma ora, dopo le polemiche, si è ritirata dal programma. Trudeau peraltro non è l’unico membro del governo ad avere legami con l’organizzazione, che ha pagato anche una figlia del ministro delle Finanze Bill Morneau.

    Non è la prima volta che Trudeau finisce nell’occhio del ciclone per questioni etiche. La sua popolarità era già stata intaccata dopo che il commissario aveva concluso due volte che il premier ha infranto la legge sul conflitto di interesse: nel 2017 per aver accettato una vacanza sull’isola privata dell’Aga Khan e lo scorso anno per aver tentato di influenzare un procedimento giudiziario nel caso Snc-Lavalin.

  • Quebec ban on religious symbols causes international outcry

    Two groups of Canadian activists have filed an appeal against a Quebec judge’s decision to ban the wearing of religious symbols by public employees.

    The decision issued by Quebec’s Superior Court prohibits teachers, police, judges, prison guards, and all public servants from wearing any religious regalia including as yarmulkes (kippahs), hijabs, and crosses. The ruling also bans face coverings while providing public services, which would seriously impact the growing number of Muslim women that work as teachers.

    Private civil liberties groups, the National Council of Canadian Muslims, and the Canadian Civil Liberties Association appealed the decision only hours after it passed in the hope that they could keep the measure from taking effect until it could be publicly debated.

    According to the group, the decision contains major legal as it discriminates against people based on how they dress

    “This is both absurd and abhorrent – it has no place in a society that values justice, equality and freedom,” said Noa Mendelsohn Aviv, equality program director of the Canadian Civil Liberties Association.

    The decision has caused an international outcry, as well as condemnation from Canadian politicians who argue that the law violated fundamental freedoms protected by the Canadian Constitution.

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