
Contesa per le riserve di gas del Mediterraneo orientale
Libia e Turchia rafforzano il partenariato energetico, riaccendendo le tensioni con la Grecia sulle Zone economiche esclusive (Zee) nel Mediterraneo orientale, una contesa dagli effetti potenzialmente negativi anche per l’Italia. Il ministro del Petrolio del Governo di unità nazionale libico, Khalifa Abdul Sadiq, ha incontrato oggi il collega turco dell’Energia, Alparslan Bayraktar, per rafforzare la cooperazione bilaterale nel settore degli idrocarburi. L’appuntamento, passato in apparenza come un normale colloquio tecnico, avviene in un contesto ad altissima tensione geopolitica, e segna un nuovo capitolo nella crescente rivalità tra Libia, Turchia e Grecia. Durante l’incontro, tenutosi a Tripoli, le parti hanno discusso opportunità congiunte di esplorazione onshore e offshore, con particolare attenzione al coinvolgimento delle aziende turche nei progetti di sviluppo e modernizzazione dei giacimenti e delle infrastrutture energetiche libiche. Al centro dei colloqui, il memorandum d’intesa già firmato tra la compagnia libica Noc e la turca Tpao per attività di esplorazione e produzione (E&P) in quattro blocchi marini che la Libia rivendica come parte della propria Zee.
Per la Grecia – e non solo – si tratta di un affronto giuridico e geopolitico. La tensione è esplosa dopo che Atene ha annunciato una nuova gara internazionale per l’esplorazione di idrocarburi al largo di Creta, includendo aree che la Libia considera parte della propria Zee. La risposta è stata durissima: sia il governo di Tripoli sia l’esecutivo di Bengasi hanno condannato l’iniziativa greca come “unilaterale” e “illegittima”. Il ministero degli Esteri libico ha convocato l’ambasciatore greco a Tripoli per esprimere una “ferma protesta”, denunciando “una violazione del diritto internazionale del mare e una lesione dei diritti sovrani della Libia”. In risposta, il governo greco ha annunciato il dispiegamento di due fregate e una nave militare nelle acque internazionali prospicienti la Libia, ufficialmente per contenere i flussi migratori verso Creta e Gavdos. Un gesto che Tripoli ha percepito come provocazione militare.
A illustrare la portata della contesa è Marco Florian, ex manager per la cooperazione internazionale presso la Camera di commercio italo-greca di Salonicco. “Noc e Tpao hanno firmato un MoU che invita la parte turca a fare E&P in quattro blocchi marini nella Zee libica. Il problema è che la mappa turco-libica si scontra frontalmente con quella greca e cipriota”, ha scritto Florian in un thread pubblicato su X, precisando che “per ora i blocchi che la Libia ha concesso alla turca Tpao non interferiscono con i blocchi greci”. La disputa nasce dal fatto che Libia e Turchia applicano la Convenzione di Ginevra del 1958, mentre Grecia, Cipro e l’Unione europea si rifanno alla Unclos del 1982. Al centro del conflitto cartografico ci sono isole come Kastellorizo, un piccolo lembo di terra greca a soli 2 chilometri dalla costa turca, che Atene considera pienamente abilitato a generare una Zee, mentre Ankara e Tripoli ritengono sproporzionato.
Il dossier potrebbe avere delle ripercussioni anche in l’Italia. “Una destabilizzazione dell’EastMed significherebbe distruzione delle rotte commerciali da e per Suez. Un disastro per il nostro export, un danno per l’industria italiana”, ha osservato Florian. In caso di escalation, l’articolo 42 del Trattato sull’Unione europea prevede che gli Stati membri debbano offrire assistenza militare a un Paese aggredito, aprendo uno scenario ad alta tensione tra Ue e Turchia. “Le probabilità sono basse – ha aggiunto – ma non così basse da poter ignorare il rischio”.
A rafforzare la posizione libico-turca interviene anche Rawad M. Shalabi, diplomatico libico specializzato in relazioni multilaterali. Secondo Shalabi, la Grecia “è costantemente emersa come un attore persistentemente intransigente”, e adotta una “interpretazione unilaterale del diritto marittimo internazionale”, negando il principio di equità. Shalabi cita i precedenti giuridici della Corte internazionale di giustizia (Cig), come il caso Romania-Ucraina (2009) e quello Libia-Malta (1985), in cui è stato stabilito che piccole isole non possono alterare in modo sproporzionato la delimitazione marittima. Per il diplomatico, l’accordo del 2019 tra Libia e Turchia rispetta pienamente il diritto internazionale. Al contrario, le reazioni greche “violano il diritto sovrano degli Stati di stipulare intese bilaterali”.
Nel frattempo, l’Unione europea si prepara a inviare una missione in Libia all’inizio di luglio. L’iniziativa, annunciata dal primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, vedrà la partecipazione del commissario Ue per gli Affari interni, Magnus Brunner, e dei ministri di Italia, Grecia e Malta. Tema ufficiale: il contenimento dei flussi migratori provenienti dalla Libia orientale. Secondo Mitsotakis, “serve un intervento immediato della Commissione europea per fermare le partenze”. Ma per Tripoli, l’invio di navi militari greche rappresenta una misura unilaterale e aggressiva. Le questioni migratorie e quelle energetiche, ancorché tecnicamente separate, sono comunque intrecciate sul piano politico e strategico.
Anche l’Egitto gioca un ruolo cruciale nel complesso mosaico delle rivendicazioni marittime del Mediterraneo orientale. Nell’agosto del 2020, Il Cairo ha firmato con Atene un accordo bilaterale per la delimitazione delle rispettive Zone economiche esclusive (Zee), che ha suscitato una ferma opposizione da parte della Turchia e della Libia. L’intesa greco-egiziana si sovrappone in parte al controverso memorandum turco-libico del 2019, generando un’area di giurisdizione marittima contesa e alimentando la polarizzazione regionale. Per l’Egitto, l’accordo rappresenta una mossa strategica volta a tutelare i propri interessi energetici nel bacino levantino, in particolare quelli connessi allo sviluppo dei giacimenti offshore e alle infrastrutture di esportazione del gas verso l’Europa.
La sovrapposizione delle mappe e l’assenza di un meccanismo multilaterale condiviso per la risoluzione delle controversie continuano a rendere il quadro estremamente instabile. Una possibile soluzione, suggerita da Florian, potrebbe essere la creazione di una “Zee unica” tra Ue e Turchia, gestita da un ente sovranazionale che garantisca a tutti una quota equa di risorse. Al momento, tuttavia, questa ipotesi sembra ancora lontana e il rischio di “incidenti” è dietro l’angolo. Già nel 2020 si arrivò a uno scontro “fisico” nel quale una fregata greca (la Limnos) speronò una fregata turca (la Kemal Reis). Allora solo l’intervento degli Usa e dell’Ue evitò il peggio. Ora, a cinque anni di distanza e in assenza di intese strutturate, la stabilità dell’area continuerà a dipendere da equilibri provvisori e dalla capacità delle parti di evitare nuove escalation.