Meno parlamentari, ma i gruppi a Camera e Senato percepiscono gli stessi soldi di prima
Il taglio di 230 parlamentari voluto dai grillini non ha portato risparmi sensibili nelle spese del Parlamento, argomenta Sergio Rizzo nel suo ultimo saggio ‘Io sono io’ sulle spese della politica. Anche perché i soldi destinati ai gruppi parlamentari sono rimasti gli stessi.
Il presidente del Senato porta a casa ogni mese poco meno di 19.000 euro netti, compresi 3.500 di diaria e 5.830 di rimborsi. Il suo collega della Camera sta invece intorno ai 18.000 euro netti, perché i rimborsi sono meno ricchi. Un deputato normale guadagna una cifra più bassa: ai circa 5.000 euro netti al mese dello stipendio non può infatti sommare l’indennità aggiuntiva spettante al presidente (4.223 euro netti). Ma neppure quella che tocca ai vicepresidenti delle Camere, ai questori e ai presidenti delle commissioni. Per questi ultimi la cifra da aggiungere alla paga mensile è di 2.227 euro lordi, corrispondenti a 1.269 netti. A luglio 2023 il beneficio di un’indennità aggiuntiva identica a quella stabilita per i presidenti delle commissioni è stato esteso ai capi dei gruppi parlamentari. Molti di loro hanno però rinunciato, anche perché i soldi dovrebbero essere presi non dalle risorse del Parlamento, bensì dai fondi degli stessi gruppi. E qui si svela il primo clamoroso bluff del taglio del numero degli onorevoli. Lo stipendio di deputati e senatori è fermo da anni e l’inflazione ne ha mangiato un discreto pezzo. Anche se 5.000 euro netti al mese, più annessi e connessi che portano il totale fra quota 12.000 e 14.000 secondo i casi, non sono pochi.
Rizzo segnala peraltro che un paio di mesi dopo le elezioni del 25 settembre 2022 il bonus per l’acquisto di smartphone e tablet è stato innalzato da 2.500 a 5.500 euro. Pochi sanno che nel Parlamento vige una regola che si chiama «autodichìa». È un principio in base al quale nella Camera e in Senato ogni decisione viene presa autonomamente e nessuno ci può mettere bocca. Né il governo né la Corte dei Conti. Vale per tutto ciò che riguarda il funzionamento delle Camere, dal trattamento economico degli onorevoli a quello del personale.
Secondo i bilanci del Senato, fra il 2001 e il 2023 il compenso medio pro capite dei dipendenti passa da 96.650 a 201.680 euro lordi l’anno. L’aumento reale delle paghe, considerando quindi l’inflazione, è del 36,2%. Non così bene va alla Camera, dove lo stipendio medio sale nello stesso lasso di tempo da 91.745 a 175.986 euro lordi l’anno. Con un incremento reale solo del 25,2%.