Diritti violati in uno Stato che finge di essere di diritto
Nel nostro paese la menzogna è diventata non solo
una categoria morale, ma un pilastro dello Stato.
Aleksandr Isaevič Solženicyn
Uno dei concetti che distinguono il sistema democratico dell’organizzazione dello Stato è quello dello Stato di diritto. Si tratta di una determinata forma di funzionamento del sistema giuridico di un Paese democratico, in cui tutti i poteri politici e pubblici sono obbligati ad agire rispettando i limiti previsti e sanciti dalle leggi in vigore. In tutti i Paesi dove è funzionante lo Stato di diritto si tutelano e sono rispettati dalla legge anche tutti i diritti dell’essere umano. Lo stesso concetto dello Stato di diritto ha cominciato ad essere elaborato circa due secoli fa, quando cominciarono anche i movimenti di massa contro le monarchie che rappresentavano degli Stati assoluti dove i poteri venivano determinati e gestiti dal monarca. E nell’ambito dello Stato di diritto bisognava che venissero limitati, per legge, proprio i poteri dello Stato. Bisognava che si riconoscessero i diritti fondamentali ed inalienabili dell’essere umano. Bisognava, tra l’altro, che il potere esecutivo, quello legislativo ed il potere giudiziari, venissero separati e diventassero indipendenti.
È necessario comunque distinguere il concetto dello Stato di diritto da quello dello Stato legale. Sono due concetti che si usano comunemente e che, non di rado, si confondono nonostante rappresentino due concetti diversi. Tutti e due si basano su uno stretto legame tra lo Stato e le leggi, le quali determinano anche i diritti. Ma tra loro esiste una netta differenza. Si, perché lo Stato di diritto è funzionante in un Paese dove si applica la forma democratica dell’organizzazione dello Stato, la quale garantisce i diritti, compresi anche quelli dell’essere umano. Mentre le leggi in vigore si applicano anche nei Paesi dittatoriali, dove molti diritti dell’essere umano, ma non solo, si calpestano. Perciò uno Stato legale non obbligatoriamente è anche uno Stato democratico. Invece uno Stato democratico, obbligatoriamente, è e dovrebbe essere uno Stato di diritto.
I Padri fondatori, firmando a Roma il 25 marzo 1957 i Trattati che diedero vita all’allora Comunità economica europea, hanno sancito anche l’importanza dello Stato di diritto, delle libertà innate ed inalienabili ed i valori fondamentali dell’essere umano. Il secondo articolo del Trattato sull’Unione europea sancisce che “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.
Dal 2020 la Commissione europea pubblica, ogni anno, una Relazione sullo Stato di diritto in cui si analizza e si presenta la sua situazione e gli sviluppi in tutti i Paesi membri dell’Unione. Il 24 luglio scorso è stata resa pubblica la quinta Relazione della Commissione sullo Stato di diritto. Per la prima volta quest’anno la Relazione, oltre ai capitoli dedicati a ciascuno dei Paesi membri dell’Unione europea, comprendeva anche quattro aggiunti capitoli che si riferivano ai quattro Paesi che hanno aperto i negoziati dell’adesione all’Unione europea. E cioè l’Albania, il Montenegro, la Macedonia del Nord e la Serbia. Una decisione quella che evidenzia la necessità di sostenere e di aiutare le autorità di questi Paesi candidati anche a raggiungere gli obiettivi previsti che riguardano lo Stato di diritto. L’inclusione di questi quattro Paesi nella Relazione annuale della Commissione europea rappresentava “la principale novità” della relazione stessa. Nei rispettivi capitoli vengono analizzate le realtà, con l’obiettivo di evidenziare le situazioni per quanto riguarda il sistema giudiziario, la corruzione, il rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini e dei media.
Nel capitolo sull’Albania della quinta Relazione sullo Stato di diritto della Commissione europea, pubblicata il 24 luglio scorso, si evidenziavano delle problematiche riguardanti anche il sistema giudiziario ed il funzionamento dello Stato di diritto. Bisogna sottolineare che, per la prima volta, la Relazione evidenzia delle preoccupazioni, mentre in precedenza, dal 2014, tutti i Rapporti della Commissione europea sull’Albania “elogiavano i successi del governo”. Perciò la sopracitata Relazione, nonostante il “linguaggio diplomatico”, conferma una realtà preoccupante. Una realtà che certe attività lobbistiche occulte, profumatamente pagate dal primo ministro e/o da chi per lui, cercano sempre di camuffare. Una realtà vissuta e spesso anche sofferta che riguarda la galoppante corruzione, partendo dai più alti livelli delle istituzioni governative. Una realtà quella che cercano di camuffare le occulte attività lobbistiche, che riguarda quello che in Albania è palese, e cioè che il sistema “riformato” della giustizia è totalmente controllato. Così come è palese, fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, che in Albania si è restaurato e si sta sempre più consolidando un regime, una nuova dittatura sui generis, come alleanza occulta e pericolosa del potere politico, rappresentato dal primo ministro, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali. Uno soprattutto, finanziato da un noto multimiliardario speculatore di borsa di oltreoceano, che con le sue fondazioni presenti e ben attive anche in Albania e in altri Paesi dei Balcani occidentali, determina non poche decisioni governative importanti.
Nel capitolo sull’Albania della quinta Relazione sullo Stato di diritto della Commissione europea si analizzava la situazione partendo dall’approvazione unanime del Parlamento della Riforma del sistema di giustizia, il 22 luglio 2016. E si evidenziavano anche delle problematiche. Ma per chi conosce bene la realtà albanese, quelle problematiche non sono le più preoccupanti, anzi! Nella Relazione si afferma, comunque, che ci sono dei “tentativi di interferenza e pressione sul sistema giudiziario da parte di funzionari pubblici o politici“. Mentre per quanto riguarda la corruzione, una vera e pericolosa cancrena che sta divorando tutto il bene pubblico in Albania, la Relazione evidenzia solo che la corruzione “è diffusa in molti settori, anche durante le campagne elettorali”. Aggiungendo, altresì, che il quadro giuridico “troppo complesso” limita le misure preventive. La Relazione evidenzia anche delle problematiche che riguardano i media, sottolineando che condizionano il buon funzionamento dello Stato di diritto in Albania. Destano preoccupazione la mancata indipendenza dell’emittente pubblica. Nella Relazione della Commissione europea si legge che c’è una “limitata regolamentazione sulla trasparenza della proprietà dei media” e che non si garantisce “un’equa allocazione della pubblicità statale e di altre risorse statali”. La sopracitata Relazione afferma che “le aggressioni verbali e fisiche, le campagne diffamatorie e le azioni legali strategiche contro la partecipazione pubblica sono motivo di preoccupazione”.
Chi scrive queste righe la scorsa settimana informava il nostro lettore che “…il sistema della giustizia in Albania purtroppo, è solo un ubbidiente sistema “riformato” di [in]giustizia. I massimi rappresentanti delle “riformate” istituzioni di quel sistema sono purtroppo diventati dei servi che seguono solo gli ordini di chi comanda in Albania.” (Un ubbidiente sistema “riformato” di [in]giustizia; 22 luglio 2024). Egli è altresì convinto che in Albania sempre più diritti vengono violati. E trova molto significative le parole di Solženicyn, noto scrittore russo e primo Nobel per la letteratura, il quale affermava che “Nel nostro paese la menzogna è diventata non solo una categoria morale, ma un pilastro dello Stato”. Cosa che, da alcuni anni, si potrebbe dire anche dell’Albania, di uno Stato che finge di essere di diritto.