Libia

  • La Ue terrà fino al 2027 la sua flotta di difesa davanti alla Libia

    Il Consiglio dell’Unione europea ha deciso di estendere fino al 31 marzo 2027 il mandato della missione militare EuNavFor Med-Irini, attiva nel Mediterraneo nell’ambito della Politica di sicurezza e difesa comune (Psdc). La decisione è stata presa a seguito della revisione strategica condotta dal Comitato politico e di sicurezza dell’Ue. Oltre alla proroga, il Consiglio ha anche deciso di ampliare il mandato dell’operazione, aggiungendo nuovi compiti alle sue attività. Oltre a contrastare il traffico di armi e le esportazioni illecite di petrolio dalla Libia, Irini sarà ora incaricata di sorvegliare e raccogliere informazioni su altre attività illecite nella regione, nonché di monitorare le infrastrutture marittime critiche e supportare la pianificazione di eventuali interventi di emergenza. Questa nuova competenza “rafforzerà la capacità dell’Ue di avere una maggiore consapevolezza situazionale marittima nel Mediterraneo”, riferisce il Consiglio in una nota. Per sostenere le operazioni della missione, l’Ue ha stanziato 16,35 milioni di euro per il periodo dal primo aprile 2025 al 31 marzo 2027.

    L’operazione Irini (che in greco significa “pace”) è stata lanciata il 31 marzo 2020 con l’obiettivo di sostenere il processo di pace in Libia, attuando le restrizioni imposte dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (risoluzione 1970 del 2011). Dopo la prima Conferenza di Berlino, il Consiglio dell’Unione europea ha deciso di lanciare, il 31 marzo 2020, l’operazione militare denominata EuNavFor Med–Irini, principalmente marittima e incentrata sull’attuazione dell’embargo delle Nazioni Unite sulle armi alla Libia. Irini fa parte dell’approccio integrato europeo alla Libia che prevede sforzi politici, militari, economici e umanitari per portare stabilità e sicurezza nel Paese. I compiti dell’operazione sono: contrastare il traffico illegale di armi, sostenendo l’attuazione dell’embargo sulle armi nei confronti della Libia sulla base delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (compito principale); raccogliere informazioni sul contrabbando di petrolio, in particolare per le sue conseguenze sull’economia libica e il suo possibile utilizzo per finanziare il mercato delle armi; contribuire all’interruzione del modello commerciale del traffico di migranti raccogliendo informazioni con mezzi aerei e condividendole con Frontex e le autorità nazionali competenti; sostenere lo sviluppo della capacità di ricerca e soccorso delle pertinenti istituzioni libiche attraverso la formazione. In particolare, quest’ultima attività non è stata ancora attuata.

    Nel mese di gennaio 2025, la missione aeronavale dell’Unione europea incaricata di applicare l’embargo Onu sulle armi in Libia ha svolto dieci ispezioni a bordo con il consenso dei comandanti (contro le quattro di dicembre per un totale di 702 cosiddetti “approcci amichevoli” da inizio mandato) e indagato 381 navi mercantili tramite chiamate radio (a ottobre erano 501, per un totale di 17.142). L’operazione ha inoltre monitorato 52 voli sospetti (a dicembre erano 44, 1.750 in totale) e ha continuato a vigilare su 25 aeroporti e 16 porti e terminali petroliferi. In base all’ultimo rapporto disponibile, dal lancio della missione il 31 marzo 2020, EuNavFor Med–Irini ha sequestrato carichi violatori dell’embargo in tre occasioni, dirottando le navi verso porti dell’Unione europea. Irini ha prodotto 68 rapporti per il Panel di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia, la maggior parte dei quali riguarda violazioni dell’embargo sulle armi e attività di contrabbando di petrolio. Attraverso la Cellula di informazione sulla criminalità, integrata nella missione, sono state emesse 92 raccomandazioni per ispezioni in porti europei (di cui una emessa a dicembre 2024), con 73 ispezioni effettivamente condotte dalle autorità competenti.

    Lo scorso mese di gennaio 2025, il Consiglio di sicurezza Onu ha aggiornato il regime di sanzioni sulla Libia, esentando alcune attività dall’embargo sulle armi. In particolare, il Consiglio ha deciso che il suddetto embargo sulle armi non si applicherà a nessuna assistenza tecnica o formazione fornita dagli Stati membri alle forze di sicurezza libiche, intesa esclusivamente a promuovere il processo di riunificazione delle istituzioni militari e di sicurezza libiche. Inoltre, il Palazzo di vetro ha affermato che tale embargo sulle armi non deve essere applicato ad aeromobili militari o navi militari temporaneamente introdotti nel territorio libico esclusivamente per consegnare articoli o facilitare attività altrimenti esentate o non coperte dall’embargo.

  • La Cirenaica ormai è un presidio russo in Libia

    Lunedì 17 febbraio il generale Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico (Enl), si è recato in visita a Minsk, dove ha concordato con le autorità bielorusse un rafforzamento della cooperazione, in particolare nel settore militare. L’uomo forte della Cirenaica, infatti, s’è impegnato a concedere una “cittadella militare” nella città di Tobruk, a un contingente misto russo e bielorusso. Mosca può già contare da tempo sulla base navale di Al Jufra, dove tra l’altro sono transitate una parte delle forze ritirate dalla Siria dopo la caduta del regime di Bashar al Assad. La Cirenaica si appresta così a diventare il punto di forza attraverso cui la Russia potrà gestire la propria presenza nel Sahel, dove conta già significativi contingenti di mercenari inquadrati nei cosiddetti “Africa Corps”. Si tratta di uno sviluppo preoccupante per il nostro Paese, che minaccia di complicare ulteriormente la stabilizzazione di una ormai ipotetica Libia unificata.

    Il primo incontro negoziale tra la delegazione statunitense e quella russa, tenuto in Arabia Saudita martedì 18 febbraio, e ancor più le posizioni assunte da Donald Trump nei giorni successivi, hanno dimostrato come il presidente degli Stati Uniti sia interessato soprattutto a stabilire un rapporto di collaborazione con Mosca: un obiettivo di fronte al quale tutti gli altri appaiano decisamente secondari. Da decenni, ormai, Washington non dedica particolare attenzione al continente africano e Trump sembra disinteressarsene quasi del tutto, pensando evidentemente di affidare all’Europa questo quadrante. Ma mentre la Francia è stata espulsa quasi completamente dal Sahel – l’ultimo passaggio avviene giovedì 20 febbraio, con la riconsegna della base militare di Port-Bouet alle autorità della Costa d’Avorio – l’Italia non sembra in grado di assumere alcuna iniziativa politica, né tanto meno militare, che possa favorire la stabilizzazione della Libia, un Paese che per noi riveste ancora un’importanza strategica.

    La base aerea di Tobruk, snodo strategico della Libia orientale, è al centro del rafforzamento della cooperazione militare tra Khalifa Haftar e i suoi alleati, con Russia e Bielorussia in prima linea nel suo sviluppo. Il complesso militare, noto anche come base di Gamal Abdel Nasser, si estende su un’area di circa 40 chilometri quadrati e si trova a 32 chilometri a sud della città portuale di Tobruk, affacciata sul Mediterraneo, nel fianco sud della Nato. Utilizzata fin dagli anni ’80 dall’aeronautica libica per affrontare le tensioni con gli Stati Uniti sotto il regime di Muammar Gheddafi, la base è sotto il controllo dell’Esercito nazionale libico (Enl) di Haftar dal 2014. Negli ultimi anni ha assunto una crescente rilevanza strategica, con l’intensificarsi delle visite di navi militari russe e l’arrivo di carichi di armi ed equipaggiamenti.

    A giugno dello scorso anno, la fregata Marshal Shaposhnikov (classe Udaloy) e l’incrociatore missilistico Varyag (classe Slava), scortate da due sottomarini, hanno svolto una visita ufficiale al porto di Tobruk, un evento che ha confermato pubblicamente l’intensificarsi dei rapporti tra Mosca e Bengasi sul piano militare. Secondo l’ultimo rapporto del Panel di esperti dell’Onu, il porto di Tobruk aveva già ricevuto altre navi da sbarco delle classi Gren e Ropucha, che avevano scaricato veicoli militari e mezzi pesanti. In particolare, il 14 aprile 2024, erano stati osservati camion militari con rimorchi di piccole dimensioni in fase di sbarco, un chiaro indicatore di un’attività logistica ampia e strutturata tra Mosca e la Cirenaica.

    Il dossier libico è probabilmente il più importante e il più difficile da affrontare per Giorgia Meloni, il cui Piano Mattei difficilmente potrà avere uno sviluppo significativo se il Paese del Maghreb resterà diviso in due entità, una delle quali – la Tripolitania – continua ad essere attraversata da fortissime tensioni interne, mentre la più stabile Cirenaica appare ormai strettamente legata alla Russia, e quindi soggetta alle possibili azioni d’influenza da parte di Mosca, come ad esempio l’utilizzo a fini geopolitici dei flussi migratori. Se la capacità di controllo del nostro Paese sulla Cirenaica è praticamente nulla, quella sulla Tripolitania è così scarsa che, mercoledì 12 febbraio, il ministro per gli Affari di gabinetto della Libia, Adel Jumaa, un moderato molto vicino all’Italia, viene ferito in un attentato che – secondo nostre fonti riservate – matura all’interno della lotta tra fazioni per conquistare gli appalti relativi alla ricostruzione dell’aeroporto internazionale di Tripoli, che pure sarebbe stato affidato già dal 2017 al consorzio italiano Aeneas.

  • Dieci ispezioni della Ue su navi a gennaio per contrastare il traffico d’armi verso la Libia

    Nel mese di gennaio 2025, l’operazione EuNavFor Med – “Irini”, la missione aeronavale dell’Unione europea incaricata di applicare l’embargo Onu sulle armi in Libia, ha svolto dieci ispezioni a bordo con il consenso dei comandanti (contro le quattro di dicembre per un totale di 702 cosiddetti “approcci amichevoli” da inizio mandato) e indagate 381 navi mercantili tramite chiamate radio (a ottobre erano 501, per un totale di 17.142). L’operazione ha inoltre monitorato 52 voli sospetti (a dicembre erano 44, 1.750 in totale) e ha continuato a vigilare su 25 aeroporti e 16 porti e terminali petroliferi. Dal lancio della missione il 31 marzo 2020, EuNavFor Med–Irini, attualmente comandata dal contrammiraglio Valentino Rinaldi, ha sequestrato carichi violatori dell’embargo in tre occasioni, dirottando le navi verso porti dell’Unione europea. Irini ha prodotto 68 rapporti per il Panel di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia, la maggior parte dei quali riguarda violazioni dell’embargo sulle armi e attività di contrabbando di petrolio. Attraverso la Cellula di informazione sulla criminalità, integrata nella missione, sono state emesse 92 raccomandazioni per ispezioni in porti europei (di cui una emessa a dicembre 2024), con 73 ispezioni effettivamente condotte dalle autorità competenti.

    Il Consiglio Ue dovrebbe disporre nelle prossime settimane il rinnovo della missione, in scadenza il 31 marzo 2025. Dopo la prima Conferenza di Berlino, il Consiglio dell’Unione europea ha deciso di lanciare, il 31 marzo 2020, l’operazione militare denominata EuNavFor Med–Irini, principalmente marittima e incentrata sull’attuazione dell’embargo delle Nazioni Unite sulle armi alla Libia. Irini fa parte dell’approccio integrato europeo alla Libia che prevede sforzi politici, militari, economici e umanitari per portare stabilità e sicurezza nel Paese. I compiti dell’operazione sono: contrastare il traffico illegale di armi, sostenendo l’attuazione dell’embargo sulle armi nei confronti della Libia sulla base delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (compito principale); raccogliere informazioni sul contrabbando di petrolio, in particolare per le sue conseguenze sull’economia libica e il suo possibile utilizzo per finanziare il mercato delle armi; contribuire all’interruzione del modello commerciale del traffico di migranti raccogliendo informazioni con mezzi aerei e condividendole con Frontex e le autorità nazionali competenti; sostenere lo sviluppo della capacità di ricerca e soccorso delle pertinenti istituzioni libiche attraverso la formazione. In particolare, quest’ultima attività non è stata ancora attuata.

    Lo scorso mese di gennaio 2025, il Consiglio di sicurezza ha aggiornato il regime di sanzioni sulla Libia, esentando alcune attività dall’embargo sulle armi. In particolare, il Consiglio ha deciso che il suddetto embargo sulle armi non si applicherà a nessuna assistenza tecnica o formazione fornita dagli Stati membri alle forze di sicurezza libiche, intesa esclusivamente a promuovere il processo di riunificazione delle istituzioni militari e di sicurezza libiche. Inoltre, il Palazzo di vetro ha affermato che tale embargo sulle armi non deve essere applicato ad aeromobili militari o navi militari temporaneamente introdotti nel territorio libico esclusivamente per consegnare articoli o facilitare attività altrimenti esentate o non coperte dall’embargo.

  • I due governi della Libia guardano ad un’adesione ai Brics

    La Libia ha espresso il proprio interesse ad aderire ai Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), il gruppo di Paesi emergenti che si pone come alternativa economica e politica alle alleanze occidentali. Secondo quanto riportato dal sito web d’informazione “Al Wasat”, Taher Baour, responsabile del ministero degli Esteri del Governo di unità nazionale libico di Tripoli, ha confermato l’interesse libico per l’adesione durante il Forum di partenariato Russia-Africa, tenuto a Sochi nel fine settimana. Al Baour ha dichiarato che l’esecutivo libico riconosciuto dall’Onu, guidato dal premier Abdulhamid Dabaiba, sta attualmente valutando l’opzione, esaminando in dettaglio i possibili benefici economici e strategici che deriverebbero dall’adesione al gruppo dei Brics. Tuttavia, il diplomatico ha precisato che, al momento, la Libia non ha ricevuto un invito ufficiale per partecipare ai vertici della coalizione.

    Lo scorso ottobre, la Russia ha ospitato il sedicesimo vertice Brics che ha ufficializzato l’ingresso dei quattro nuovi membri: Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran. Durante il vertice, a cui hanno preso parte i rappresentanti e leader di 36 Paesi e sei organizzazioni internazionali, altre 13 nazioni sono diventate Paesi partner, il primo passo necessario all’adesione piena: Algeria, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakistan, Nigeria, Turchia, Uganda e Uzbekistan. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha sottolineato nella conferenza stampa alla fine del summit che il gruppo Brics non opera in un formato chiuso e rimane aperto a tutte le nazioni che condividono i suoi valori. Secondo gli organizzatori del vertice di Kazan, i Paesi parte dei Brics occupano oltre il 30% del territorio mondiale e rappresentano il 45% della popolazione del Pianeta, forniscono oltre il 40% del petrolio prodotto e a loro si deve circa un quarto delle esportazioni mondiali di merci.

    Al Baour ha evidenziato che, per la Libia, l’adesione ai Brics rappresenterebbe una significativa opportunità, sia per rafforzare le proprie relazioni economiche e commerciali con altri membri sia per garantirsi maggiore stabilità economica nel contesto attuale. “Siamo interessati a esplorare le opportunità di valore e beneficio che un’adesione ai Brics potrebbe offrire alla Libia”, ha affermato il diplomatico, aggiungendo che l’adesione potrebbe avvenire in un primo momento anche solo come osservatore, per meglio comprendere il funzionamento interno del gruppo. Parallelamente, secondo quanto riferito da “Al Wasat”, anche il ministro degli Esteri del governo libico parallelo con sede a Bengasi, Abdulhadi al Hawaij, starebbe conducendo una serie di studi sulla possibilità di aderire al gruppo, considerando diversi aspetti economici e politici legati all’eventuale integrazione.

    Dal febbraio del 2022 la Libia è divisa in due amministrazioni politico-militari: da una parte il Governo di unità nazionale con sede a Tripoli del premier Abdulhamid Dabaiba, riconosciuto dalla comunità internazionale e appoggiato soprattutto dalla Turchia; dall’altra il cosiddetto Governo di stabilità nazionale guidato da Osama Hammad, primo ministro designato dalla Camera dei rappresentanti, di fatto un esecutivo parallelo con sede a Bengasi manovrato dal generale Khalifa Haftar, comandante in capo dell’Esercito nazionale libico (Enl) acquartierato a Bengasi. Per uscire dallo stallo politico, l’Onu sta portando avanti difficili consultazioni politiche per insediare un nuovo governo tecnico unitario e organizzare le elezioni in una data ancora da definire.

  • La ricostruzione dell’aeroporto di Tripoli cattivo affare per le aziende italiane?

    Il consorzio italiano Aeneas chiede di fare chiarezza riguardo al mega-progetto per la ricostruzione dell’Aeroporto internazionale di Tripoli, attualmente bloccato “senza preavviso e senza motivo apparente” da parte del Governo di unità nazionale (Gun). Elio Franci, presidente dell’alleanza italiana di imprese che nel 2017 si è aggiudicata il contratto per il ripristino dello scalo aereo tripolino, distrutto da ben due conflitti (2014 e 2019-20), racconta le proprie preoccupazioni in un’intervista a “Agenzia Nova”. Franci denuncia il blocco irregolare di parte dei pagamenti, trattenute non contrattualizzate e la mancata erogazione dei finanziamenti previsti. “Attualmente siamo in una fase di stallo, con la possibilità di subentro da parte di un subappaltatore locale”, ha denunciato Franci, evidenziando le difficoltà che il consorzio sta affrontando nella realizzazione di un progetto considerato “strategico” sia per l’Italia che per la Libia.

    Il contratto, del valore di decine di milioni di euro, per la realizzazione di due terminal – uno nazionale e uno internazionale – era stato firmato ormai sette anni fa dall’allora Governo di accordo nazionale (Gna), guidato da Fayez al Sarraj. I terminal, secondo il progetto, coprono complessivamente circa 30mila metri quadrati e possono gestire circa sei milioni di passeggeri all’anno. Tuttavia, i lavori assegnati al consorzio italiano Aeneas sono stati sospesi più volte a causa del conflitto armato che, dall’aprile 2019 al giugno 2020, ha interessato direttamente lo scalo aereo, oltre che a causa della pandemia di Covid-19 e alle recenti problematiche relative ai subappaltatori. Franci ha sottolineato che sia Paolo Gentiloni che Mario Draghi erano intervenuti attivamente per tutelare gli interessi italiani: “Anche l’attuale governo ha preso iniziative in tal senso, intervenendo meno di sei mesi fa. Ci auguriamo che questa linea di sostegno continui”.

    Il fascicolo sarà probabilmente rivisto durante il Business forum economico libico-italiano, in programma per il 29 ottobre. Fonti libiche segnalano la possibile partecipazione della presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, sebbene la sua presenza non sia ancora stata confermata. Se dovesse partecipare, sarebbe la quarta visita di Meloni in Libia in un anno e mezzo. “Mi aspetto chiarezza”, afferma il presidente del consorzio. “Saremmo lieti di ricevere un ulteriore intervento del governo. Voglio sottolineare che l’ambasciata d’Italia a Tripoli continua a fornirci supporto, un sostegno che non è mai venuto meno”. Franci spiega che il consorzio ha già completato oltre il 50 per cento dei lavori. “Abbiamo quasi completato la sopraelevazione della struttura; ora dobbiamo terminare la parte interna del terminal, che occupa una superficie di 30 mila metri quadrati”, spiega.

    La manodopera è prevalentemente locale, con circa 300-350 operai attivi sul sito, a cui si aggiungono circa sette persone assunte direttamente dal consorzio. Nella seconda fase, si prevede che il personale italiano o europeo arrivi a circa 30 unità extra libiche. “Stiamo realizzando una serie di corsi di formazione per preparare il personale locale. Li accompagneremo nei prossimi due anni per garantire un avvio efficiente del sistema, seguendo un approccio che applichiamo regolarmente in altre divisioni”, aggiunge Franci. Per quanto riguarda le tempistiche, Franci chiarisce che i ritardi non possono essere imputati alla parte italiana: “Avevamo stimato un periodo di realizzazione compreso tra i 15 e i 18 mesi, ma il problema principale è sempre stato di natura finanziaria. Il contratto non ha mai avuto una copertura finanziaria completa. Tuttavia, abbiamo comunque proseguito con i lavori per non interrompere il progetto. Abbiamo mantenuto una presenza attiva anche nei momenti di incertezza tra le diverse amministrazioni governative”.

    Vale la pena sottolineare che l’interscambio commerciale tra Italia e Libia supera i 9 miliardi di euro all’anno, con l’Italia che si posiziona come principale importatore, terzo esportatore verso la Libia e primo partner per interscambio in generale. Grazie alle sue ricchezze petrolifere, il Paese nordafricano rappresenta un mercato promettente per le imprese italiane, già attive in progetti infrastrutturali ed energetici. Un esempio significativo è l’accordo da 8 miliardi di dollari tra la National Oil Corporation (Noc) libica ed Eni relativo alle strutture offshore A&E, un progetto strategico volto ad aumentare la produzione di gas per rifornire il mercato interno libico, oltre a garantire l’esportazione di volumi in Europa. Il settore rappresenta il fulcro della cooperazione tra Libia e Italia, ma la collaborazione si estende a una vasta gamma di ambiti strategici per il futuro di entrambi, a partire delle infrastrutture.

    Il ripristino del volo diretto tra Roma e Tripoli, avviato il 30 settembre 2023 e formalmente regolato a dicembre 2023, ha peraltro fornito un’importante iniezione di fiducia. L’Italia, unica nazione dell’Europa continentale a operare voli diretti verso la Libia, dal momento che Malta è un’isola, ha manifestato l’intenzione di sostenere il Paese nordafricano nel rafforzare la sua proiezione internazionale, facilitando l’avvio di ulteriori collegamenti. Tuttavia, i partner italiani, europei e internazionali potrebbero percepire negativamente l’impossibilità del consorzio italiano Aeneas di concludere lavori previsti dal contratto a causa di problemi finanziari. Al contrario, il completamento del nuovo aeroporto, progettato per essere molto più grande di Mitiga, l’unico scalo aereo a servire attualmente la capitale della Libia, permetterebbe di aumentare significativamente il numero di voli verso altre destinazioni. In questo modo, la Libia potrebbe non solo consolidare i legami con l’Italia, ma anche ampliare la sua rete di collegamenti aerei con il resto del mondo.

  • Libia prima sponda dell’Italia per l’approvvigionamento di petrolio

    Nei primi sette mesi del 2024, i dati dell’Unione energie per la mobilità (Unem) sulle importazioni di greggio in Italia delineano un quadro interessante e complesso delle dinamiche commerciali internazionali. In cima alla classifica dei paesi fornitori si trova la Libia, che si conferma il principale esportatore di petrolio verso l’Italia anche nel secondo trimestre dell’anno in corso. Nel periodo tra gennaio e luglio, l’Italia ha importato un totale di 7,39 milioni di tonnellate di greggio libico, pari al 22,3% del totale nazionale. Questo dato rappresenta una crescita significativa del 28,6% rispetto all’anno precedente, sottolineando l’importanza della Libia come partner strategico per le forniture di energia, nonostante la fragile situazione politica interna. Il dato subirà probabilmente una flessione nel trimestre in corso a causa del blocco petrolifero in Libia durato per tutto il mese di settembre.

    Al secondo posto ci sono i paesi dell’ex Unione Sovietica, in particolare Azerbaigian e Kazakhstan, che insieme hanno esportato verso l’Italia 10,63 milioni di tonnellate di greggio, coprendo il 32% delle importazioni totali. Tuttavia, questi paesi mostrano andamenti divergenti: mentre le importazioni dall’Azerbaigian sono diminuite del 13,8%, quelle dal Kazakhstan hanno registrato una crescita significativa del 29,7%, evidenziando un rafforzamento delle relazioni energetiche tra Italia e quest’ultimo. La terza area geografica di rilievo è il Medio Oriente, con l’Iraq che ha esportato 3,03 milioni di tonnellate, rappresentando il 9,1% del totale, nonostante un calo del 30,9% rispetto al 2023. L’Arabia Saudita segue con 2,15 milioni di tonnellate, pari al 6,5% del totale, ma anche qui si nota un calo importante del 23,8%. Complessivamente, le importazioni dall’intera area mediorientale si attestano a 5,48 milioni di tonnellate, rappresentando il 16,5% delle importazioni italiane, ma con una contrazione del 27,1%.

    Un’altra area di rilievo è l’Africa, che ha fornito il 35,9 per cento del greggio importato dall’Italia nel 2024, per un totale di 11,94 milioni di tonnellate. La Nigeria emerge come il principale fornitore africano dopo la Libia, con 2,1 milioni di tonnellate e un incremento del 31,3%. Anche paesi meno tradizionalmente noti per l’export petrolifero, come il Ghana e il Camerun, hanno mostrato un ruolo crescente, con un aumento rispettivamente del 104,3% e del 42,3% nelle loro esportazioni verso l’Italia. Infine, un dato interessante riguarda le importazioni dagli Stati Uniti, che ammontano a 3,21 milioni di tonnellate, coprendo il 9,7% delle importazioni totali italiane. Sebbene ci sia stato un calo del 14,7% rispetto all’anno precedente, gli Usa rimangono un fornitore importante. In generale, il 2024 ha visto una lieve diminuzione complessiva delle importazioni di greggio in Italia rispetto al 2023, con un calo del 3,3%.

  • Due navi militari della Russia in “visita di cortesia” a Tobruk in Libia

    Due navi militari della Federazione Russa, scortate da due sottomarini, hanno effettuato una sosta ufficiale alla base navale di Tobruk, in Cirenaica, la regione orientale della Libia. A darne notizia è stato l’ufficio stampa dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl), guidato dal generale Khalifa Haftar. “Al fine di rafforzare le relazioni tra il Comando generale dell’Esercito nazionale libico e la Federazione Russa, un gruppo di navi da guerra russe, composto dall’incrociatore missilistico Varyag e dalla fregata Marshal Shaposhnikov, ha effettuato una visita di tre giorni alla base navale di Tobruk, dopo una visita nella Repubblica araba d’Egitto”, si legge in un comunicato dell’Enl pubblicato su Facebook insieme ad alcune immagini della fregata, classe Udaloy e parte della Flotta russa del Pacifico, e dell’incrociatore Varyag.

    “La visita rientra nei passi concreti atti a rafforzare la cooperazione tra Russia e Libia, ripristinare le relazioni amichevoli di lunga data e usufruire delle competenze russe per rafforzare la sovranità e l’indipendenza dello Stato libico e delle sue forze armate”, aggiunge la parte libica. Da tempo circolano voci sull’intenzione della Russia di aprire una base navale nella città della Cirenaica. “Agenzia Nova” ne ha parlato con due esperti: Jalel Harchaoui, specialista in Libia del Royal United Services Institute, e Umberto Profazio, analista dell’International Institute for Strategic Studies (Iiss).

    Harchaoui ricorda che l’ambasciatore russo a Tripoli, Haider Aganin, ha recentemente dichiarato all’emittente televisiva satellitare panaraba di proprietà qatariota “Al Jazeera” che nessuna parte libica ha chiesto alla Russia di stabilire una base militare-navale a Tobruk. “Aganin ha anche affermato che l’Occidente accusa erroneamente Mosca di espansione militare nella Libia orientale solo per giustificare la propria presenza militare in Libia e in altri paesi. In sostanza l’ambasciatore russo nega molte cose. Tuttavia, guardando i fatti, nel mese di aprile si sono verificate cinque consegne significative di armi, tutte effettuate dalla Marina russa attraverso il porto di Tobruk. Queste consegne sono avvenute e sono indiscutibili”, afferma Harchaoui. La presenza della flottiglia della Marina russa a Tobruk, questa volta non per la consegna di armi, ma per una visita formale, “rafforza l’idea di una stretta collaborazione tra la marina della coalizione Haftar e la Marina russa”, aggiunge l’esperto.

    Lo scorso 31 maggio, il viceministro della Difesa russo, Junus-bek Evkurov, si è recato a Bengasi per la sua quinta visita nel Paese dallo scorso agosto. Queste missioni consolidano le indiscrezioni secondo cui Mosca starebbe avviando in Libia la formazione di una “Legione Africana” destinata a sostituire le forze del gruppo di mercenari Wagner. La struttura di questa legione dovrebbe essere completata entro l’estate del 2024, preparandola per operare non solo in Libia ma anche in Burkina Faso, Mali, Repubblica Centrafricana e Niger. Un portavoce del Dipartimento di Stato Usa ha recentemente dichiarato ad “Agenzia Nova” che i mercenari del gruppo Wagner “non hanno solo destabilizzato la Libia”, ma hanno anche utilizzato il Paese come “una piattaforma per destabilizzare la regione del Sahel e il continente africano”. Secondo il progetto investigativo “All Eyes On Wagner”, negli ultimi mesi la Russia avrebbe trasferito militari professionisti e combattenti in Libia, dove ci sarebbero oggi almeno 1.800 russi dislocati principalmente in Cirenaica e in Fezzan, nei territori controllati da Haftar. L’ambasciata russa in Libia, da parte sua, ha definito questa inchiesta una “mistura di mezze verità e menzogne” che sarebbe stata “fabbricata dai servizi segreti occidentali”.

    Secondo Harchaoui, la frequenza dei contatti tra Mosca e Bengasi “significa che le forze armate russe si stanno muovendo verso uno scenario in cui possono operare liberamente attraverso il porto di Tobruk. Se l’esercito russo continua a condurre regolarmente attività navali via Tobruk, col tempo alla fine si ridurrà a una base navale russa. Naturalmente si tratta di un processo lento e richiederà mesi, ma la tendenza è cristallina”. Secondo il sito web “ItaMilRadar”, specializzato nel monitoraggio dei movimenti degli aerei militari sopra l’Italia e il Mar Mediterraneo, negli ultimi mesi il porto è già stato utilizzato come base logistica per le truppe mercenarie russe presenti in Libia. “Le infrastrutture del porto di Tobruk lasciano ancora molto a desiderare, ma ciò non deve far supporre che ci vorrà molto tempo prima che una potenziale base possa diventare operativa”, aggiunge il sito, spiegando che Mosca potrebbe “stabilire una base navale nel mezzo del Mediterraneo, a poche centinaia di miglia dalla baia di Suda e da Sigonella, le due basi Nato più importanti della zona”.

    La nuova ambasciatrice degli Stati Uniti in Libia, Jennifer Gavito, parlando alla Commissione per le relazioni estere del Senato statunitense, ha recentemente messo in guardia sulla presenza russa e cinese in Libia. La diplomatica ha sottolineato i “profondi successi” delle aziende legate alla Cina nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in Libia, suggerendo che l’industria statunitense dovrebbe fornire un’alternativa valida alle società di Pechino, in modo che la Libia non dipenda da partner “inaffidabili” per la sua sicurezza nazionale. Gavito ha poi parlato della presenza russa, che ha recentemente integrato le forze Wagner in Libia in un’attività militare più ampia, e degli sforzi del Cremlino per creare un “rapporto di difesa” più aperto e formale con i soggetti libici, nell’intento di “destabilizzare il fianco sud della Nato”.

    Secondo Profazio, la visita di cortesia delle navi militari russe “conferma il trend già visibile da aprile, quando vi era stato già un arrivo da parte di navi militari russe a Tobruk”. Il porto libico, spiega l’analista ad “Agenzia Nova”, “si conferma come punto di riferimento principale per questa collaborazione militare, soprattutto per quanto riguarda la marina tra la Russia e l’Enl”, con il generale Khalifa Haftar “principale protagonista di questa convergenza tra Mosca e Bengasi”. Secondo l’esperto dell’Iiss, Mosca vuole mostrare all’Occidente che la propria influenza in Cirenaica si sta rafforzando sempre di più. “Non vi sono al momento notizie riguardo un nuovo sbarco di mercenari o truppe paramilitari, come è successo invece ad aprile scorso. Si tratta di una semplice visita di cortesia che mostra comunque il rafforzamento delle relazioni bilaterali tra queste due parti”, aggiunge Profazio. Dal punto di vista più strategico, prosegue l’analista, “Tobruk continua a essere particolarmente importante per la Russia, soprattutto per quanto riguarda il fianco sud della Nato e i partner occidentali”. La Libia, conclude l’esperto, si configura come un hub della proiezione militare russa in Africa e diventa sempre più strategica per destabilizzare questi paesi sia sotto il punto di vista dell’hard power, come presenza militare, che del soft power, con politiche, disinformazione e flussi di informazioni non corrette.

  • La Libia aumenta la produzione di petrolio e torna primo fornitore dell’Italia dopo 10 anni

    La National Oil Corporation (Noc) della Libia ha dichiarato il 31 maggio che la sussidiaria Al Waha è riuscita ad aumentare la propria produzione di 40.000 barili al giorno, dall’ottobre 2022. Per la prima volta, l’azienda ha utilizzato la più recente tecnologia di perforazione direzionale, “Geosphere 3D”, per raggiungere le profondità del campo di Al Daffah durante la perforazione del pozzo orizzontale B220H, perforando una sezione orizzontale superiore a duemila piedi, secondo una dichiarazione della società. Il pozzo è stato completato e testato con risultati soddisfacenti superiori ai tremila barili. Nei prossimi giorni è prevista l’installazione di una pompa sommersa e di un regolatore di produzione VSD, per aumentare significativamente la produzione del pozzo. Le squadre tecniche della compagnia Al Waha hanno inoltre completato e testato il pozzo di sviluppo 6K5 nel giacimento di Gialo, ad una profondità di circa 11.000 piedi, raggiungendo una produzione di quattro mila barili al giorno. Il test è stato condotto anche a una profondità di due milioni di piedi cubi di gas naturale, mettendo il pozzo in linea di produzione in tempi record.

    Noc sta portando avanti diversi progetti per aumentare la produzione petrolifera del Paese membro del cartello petrolifero Opec dagli attuali 1,2 milioni di barili al giorno a 1,4 milioni di barili al giorno entro la fine del 2024, per poi salire a 2 milioni di barili nel corso del 2025. Mellitah Oil and Gas Company, joint-venture paritetica tra Eni e la National Oil Corporation (Noc) libica, ha recentemente perforato e testato “in tempi record” il nuovo pozzo FB-36 nel campo di El Feel (Elephant), nel bacino di Murzuq, 800 chilometri a sud di Tripoli, della capacità produttiva di 5.056 barili di petrolio al giorno. Lo ha riferito la Noc in una nota diffusa ieri sera. “Il presidente e i membri del consiglio di amministrazione della National Oil Corporation elogiano il comitato di gestione dell’operatore e tutti i dipendenti della Mellitah Oil and Gas Company che hanno contribuito alla realizzazione di questo lavoro”, si legge nel testo. Il giacimento di cui Eni è operatore estrae a regime oltre 80mila barili di petrolio di una qualità povera di zolfo e molto facile da raffinare.

    Secondo gli ultimi dati dell’Unione energie per la mobilità (Unem), dopo dieci anni la Libia è tornata ad essere il principale fornitore dell’Italia nel primo trimestre del 2024. Il Paese, infatti, ha importato circa 14,5 milioni di tonnellate di greggio, in calo del 3,3% rispetto allo stesso periodo del 2023. A spiccare è il ruolo assunto dall’Africa che in questo primo trimestre è arrivata a contare per il 38 per cento del totale importato (era il 30% nel primo trimestre 2023), guidata dalla Libia. Sale così a 10 il numero di Paesi africani da cui l’Italia ha importato greggio per un totale di 5,4 milioni di tonnellate, circa 800mila tonnellate in più rispetto allo stesso periodo del 2023 (+17%). In crescita anche i volumi in arrivo dai Paesi ex-Urss (+15,6%), guidati dal Kazakhstan (+43%), ma anche dagli Stati Uniti (+26%) divenuti quarto Paese importatore con un peso più che raddoppiato rispetto al 2022. In netto calo gli arrivi dal Medio Oriente, in particolare dall’Arabia Saudita (-47%) e dall’Iraq (-46%), in parte per effetto delle difficoltà di transito presenti nel Mar Rosso e dei conseguenti aumenti dei costi dei noli.

  • Pechino discute con la Libia dell’insediamento di sue aziende

    l ministro dell’Economia e del Commercio del Governo di unità nazionale della Libia (Gun), Muhammad al Hawaij, ha impartito istruzioni per fornire tutto il sostegno necessario alle aziende cinesi interessate a operare nel mercato libico. E’ quanto emerge dall’incontro tra il ministro Hawaij e l’incaricato d’affari cinese in Libia, Liu Jian, tenuto lunedì 22 aprile con l’obiettivo principale di rafforzare le relazioni economiche e commerciali tra i due paesi. Una nota del dicastero del governo libico con sede a Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite, precisa che al colloquio erano presenti anche il direttore del dipartimento del Commercio estero e della Cooperazione internazionale del ministero, il vice direttore generale dell’Autorità di vigilanza sulle assicurazioni e un rappresentante del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale.

    Durante l’incontro si è discusso dell’attivazione e del sostegno del Consiglio degli imprenditori libico-cinesi per facilitare il lavoro del settore privato, consolidare la cooperazione economica e commerciale, promuovere gli scambi di visite e istituire comitati di cooperazione congiunta nei due paesi. Da parte sua, l’incaricato d’affari di Pechino ha espresso il forte desiderio delle imprese cinesi di riprendere le loro operazioni in Libia e di contribuire alla realizzazione di progetti di investimento. Il diplomatico ha inoltre proposto di stabilire canali diretti di comunicazione tra l’ambasciata cinese e le istituzioni affiliate al ministero dell’Economia e del Commercio, organizzare visite e incontri bilaterali coinvolgendo imprenditori, camere di commercio e camere congiunte, al fine di creare vere opportunità di partenariato nel settore privato libico.

    Intanto, nell’est del Paese nordafricano diviso in due amministrazione politiche rivali, un consorzio guidato dalla Cina ha recentemente espresso interesse per la ricostruzione di Derna, la città libica devastata dalle inondazioni della tempesta subtropicale provocata dal passaggio del ciclone “Daniel”. Ali al Saidi, ministro dell’Economia del cosiddetto Governo di stabilità nazionale (Gsn) designato dalla Camera dei rappresentanti, il parlamento eletto nel 2014 e con sede nell’est, aveva ricevuto nei mesi scorsi una delegazione del Bfi Management Consortium, alleanza che secondo il quotidiano libico “Libya Herald” annovera la China Railways International Group Company e la britannica Arup International Engineering Company. “L’economia libica richiede un deciso impulso verso l’apertura agli investimenti come alternativa alla dipendenza dallo Stato”, aveva affermato Al Saidi, sottolineando che i progetti attualmente in fase di proposta “avranno un impatto significativo sul miglioramento dei servizi forniti ai cittadini”.

    A fine ottobre 2023, il ministro libico “orientale” Al Sidi aveva dichiarato a “Radio France International” che “la Cina è oggi la potenza effettiva che potrebbe costruire ponti, infrastrutture e strade in brevissimo tempo”. Secondo il ministro, la Cina starebbe finanziando in Libia un progetto da 30 miliardi di dollari (28 miliardi di euro) per costruire metropolitane proprio attraverso il consorzio Bfi. “In realtà si tratta di informazioni esclusive che nessuno conosce tranne il mio ministero e le parti coinvolte nell’accordo”, aveva aggiunto Al Sidi. Fonti libiche di “Agenzia Nova” a Tripoli, tuttavia, hanno riferito che allo stato attuale non risultano avviati investimenti cinesi nel comparto delle infrastrutture nordafricane.

    Sarebbe sbagliato sottovalutare il ruolo che la Cina ha giocato e sta ancora giocando in Libia. Prima della guerra civile del 2011, la cinese China National Petroleum Corp disponeva di una forza lavoro in Libia di ben 30 mila operai e tecnici cinesi, riuscendo ad incanalare oltre il 10 per cento delle esportazioni di greggio “dolce” libico. Ma è soprattutto nel settore delle infrastrutture, marchio di fabbrica dei progetti di Pechino “chiavi in mano”, che la Cina ha puntellato la sua presenza in Libia. Ai tempo dell’ex Jamahiriya del colonello Muammar Gheddafi, China Railway Group aveva avviato nell’ex Jamahiriya tre importanti progetti del valore totale di 4,24 miliardi di dollari. Il caos della guerra civile ha bloccato tutto, ma una possibile stabilizzazione (o partizione) del Paese potrebbe far ripartire i progetti.

  • Il contrabbando di carburante in Libia alimenta la guerra civile in Sudan

    Il capo del Consiglio presidenziale della Libia, Mohamed al Menfi, avvierà in settimana un’indagine sul contrabbando di carburante che starebbe contribuendo ad alimentare la guerra civile in Sudan. Lo riferisce il quotidiano britannico “The Guardian”, sottolineando che le accuse, che vanno dallo sperpero di denaro pubblico alla corruzione, non sono solo una questione interna libica. Secondo il giornale britannico, infatti, il contrabbando – favorito dalla cattiva gestione della National Oil Corporation (Noc) – “aiuta a fornire carburante alle Forze paramilitari di supporto rapido che combattono in Sudan”, come evidenziato in un recente rapporto presentato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Non solo. Parte del denaro potrebbe anche andare indirettamente al gruppo Wagner, sostenuto dalla Russia, ora rinominato Africa Corps.

    Sebbene la Libia sia un Paese ricco di petrolio, importa la maggior parte del suo carburante, dato che le raffinerie nazionali non producono abbastanza per soddisfare la domanda interna. Le autorità di Tripoli importano quindi il carburante dall’estero e lo distribuiscono in patria a prezzi fortemente sovvenzionati, tanto che il prezzo ufficiale per un litro di benzina è di 3 centesimi di dollari al litro. Gli oli combustibili, che comprendono gasolio da riscaldamento, gasolio e combustibili pesanti, sono venduti in media a un prezzo inferiore del 70 per cento rispetto all’acquisto da parte del governo. E secondo il “Guardian” il 40 per cento del carburante importato viene poi riesportato e contrabbandato fuori dal Paese con ampi margini profitto illecito.

    Secondo il governatore della Banca centrale libica, Al Saddiq al Kabir, i sussidi per il carburante sono aumentati da 20,8 miliardi di dinari (3,97 miliardi di euro) nel 2021 a 61 miliardi di dinari nel 2022 (11,64 miliardi di euro), denunciando uno “squilibrio, una distorsione e una cattiva gestione” del fenomeno. Un documento interno della Noc datato settembre 2023, citato dal “Guardian”, afferma che il costo gonfiato dei sussidi è diventato quasi la metà dell’importo delle entrate derivanti dalla vendita di petrolio e gas. Fonti citate dal giornale britannico affermano che la maggior parte del carburante importato proviene dalla Russia, tramite Paesi come la Turchia, e viene venduto illegalmente in Europa con ingenti guadagna dei contrabbandieri, mentre molti libici sono costretti a fare lunghe ore per fare rifornimento alle pompe di benzina.

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