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Il Tempo del prima e del dopo

Se fossimo saggi, se avessimo quel minimo di saggezza, di comprensione degli eventi e di capacità di elaborarli, che ha consentito, nei secoli e nei millenni, agli essere umani di conservare la specie, dovremmo capire che c è un prima e un dopo. Un prima e un dopo pandemia.

Il prima è come siamo stati per decenni, quei decenni che ci hanno consentito di arrivare ad un grado di benessere altissimo per alcuni mentre intere altre popolazioni vivevano ancora, sia economicamente che culturalmente, in realtà arretrate fatte di fame e di violenza fisica. I soprusi appartengono invece a tutte le fasce sociali e a tutte le epoche. Il Tempo del prima è il lungo periodo delle scoperte scientifiche utili e di quelle pericolose, il periodo dello stravolgimento dei sistemi economici, dovuti al prevalere della finanza virtuale sull’economia reale e i derivati, che hanno avvelenato la maggior parte delle banche, sono solo uno dei tanti aspetti nocivi che hanno inquinato, in modo globale, la società.

Il Prima è lo sfruttamento sconsiderato del pianeta perché chi lo effettuava era incapace di previsione delle conseguenze o indifferente alle stesse. Molti si sono sempre sentiti al di sopra o, meglio ancora, al di fuori, da quello che riguardava le persone normali. E’ sempre esistita, ed è stata particolarmente radicata negli ultimi decenni, la convinzione, in alcuni piccoli gruppi di persone, particolarmente potenti per i mezzi i diversi mezzi, che avevano a disposizione, che le eventuali conseguenze negative delle loro scelte non li avrebbero colpiti. Ed è prevalsa, sia nel mondo capitalista che in quello comunista, la convinzione che il patrimonio che la natura ci aveva offerto, dalle foreste ai giacimenti del sottosuolo, dagli animali, alla gestione delle acque e alla modifica dei venti fosse eterno o anche eventualmente sostituibile.

Il dopo se fosse il ritorno al prima, alla realtà che ci ha portato alla pandemia e al suo diffondersi nel mondo, sarebbe ricominciare un cammino destinato a portarci a nuove tragedie senza più possibilità di tornare indietro. Una strada senza uscita, un baratro nel quale dopo aver lanciato i più anziani vedremo cadere giovani e bambini nell’inarrestabile declino della specie più debole del pianeta, l’uomo. C’è un prima al quale non possiamo, non dobbiamo ritornare come se nulla fosse accaduto e se il tempo del contagio e dell’isolamento non è servito a comprendere che ci sono momenti nei quali si deve scegliere e saper dividere il grano dall’olio allora tutto diventa pericolosamente possibile. Prima di arrivare al dopo, al nuovo tempo, dobbiamo affrontare molte sfide, quelle economiche con centinaia di migliaia di persone rimaste senza la prospettiva di un lavoro e di centinaia di migliaia che il lavoro hanno perso sia come dipendenti che come imprenditori. Le sfide economiche sono aggravate in Italia da una burocrazia elefantiaca e dall’evidente calo di consumi frutto della mancanza di reddito di chi non lavora o lavora a ritmo ridotto. La mondializzazione, che era stata affrontata senza la capacità di guidarla, è servita al virus per espandersi, i controlli internazionali hanno funzionato male e con ritardo, i paesi hanno gestito la pandemia in modo difforme ma il virus ha colpito quasi tutti più o meno con la stessa intensità ed ovunque le vittime più numerose sono stati gli anziani. La politica ha dovuto lasciare campo libero ai tecnici, spesso non adeguatamente preparati e sicuramente non in grado di supportare le risposte scientifiche con le necessità sociali ed economiche della popolazione e il mondo si è spaccato tra negazionismi e super previdenti senza che il risultato complessivo cambiasse. Siamo tornati in pochi giorni alle misure di cautela utilizzate nei secoli scorsi per le grandi epidemie, lavarsi le mani, stare lontani, coprirsi la bocca. Tutta la nostra sapienza tecnologica e il credere di poter vedere avanti con business sempre più avanzati non ci ha consentito di provvedere in tempo a fare scorta dei presidi di protezione più elementari, come le mascherine, i tamponi e i reagenti necessari per andare a stanare il virus. Qualcosa di infinitamente piccolo, qualcosa che presumibilmente, ancora una volta arriva da un animale e dalla nostra incuria e superbia ci ha messo tutti in ginocchio nonostante i nostri viaggi su Marte, le più sofisticate armi nucleari ed i sistemi informatici e robotici che ormai ci esonerano anche dal pensare.

Se torneremo  al tempo di prima sarà per indifferenza, per ignoranza, per inerzia, per nostalgia, per prosopopea, perché prima avevamo la sensazione di sapere, di conoscere, anche nei momenti difficili, la composizione della nostra cuccia o la posizione del nostro ipotetico trampolino di lancio. Sembrava tutto possibile e permesso, chi non arrivava al benessere poteva sperarci, chi c’era arrivato arrancava per conservarlo, tutti comunque nell’ignoranza di cosa si celava dietro la nube tossica dell’inquinamento, l’abbattimento di una foresta, il pericolo degli allevamenti intensivi e dei troppi prodotti pericolosi abbandonati o portati appositamente sul terreno agricolo e nella falda.

Il dopo è la crisi economica sia per i mercati internazionali che dovranno riconsiderare chi è in grado di comperare e a che prezzo vendere, sia per i mercati interni che già soffrivano da tempo, e si dovranno fare i conti con i derivati che hanno intossicato le banche, con le necessità dell’economia reale che quando produce rischia di non trovare a chi vendere. Il dopo è anche la crisi umana che covava da tempo e che è sul punto di esplodere. Prima lentamente siamo stati portati a confondere i diritti individuali, sanciti anche dalla carta universale, col diritto di ciascuno di fare qualunque cosa gli potesse portare appagamento, senza tenere conto di quanto ledesse gli altrui diritti la difesa dei propri piaceri. Più importanti i diritti degli adulti di chiamare figlio anche chi è, su commissione, stato procreato da altri che il diritto di una nuova creatura obbligata a venire al mondo, più importante il diritto di affermare la propria religione o tradizione che rispettare le vite altrui e l’inviolabilità fisica di altri esseri umani.

Più importante poter vendere a poco prezzo che conservare, come necessarie all’ecosistema, non solo di un area determinata, le foreste rumene o amazzoniche, più importante strappare energia dalle rocce che impedire lo sprofondamento di intere aree, più importante solcare avanti e indietro i cieli che riflettere sulle conseguenze sopportate dall’atmosfera, più importante iniettare lo zucchero nelle fragole o gonfiare i vitelli che produrre con meno guadagno ma nel rispetto della salute. Popoli di vecchi malandati e caparbi nella difesa delle loro verità, nei mondi sviluppati, popoli di giovani arrabbiati, affamati e sempre di più disposti anche al suicidio pur di trascinare con se i presunti colpevoli, nei paesi meno sviluppati. E’ stata chiamata civiltà quel tipo di progresso che intorno alle megalopoli ha creato le bidonville o gli ammassamenti nei casermoni popolari e che ha assistito alla propria sconfitta per colpa di un virus invisibile e vecchio come il mondo.

Per contenere il virus hanno detto che bisognava mantenere il distanziamento sociale. Non il distanziamento fisico ma sociale. Già da questo lapsus freudiano capiamo quanto privo dei più elementari valori, quanto anaffettivo, era il tempo del prima, il distanziamento sociale ha significati ben diversi dal distanziamento fisico! Il tempo del dopo non può essere uguale al tempo del prima perché il silenzio dell’isolamento, i malati, i morti, le differenze e le difficoltà economiche dovrebbero averci insegnato la necessità di saperci reciprocamente aiutare con una solidarietà vera e costante, di pretendere dalle istituzioni, e da chi le rappresenta, il rispetto del ruolo che ricopre, la capacità di affrontare per tempo i problemi e di sapersi assumere le responsabilità delle scelte che comunque vanno sempre prese nel rispetto della democrazia parlamentare e della nostra Costituzione. Il tempo del dopo è il tempo dell’ambiente, della sua preservazione, unico modo per conservare la salute e il lavoro. Il tempo del dopo è il tempo che sconfigge l’arroganza e premia il merito, che boccia l’intruppamento, il pensiero unico e crede che la scienza debba essere coniugata con la coscienza, che sa che il mercato deve avere regole corrette, che chi sbaglia deve pagare, che le megalopoli non sono sempre una conquista di libertà e che per costruire il futuro si deve cominciare a costruire il presente.

 

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