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Quale politica industriale

L’Unione Europea si trova all’interno di una crisi industriale senza precedenti dal dopoguerra ad oggi, espressione di una incapacità assoluta di comprendere come il mondo globale abbia modificato i mercati e contemporaneamente di una cieca applicazione dei precetti ideologici di natura ambientalista. Questa incapacità si esprime anche attraverso le analisi che ora, e solo ora, vengono propinate sulle soluzioni per evitare le ormai devastanti conseguenze, in termini occupazionali e sociali, che questa crisi inevitabilmente sta già producendo.

Da qualche tempo si sente affermare come l’Italia in particolare, ma vale anche per l’intero continente europeo, risulti deficitaria di una vera politica industriale, una affermazione sostanzialmente corretta che parte da una errata presunzione. È opinione diffusa che una strategia industriale espressa dai maggiori vertici istituzionali ed accademici si espliciti attraverso la scelta di privilegiare determinati settori industriali e di penalizzarne altri in quanto considerati indifendibili, come nel passato fu, per esempio, per il tessile abbigliamento. Quando, invece, una corretta politica industriale si dovrebbe esplicitare nella ricerca di assicurare le migliori condizioni all’interno delle quali il libero mercato possa premiare le eccellenze industriali che le diverse culture professionali ed industriali nazionali riescono ad esprimere.

Per realizzare, quindi, un “ambiente” favorevole allo sviluppo di ogni potenzialità industriale e professionale molti individuano nella riduzione della burocrazia la principale soluzione, la quale certamente rappresenta il peso della intrusione delle istituzioni europee e nazionali nelle dinamiche economiche.

Tuttavia la vera politica industriale non è rappresentata dalla scelta di quali settori privilegiare, come ora si ipotizza nel voler dirottare le competenze dall’automotive verso il settore aerospaziale, quando invece la sola politica industriale si traduce in una precisa ed articolata strategia di approvvigionamento energetico che possa assicurare le migliori condizioni di disponibilità energetica a costi competitivi e, di conseguenza, favorire ogni settore industriale all’interno del mercato globale.

In questo senso, la stessa scelta di Stellantis di privilegiare la produzione di auto in Spagna (1.000.000) rispetto alla riduzione sotto le 500.000.000 auto prodotte in Italia (livello del 1956) nasce proprio dal costo energetico spagnolo che risulta inferiore del – 53% rispetto a quello pagato in Italia.

Solo una politica energetica assicura quindi le condizioni favorevoli allo sviluppo delle potenzialità professionali, artigianali ed industriali di una nazione o di un continente, che, poi, altro non è se non la strategia energetica che Enrico Mattei aveva adottato con l’obiettivo di assicurare uno sviluppo al sistema industriale italiano attraverso un costo energetico competitivo.

Non comprendere la validità di questa strategia rappresenta il peccato originale imputabile ancora oggi all’intera classe governativa quanto alla minoranza liberale, entrambe incapaci di comprendere le dinamiche speculative innescate dalla cessione di asset attraverso privatizzazioni o infantili liberalizzazioni ai fondi privati.

Lo stesso approvvigionamento energetico dovrebbe rappresentare quindi settore di sostegno a favore delle più diverse realtà industriali e non una occasione di speculazione anche finanziaria come la Borsa di Amsterdam ancora una volta sta confermando.

Anche perché solo il sistema industriale è in grado di avviare il moltiplicatore del valore aggiunto.

In ultima analisi, l’unica politica industriale in grado di assicurare lo sviluppo ad un sistema industriale è rappresentata da una strategia di approvvigionamento energetico che esprima delle visioni a medio e lungo termine, e quindi lontana anni luce dai deliri ambientalisti, per altro assolutamente non tenuti in alcuna considerazione dalla principale economia in termini di emissioni: la Cina.

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