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Sicilia a secco: ma prima che del clima, la colpa è della mancata cura delle infrastrutture

La Sicilia è rimasta a secco questa estate: la siccità ha lasciato gli abitanti dell’isola privi di acqua naturale e con forniture d’acqua tanto care quanto diluite nel tempo.

Non è solo, a monte, una questione di cambiamento climatico. E’ anche, nell’immediato, un problema di carenze infrastrutturali: per evitare di trovarsi senz’acqua l’isola dovrebbe contare su 12 dissalatori che rendano potabile l’acqua salata del mare, ma uno di questi impianti, quello di Porto Empedocle, è fermo da 12 anni e soltanto una volta dichiarato lo stato di emergenza a causa della siccità, ad aprile, la Regione siciliana ha finanziato con 20 milioni di euro i progetti di efficientamento e miglioramento delle infrastrutture idriche destinando un milione al dissalatore in questione, nell’area dell’agrigentino che più ha patito il clima torrido di questa estate.

Intanto però La diga di Troina, sul lago d’Ancipa, più a nord, dai suoi 80 metri di salto è scesa quasi al livello del suolo, costringendo i siciliani a fare di necessità virtù, per se stessi e per le loro attività (agricoltura e allevamento). «Siamo alle solite – ha sbuffato in un’intervista al Corriere della Sera il capo dipartimento della Protezione civile, Fabio Ciciliano -: la gestione dell’emergenza idrica non si fa d’estate, quando l’acqua manca. Perché l’emergenza poi costa tanto, costa più dell’ordinario».

Renato Schifani, governatore regionale, ha fatto presente di aver «trovato una struttura commissariale in cui da 20 anni nessuno si occupa di manutenzione e completamento delle dighe» (sono 46 in Sicilia, solo 23 funzionanti) e ha annunciato la realizzazione di 100 nuovi pozzi, l’approdo (venerdì a Licata) della nave cisterna della Marina Militare “Ticino” e altri due dissalatori, a Gela e Trapani. Confermando a sua volta che «Se l’acqua non c’è, comunque va trovata. Mica solo quella da bere, pure quella per i campi, per gli animali», Ciciliano punta il dito anzitutto contro la mancata cura della rete di fornitura idrica e indica nella manutenzione il primo passo da compiere per prevenire emergenze: «La prima cosa da fare è evitare le perdite o perlomeno ridurle, quindi riparare la rete, mettere mano agli invasi delle dighe».

Di per sé, la Sicilia ha un consumo d’acqua pro capite al giorno che è pure inferiore alla media nazionale. 181 litri contro 215, ma proprio perché le infrastrutture sono state trascurate le risorse idriche disponibili vengono sprecate nella misura del 51% mentre i bacini delle dighe, malmesse, vengono sfruttati in misura sovrabbondante: 80%.

Secondo la più classica delle regole economiche, il prezzo di un bene ne denota la scarsità rispetto alla domanda ed il costo dell’approvvigionamento da un’autobotte da 8mila litri è passato in pochi mesi da 50 a 160 euro. E anche se a maggio la Regione ha finanziato altri 109 mezzi, tra acquisti, conversioni, recuperi di cisterne esistenti, le forniture però si sono fatte sempre meno continue, passando da un intervallo di 2 a uno di 4 giorni e anche di 7 o più.

«Molte famiglie vivono da sempre con la cisterna azzurra sul tetto, per continuare ad avere l’acqua quando s’interrompe l’erogazione pubblica», evidenzia Ciciliano. Ma intanto, problema che non sfugge alla Protezione civile, si pone anche un problema di legalità: di spaccio di acqua di dubbia provenienza e salubrità.

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