In attesa di Giustizia: un bel tacer…
I lettori di questa rubrica saranno, forse, stupiti di non avere ancora letto un commento sulla vicenda giudiziaria del Governatore della Liguria che tiene banco da settimane: in effetti, stimoli ce ne sono stati tanti e c’era anche pronto un titolo per l’articolo: “la legge non è uguale per Toti” e nel corpo del pezzo il suggerimento al legislatore di varare una modifica della Costituzione prevedendo che “è attribuito alla Procura della Repubblica competente per territorio il potere di scioglimento delle giunte comunali e regionali e la facoltà di indicare la data delle elezioni amministrative”. Ma poi ho pensato che già molti hanno scritto in proposito ed, inoltre, la conoscenza degli atti di indagine è molto limitata per poter esprimere una opinione ragionata. Titolo e suggerimento di legge costituzionale possono però tenersi buoni per il futuro.
La scelta è, invece, ricaduta sulla permanente criticità di condizioni della popolazione carceraria che tende a diminuire solo a causa dei continui suicidi: un dramma che questo, come altri governi, dimostra di essere del tutto inetto ad affrontare mentre da qualcuno vengono offerte indicazioni, che vorrebbero essere giustificazioni, in un’ottica geometrica di superfici fruibili, magari considerando anche le parti comuni di una galera (cortili adibiti al parcheggio dei blindati compresi) come se si trattasse di un condominio e sulle quali ogni parere è ammesso.
Tutto dipende dall’idea che si ha del valore delle vite umane e della dignità dell’uomo: anche del peggior criminale: nelle navi negriere, per esempio, i corpi degli schiavi venivano ammassati uno sull’altro perché le perdite calcolate – con cibo e viveri al limite della sussistenza – si aggiravano intorno ad un 12% che garantiva comunque lauti profitti: un po’ quello che fanno le catene della grande distribuzione nel prezzare i prodotti messi in vendita tenuto conto dell’incidenza dei furti e del deperimento degli alimentari invenduti.
Ebbene, se l’uomo è considerato alla stregua di merce di scambio tutto è possibile in termini di valutazione del problema.
Ecco allora che il dibattito sul sovraffollamento carcerario tende a ripetersi, a riproporsi inesorabilmente a distanza di pochi anni dall’ultima soluzione tampone adottata confermando che chi dovrebbe occuparsi del problema non se ne occupa affatto e lo fa con dilettantesca approssimazione solo quando si perviene ad un punto di non ritorno.
In questa cornice di solerte inattività si inserisce il pensiero di illustri giuristi come Marco Travaglio che è stato capace di scrivere che la questione dovrebbe essere posta al contrario perché in Italia i detenuti non sono affatto troppi rispetto al numero di reati e di delinquenti, sono se mai troppo pochi.
Certo, tutto torna se si prende per buona la teoria del suo autorevole editorialista, il pregiudicato Piercamillo Davigo, secondo il quale non esistono innocenti ma solo colpevoli che l’hanno fatta franca.
Ma c’è qualcosa che, invece, stona nel Travaglio pensiero che prevede anche lo zero nel rating del rispetto dovuto ai propri simili e farebbe meglio a tacere, perché tenendo conto delle linee di tendenza dei fenomeni (ed i numeri non mentono) si rileva che nel nostro Paese i reati sono in diminuzione da qualche anno mentre il numero dei detenuti continua a crescere ed una percentuale elevata, come noto, è di imputati in attesa di giudizio e non definitivamente condannati.
E qui viene da ripensare che un carcere disumano non è fonte di sicurezza per i cittadini perché coloro che lo hanno subito non solo non ne usciranno migliori ma saranno ancora più inclini alla recidiva, un po’ per mancanza di alternative e non poco per un senso di rivalsa verso una società che li ha emarginati in moderne (ma non troppo) triremi evocando scenari di un carcere duro come medicina per la devianza, lontano dai nostri riferimenti costituzionali, dalle migliori tradizioni del pensiero illuministico, quel pensiero che non illumina certo le menti grette che popolano talune redazioni ma – per fortuna – non quella de Il Patto Sociale che a chi scrive offre sempre uno spazio per parlare di attesa di giustizia, quella giustizia che è insita anche in pene irrogate al termine di un equo processo ed in grado di proporre ai condannati un percorso di riabilitazione e non soltanto retributivo.