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Infrastrutture vecchie e investimenti assenti: aumenta lo spreco d’acqua in Italia

Lo spreco dovuto agli acquedotti colabrodo resta un problema aperto in Italia: solo con le perdite annuali delle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile, si potrebbero soddisfare 43,4 milioni di persone, il 75% della popolazione nazionale.

Secondo l’Istat, lo spreco d’acqua in Italia è andato crescendo dal 42,2% al 42,4% tra 2020 e 2022 e ogni giorno si perdono 157 litri per abitante, benché l’Italia sia terza in Europa (dopo Svezia e Francia) per prelievo di acqua potabile per abitante. In totale, l’acqua sprecata nella penisola ammonta a 3,4 miliardi di metri cubi. Inoltre, un terzo degli italiani non si fida dell’acqua di rubinetto: il 28,8% non la beve (erano il 40,1% nel 2002), con picchi di sfiducia soprattutto in Sicilia (56,3%), Sardegna (45,3%), Calabria (41,4%) e Abruzzo (35,1%), mentre la quota di persone di 11 anni e più che consuma almeno mezzo litro di acqua minerale al giorno è delll’81,8% ed è sostanzialmente invariata rispetto al 2022.

Ci sono quattro regioni virtuose, Puglia, Basilicata, Umbria e Toscana. Di contro, in termini di disponibilità naturale della risorsa idrica, è tuttavia la Puglia la regione che segna il minimo con 100 mm nel 2023 (quasi la metà del valore medio sul lungo periodo).

L’Istat fa sapere che nonostante negli ultimi anni «molti gestori del servizio idrico abbiano avviato iniziative per garantire una maggiore capacità di misurazione dei consumi e il contenimento delle perdite, la quantità di acqua dispersa in distribuzione continua a rappresentare un volume considerevole». Le perdite (in parte normali: non esistono sistemi a perdita zero, dice l’Istat) sono causate da fattori amministrativi, dovuti a errori di misura dei contatori, e allacci abusivi. Ma soprattutto da rotture nelle condotte e vetustà degli impianti, tanto più frequenti e grazi queste ultime quanto più ci si sposta a Sud. Nel 2022, i distretti idrografici con le perdite totali in distribuzione più ingenti sono la Sardegna (52,8%), la Sicilia (51,6%) e l’Appennino meridionale (50,4%). Il valore minimo relativo alle perdite viene raggiunto dal distretto del fiume Po (32,5%).

Il 13,6% delle acque presenti nelle dighe italiane, circa 2 miliardi di metri cubi, resta inutilizzato, sopratutto nell’Appennino meridionale (31,7%) e centrale (29,6%) nonché in Sicilia (29%). Nelle Alpi orientali il mancato utilizzo delle risorse idriche disponibili scende al 15,7%, nell’Appennino settentrionale al 13,2%, in Sardegna è al 18,2%. Secondo quanto risulta da uno studio di European House-Ambrosetti, che ha fornito queste cifre, il Po è ottimamente sfruttato, con una quota d’acqua inutilizzata pari solo all’1,9%.

Le perdite sono in aumento in più della metà delle regioni e province autonome (13 su 21) avverte comunque l’stat. E anche il 2023 ha confermato la drammatica statistica. In nove regioni le perdite idriche sono superiori al dato nazionale, con i valori più alti in Basilicata (65,5%), Abruzzo (62,5%), Molise (53,9%), Sardegna (52,8%) e Sicilia (51,6%) con Calabria (38,7% di famiglie) e Sicilia (29,5%) sono le regioni più esposte ai problemi di erogazione.

Servirebbero ingenti investimenti per mettere a posto un’infrastruttura vecchia e inadeguata, che deve adattarsi a un clima che porrà sempre più problemi di siccità. La rete di distribuzione è vecchia, soggetta a frequenti rotture e perdite costanti: l’Italia nell’erogazione perde ogni giorno circa il 40% dell’acqua, con una grande eterogeneità tra le regioni. Con una rete più malmessa sono la Basilicata, l’Abruzzo e il Molise, dove va perso circa il 60% dell’acqua distribuita; quelle con una rete migliore sono la provincia autonoma di Bolzano, l’Emilia-Romagna e la Valle d’Aosta, dove le perdite sono limitate al 25%.

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