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Proposta delirante di un autocrate in gravi difficoltà

L’uomo non è spiegabile e, in ogni caso, bisogna indagare i suoi segreti

non nelle sue ragioni ma piuttosto nei suoi sogni e deliri.

Ernesto Sabato

Fino al 1815 era noto come lo Stato Pontificio. Organizzato e funzionante come una monarchia assoluta, aveva come suo massimo rappresentante, con i pieni poteri, il Pontefice. Fino ad allora era anche uno degli Stati italiani, come il Regno di Sicilia, il Regno di Napoli, il Granducato di Toscana ed altre entità statali. Ma il 20 settembre 1870 il Regno d’Italia conquistò Roma. In seguito, dopo il plebiscito del 2 ottobre 1870, anche i territori della Santa Sede sono stati annessi al Regno d’Italia. Alcuni mesi dopo, nel maggio 1871 il Parlamento stabilì anche i diritti della Santa Sede come parte integrante del Regno d’Italia. Il Papa veniva riconosciuto ancora come la massima autorità, ma alla Santa Sede è stato riconosciuto solo il possesso e non la proprietà degli edifici a Roma e dintorni. Il papa di allora, Pio IX, non riconobbe la decisione del Parlamento e si dichiarò prigioniero in Vaticano. Una simile situazione tesa tra il Regno d’Italia e la Santa Sede durò fino al 1929, quando, dopo lunghe trattative, l’11 febbraio 1929 si firmarono i Patti Lateranensi. Dal concordato tra l’Italia e la Santa Sede il 7 giugno 1929 è stato costituito e riconosciuto lo Stato sovrano della Città del Vaticano, esteso su un territorio molto limitato, entro le mura leonine, compresa anche la piazza San Pietro. I Patti Lateranensi, sono ormai sanciti dall’articolo 7 della Costituzione della Repubblica italiana.

Quest’anno si è svolta la 79ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Dal 22 e al 23 settembre 2024, l’Assemblea ha ospitato il Vertice del futuro. In quel vertice sono stati trattati diversi temi. Per il Segretario generale delle Nazioni Unite quel vertice dovrebbe rappresentare “…un’opportunità unica per ricostruire la fiducia e riallineare le istituzioni multilaterali obsolete con il mondo di oggi, basandosi su equità e solidarietà”.

Durante il sopracitato vertice, il 22 settembre scorso ha preso la parola anche il primo ministro albanese. Nel frattempo i suoi clamorosi abusi di potere, i continui scandali che lo coinvolgono direttamente, insieme con alcuni suoi stretti famigliari e collaboratori, il controllo da lui personalmente e/o da chi per lui del sistema “riformato” della giustizia, la galoppante corruzione partendo dai più alti livelli, sono stati trattati ed evidenziati anche dai giornali e dalle televisioni di vari Paesi europei ed di oltreoceano. Il nostro lettore è stato informato, a tempo debito, di tutto ciò. Così come è stato spesso informato, durante questi ultimi anni, della restaurazione e del continuo consolidamento di una nuova dittatura sui generis in Albania. Una dittatura camuffata da una facciata di pluripartitismo, ma che arresta e tiene tuttora isolato in casa, senza nessuna prova, il capo dell’opposizione. E tutti lo sanno che è stato il primo ministro a chiederlo. Come fanno anche altri suoi simili, in Russia, in Turchia, in Bielorussia, in Venezuela ed altrove nel mondo. Una dittatura, quella restaurata in Albania, espressione della pericolosa alleanza tra il potere politico, rappresentato proprio dal primo ministro, la criminalità organizzata locale ed internazionale e determinati raggruppamenti occulti molto potenti finanziariamente.

Una grave e molto preoccupante realtà questa vissuta e sofferta in Albania. Una realtà che ha costretto durante questi ultimi anni circa un terzo della popolazione, soprattutto i giovani, a lasciare la madrepatria per cercare un futuro migliore all’estero. Una realtà questa che non riesce più a nascondere neanche la ben organizzata e potente propaganda governativa. Una realtà che ha vistosamente messo in serie difficoltà anche il diretto responsabile, il primo ministro albanese.

Ebbene, il 22 settembre scorso, lui ha preso la parola al Vertice del futuro, organizzato nell’ambito della 79ª sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. E come fa sempre quando si trova in gravi difficoltà, l’autocrata albanese ha cercato, anche questa volta, di spostare l’attenzione, sia dell’aula che dell’opinione pubblica in Albania, con delle “stranezze”. E questa volta ha scelto di proclamare la costituzione di uno Stato sovrano della comunità religiosa bektashì dentro il territorio della capitale albanese. Come la Città del Vaticano a Roma. Bisogna sottolineare che in Albania coesistono pacificamente alcune comunità religiose, le più note delle quali sono la comunità musulmana sunnita, che rappresenta la maggior parte della popolazione, la comunità cristiana ortodossa, quella cattolica e la comunità bektashì, che sono dei musulmani sciiti della confessione islamica sufi. Ci sono anche altre comunità religiose minori. Risulterebbe che la comunità dei bektashì rappresenta meno del 10% dell’intera popolazione albanese. E riferendosi a quella comunità il primo ministro albanese ha dichiarato il 22 settembre scorso che avrebbe in mente di “…trasformare il centro dell’Ordine [comunità] dei bektashì, al centro di Tirana, in un centro di tolleranza e di coesistenza”. Ed intendeva quelle tra le varie religioni. Ma è un fatto storicamente e pubblicamente noto che in Albania le diverse comunità religiose hanno sempre coesistito e convissuto in armonia tra di loro. Perciò solo questo importante fatto contrasta con le dichiarazioni del primo ministro. Uno strano e, per molti, delirante annuncio quello suo, che è stato anticipato da un articolo pubblicato il 21 settembre scorso, dal noto quotidiano statunitense The New York Times. In quell’articolo era stato citato il primo ministro per aver confidato al giornalista che voleva portare avanti una sua idea: quella di costituire un piccolo Stato, un’enclave, seguendo il modello del Vaticano. Un’enclave che verrebbe governata dai bektashì. Ma già solo con questa affermazione dimostra che o non conosce la storia, oppure sta ingannando. Sì perché si tratta di due realtà e modelli ben differenti per varie ragioni; storiche, culturali, demografiche ed altro.

Il primo ministro ha dichiarato al The New York Times che “L’Albania cerca di trasformare in uno Stato sovrano con la propria amministrazione, i propri passaporti e le proprie frontiere” la comunità dei bektashì. E conferma che nel prossimo futuro “…presenterà i piani per l’entità che sarà chiamata lo Stato Sovrano dell’Ordine dei Bektashì”. Lui ha altresì affermato al giornalista che si trattava di un piano che lo sapevano solo pochissimi suoi stretti collaboratori. Ma lui, prima di tutto, doveva informare e poi consultare i rappresentanti delle comunità religiose in Albania ed altri gruppi di interesse. Doveva informare soprattutto il diretto interessato, il dirigente della comunità bektashì in Albania. E proprio quest’ultimo ha confermato subito dopo la pubblicazione dell’articolo che “La notizia che l’Albania potrebbe dare la sovranità all’Ordine dei Bektashì … ci ha stupiti. Noi non abbiamo richiesto e non pretendiamo di creare uno Stato musulmano. L’iniziativa è totalmente del primo ministro”. Ma il primo ministro doveva, sempre obbligatoriamente, discutere questo suo “strano piano” in parlamento. Si perché per portare avanti questa sua proposta, questo piano, dovrebbe fare anche degli emendamenti costituzionali. Il comma 2 del primo articolo della Costituzione sancisce che “La Repubblica d’Albania è uno Stato unitario ed indivisibile”. Proprio così! Costituire uno Stato sovrano dentro lo Stato albanese significa violare la Costituzione. Ed il primo ministro, con la sua delirante proposta, lo ha fatto.

Chi scrive queste righe informa il nostro lettore che in seguito alle sopracitate dichiarazioni del primo ministro le reazioni sono state immediate. Reazioni che si oppongono fortemente alla sua proposta delirante. Reazioni fatte dai vertici della comunità musulmana in Albania, da molti noti analisti, storici e religiosi. Aveva ragione Ernesto Sabato, l’uomo non è spiegabile e, in ogni caso, bisogna indagare i suoi segreti non nelle sue ragioni ma piuttosto nei suoi sogni e deliri.

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