Riflessioni dopo la caduta di un regime
Non è la ribellione stessa che è nobile, ma quello che esige.
Albert Camus
Era la fine dello scorso novembre quando in Siria cominciarono di nuovo gli scontri armati tra i diversi raggruppamenti ribelli e le forze armate del regime siriano. L’esercito cominciò a ritirarsi subito, lasciando mano libera ai ribelli. Sono bastati soltanto undici giorni agli oppositori del regime per entrare, domenica scorsa, a Damasco, la capitale del Paese. Non era servito a niente neanche il supporto russo e iraniano. Il regime siriano era caduto. Mentre il presidente Bashar al-Assad, il massimo rappresentante del regime, che lo aveva ereditato dopo la morte del padre nel luglio 2000, era fuggito lasciando la Siria. Proprio colui che solo pochi giorni fa aveva giurato di reprimere gli assalitori. In seguito si è saputo che era arrivato in Russia, avendo avuto il permesso d’asilo, per lui e la sua famiglia, dal suo simile, amico ed alleato, il presidente russo.
Quanto accadeva in Siria in questi giorni di combattimenti ha attirato l’attenzione delle cancellerie e delle istituzioni internazionali, nonché dei media. L’autore di queste righe informava il nostro lettore la scorsa settimana che si trattava di una situazione che “…ha messo in movimento, oltre ai belligeranti locali, anche altri Paesi, quali la Russia e l’Iran, in sostegno del governo e, come sopra menzionato, la Turchia che appoggia in vari modi gli oppositori del governo. Da due giorni ormai è entrata in azione anche l’aviazione russa accanto ai reparti aerei dell’esercito siriano per contrastare l’avanzata dei ribelli e dei terroristi. E tutto ciò dopo tredici anni, tempo in cui cominciò il conflitto in Siria” (Diversi conflitti e scontri armati in corso; 2 dicembre 2024).
Subito dopo la caduta del regime del presidente siriano sono state tante anche le reazioni arrivate sia dalle cancellerie che dalle più importanti istituzioni internazionali. Il presidente statunitense, riferendosi alla situazione in Siria dopo la caduta del regime, ha dichiarato domenica scorsa di essere “…. consapevoli del fatto che l’Isis cercherà di approfittare di qualsiasi vuoto per ristabilire le proprie capacità”. Ma “non lo permetteremo” ha aggiunto lui determinato. Mentre per la Russia “quello che è successo ha sorpreso il mondo intero e, in questo caso, non facciamo eccezione”. Lo ha affermato il portavoce del presidente russo. Ha reagito ufficialmente anche la Turchia, attiva nel conflitto in Siria. Il ministro degli Esteri turco ha detto che “…Nel prossimo periodo, vogliamo una Siria in cui i diversi gruppi etnici e religiosi vivano in una comprensione inclusiva della governance e in pace. Vogliamo vedere una nuova Siria che abbia legami con i suoi vicini e che aggiunga pace e stabilità alla regione”. Sempre domenica scorsa, subito dopo la fuga in Russia del presidente siriano, il presidente della Turchia, durante un incontro con un gruppo di studenti ha fatto una forte dichiarazione. Ha affermato che ormai “…sono rimasti soltanto due dirigenti mondiali: io e Putin. Sono stato per ventidue anni al potere. Putin si sta avvicinando. Tutti gli altri o sono neutralizzati, oppure sono scomparsi”. Della situazione in Siria si è espressa anche la Cina. Tramite il ministero degli Esteri, è stato confermato che si sta prestando “molta attenzione allo sviluppo della situazione in Siria e spera che il Paese ripristini la stabilità il prima possibile”.
Dopo la fuga in Russia del presidente siriano e della caduta del suo regime hanno reagito anche i rappresentanti dell’Unione europea e di alcune importanti istituzioni internazionali. Il segretario generale della NATO ha dichiarato che “…Russia e Iran condividono la responsabilità delle sofferenze inflitte al popolo siriano dal regime di Assad”. Aggiungendo, altresì, che, essendo stati da anni sostenitori del presidente siriano, adesso, dopo la caduta del suo regime, la Russia e l’Iran “…hanno anche dimostrato di essere partner inaffidabili, abbandonando Assad quando ha smesso di risultare loro utile”. Mentre, riferendosi ai dirigenti dei raggruppamenti ribelli che, da domenica scorsa, hanno preso il potere in Siria, il segretario generale della NATO ha ribadito che sarà seguito il comportamento di quei dirigenti nel prossimo futuro. Perché loro “…devono sostenere lo stato di diritto, proteggere i civili e rispettare le minoranze religiose”. Invece per l’Alto Rappresentate per la Politica Estera dell’Unione europea “la caduta del regime criminale di Assad segna un momento storico per il popolo siriano. Esortiamo tutti gli attori a evitare ulteriori violenze, a garantire la protezione dei civili e a rispettare il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale. Esortiamo in particolare a proteggere i membri di tutte le minoranze, comprese quelle cristiane e di altre confessioni non maggioritarie, nonché a garantire la sicurezza dei cittadini stranieri e il rispetto delle rappresentanze diplomatiche a Damasco”. Aggiungendo, tenendo presente i tanti valori storici ancora preservati nel territorio siriano, che è molto importante proteggere “il patrimonio culturale” siriano. In più la Commissione europea valuta ed afferma che per il momento tutti i rimpatri dei profughi siriani in Patria sono considerati insicuri. Per la Commissione europea “…Il rientro o meno nel Paese è una decisione individuale, per ora giudichiamo che non ci siano le condizioni per rimpatri sicuri e dignitosi in Siria”. Nel frattempo i rappresentanti dei governi della Germania, del Regno Unito, della Svezia e della Francia hanno confermato che provvederanno per una sospensione delle attuali richieste di asilo dalla Siria dopo la caduta del regime siriano.
Quello del presidente siriano però non è l’unico regime che è crollato durante questi ultimi decenni nei Paesi arabi e del Nord Africa. Durante le proteste note come la Primavera araba, tra il 2010 ed il 2011, sono caduti altri regimi totalitari e repressivi. Nel gennaio del 2011, dopo 23 anni, è crollato il regime in Tunisia, mentre il presidente tunisino fuggiva, insieme con la sua famiglia, in Arabia Saudita. Come ha fatto domenica scorsa il presidente siriano. Nel febbraio del 2011, sempre in seguito alle proteste continue, ha dato le dimissioni il presidente egiziano. Poi dopo, nell’ottobre del 2011, è stato prima catturato e poi ucciso il presidente della Libia, al potere da 42 anni. Si tratta di persone che hanno gestito il potere in modo autocratico e spesso anche sanguinario.
La caduta del regime siriano è stato festeggiato massicciamente domenica scorsa nelle piazze di Damasco ed in altre città della Siria. I cittadini esprimevano la loro gioia e anche la speranza per una futuro diverso e migliore. Ed è stata una reazione molto comprensiva, tenendo presente che si è trattato di un regime della dinastia Assad, che durava da circa 53 anni. Un regime che ha generato tante sofferenze e altrettante vittime innocenti, prima diretto dal padre e poi, fino a domenica scorsa, dal suo figlio. Perciò la gioia dei siriani era ed è più che naturale. Bisogna però sperare ed auspicare che, in futuro, i nuovi governanti della Siria possano adempiere il loro dovere, rispettando i diritti dei cittadini e non generando più situazioni come quelle dell’appena caduto regime. Come purtroppo è accaduto anche in altri Paesi e non solo quelli arabi, ma anche in altre parti del mondo. Come purtroppo è accaduto anche in alcuni Paesi europei e balcanici, dopo la caduta dei regimi, in seguito al crollo del muro di Berlino e dello sgretolamento del raggruppamento dei Paesi comunisti dell’Europa orientale.
Chi scrive queste righe, riferendosi alla storia vissuta, dalla quale bisogna sempre imparare, pensa che i regimi dittatoriali si devono e si possono abbattere. Ma in alcuni casi però questo non basta. Bisogna, anzi è indispensabile, fare di tutto in seguito per non permettere che nuovi regimi totalitari si possano costituire E contro tutti quei regimi bisogna che i cittadini si ribellino per abbatterli. Bisogna che essi non siano condizionati da determinate connotazioni legate alla ribellione. Bisogna perciò, in simili casi, tenere presente, come scriveva Albert Camus, che forse non è la ribellione stessa che è nobile, ma quello che esige.