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In attesa di Giustizia: l’Italia è una repubblica fondata sui dossier

Chi ricorda di aver almeno mai sentito nominare il Generale Aldo Beolchini…nessuno, vero? E’ stato – tra le tante cose –  Presidente del Consiglio Superiore delle Forze Armate e, per quello che qui interessa, Presidente della omonima Commissione promossa dal Ministro della Difesa Tremelloni nel 1967 per indagare sulle attività “deviate” del SIFAR diretto dal Generale Giovanni De Lorenzo: sigla dei servizi segreti e nome dell’ufficiale in comando  di cui è, probabilmente, più facile avere memoria per il coinvolgimento nel progetto di golpe denominato “Piano Solo”, la cui realizzazione era stata preceduta da una ricchissima raccolta di dossier su esponenti del mondo politico ed economico. Si parla di oltre 150.000 personaggi pubblici (tra i quali, pare, anche il Papa) dei quali si è analizzata ogni caratteristica, dalle tendenze politiche, alle preferenze in materia di vini, passando per quelle sessuali, amanti reali o presunte ed è curioso (forse non più di tanto) il fatto che Confindustria, in quegli anni, condividesse una “casa sicura” del SIFAR in via del Corso, a Roma con un enigmatico ente interessato alle Applicazioni Tecniche.

La Commissione Beolchini avrebbe dovuto, poi, procedere alla distruzione di quei dossier ma a causa di non meglio precisati inceppamenti della macchina burocratica ciò non avvenne e, di governo in governo fino al 1974, l’operazione è stata rimandata ed a tutt’oggi non è chiaro se tutto il materiale sia stato effettivamente distrutto e che utilizzo ne sia stato fatto, fermo restano che – fino a quando non è stato tolto il segreto di Stato e la documentazione trasmessa alla Commissione Parlamentare Stragi – anche il lavoro di chi aveva investigato su quella monumentale attività di dossieraggio è rimasta in penombra: quei fascicoli (alcuni mastodontici) costituivano la prima esperienza “repubblicana” di una risalente tradizione italica, basti pensare che buona parte del materiale informativo dell’OVRA era transitato pari pari all’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno e che le finalità non potevano essere che ricattatorie.

Nel frattempo anche una struttura denominata Servizio di Sicurezza, interna proprio al Viminale, aveva avviato analoga iniziativa di raccolta dati…di anno in anno, da un dossieraggio all’altro si è arrivati fino allo “scandalo Telecom” concluso con la scelta di un capro espiatorio, Giuliano Tavaroli, Vice Presidente dell’azienda con delega alla sicurezza, a pagare per tutti un’altra gigantesca opera di raccolta informazioni di cui – evidentemente – non se n’era e non se ne sarebbe fatto nulla a titolo personale. Ma perché con le indagini non si è andati oltre alle apparenze, è forse possibile che si rischiasse di toccare affettuosi amici e amici degli amici delle Procure?

E che dire dei curiosoni della Direzione Nazionale Antimafia? Le indagini, forse, diranno chi è stato realmente coinvolto, chi eventualmente sapeva e avrebbe dovuto impedire quelle investigazioni illegali, se qualcuno le ha disposte da un rango superiore e – soprattutto – a che fine, su mandato di chi? Qualcuno ci crede che si arriverà a tanto, che interessi davvero scoprire mandanti e beneficiari?

Chissà mai che non si rilevi, alla fine, una connessione con l’agenzia Equalize che pare realizzasse consulenze aziendali molto particolari la cui attività è emersa nel corso di indagini proprio su quella criminalità organizzata che è oggetto di attenzione della DNA e della DIA…e i numeri dei dossier, delle persone passate ai raggi X cresce con il potenziale aumentato degli strumenti di controllo: sembra che persino farsi un cafferino sia diventato rischioso perché qualcuno ti osserva e ascolta attraverso la macchinetta dell’espresso.

Orwell, in fondo, ci aveva visto lungo con il suo “1984” non potendo immaginare che tecnologie future avrebbero reso ancor più inquietante e realistico quello scenario distopico di fantapolitica: persino il tanto vituperato Luca Palamara è stato vittima di dossieraggio perché altrimenti non si può definire una intercettazione con captatore informatico disposta su basi giuridiche inconsistenti, acceso e spento secondo le convenienze e con riversamento dei file audio in server esterni alla Procura di Perugia nei quali hanno potuto mettere le mani (e le orecchie) in chissà quanti.

In questo preoccupante intreccio di interessi oscuri, spie e dossierati, l’immagine che si ricava è quella di un intero Paese che vive “sotto schiaffo” di qualcuno.

La storia più recente dimostra la primazia che sta acquisendo la SIGINT, la signal intelligence rispetto alla quale nessuno è più al sicuro: l’indagine della Distrettuale Antimafia della Procura Milanese – tra l’altro – evidenzia un preoccupante buco laddove dagli atti risulta che diversi reati di accesso abusivo alle banche dati sarebbero stati commessi “in concorso con quattordici pubblici ufficiali non identificati”, un accadimento tecnicamente impossibile perché per quegli accessi è necessario inserire le proprie credenziali e siccome nella richiesta di misura cautelare i P.M. non accennano a verifiche in corso per dare un nome e un volto a costoro, gli scenari che si possono dedurre sono molto preoccupanti.

Infatti, o manca la volontà di individuare questo nutrito gruppo di infedeli servitori dello Stato oppure in alternativa si può pensare ad una gestione approssimativa degli accessi alle banche dati e controlli interni all’acqua di rose che consentano ai responsabili di restare ignoti.

L’ultima eventualità è forse la più probabile e più inquietante: che si tratti di agenti dei servizi segreti ed in questo caso l’attesa di giustizia sarebbe subordinata ad imprevedibili sviluppi.

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