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In attesa di Giustizia: lui è peggio di me

Questo era il titolo di un film di una trentina di anni fa interpretato da Andriano Celentano e Renato Pozzetto: ovviamente regalava il sorriso, cosa che non sono in grado di fare Marco Travaglio e Andrea Del Mastro…tanto per scegliere una coppia di impresentabili da commentare in questo numero de Il Patto Sociale.

Il primo dei due, sempre pronto a commentare come ferite non rimarginabili alla giustizia e democrazia tutte le sentenze che non rechino la parola “condanna”, è – per il momento – rimasto silente a proposito dell’esito del terzo grado di giudizio a carico di Piercamillo Davigo, una notizia che, impropriamente, la maggior parte dei quotidiani ha riportato inserendo nel titolo “Appello bis per Davigo”: vero, ma così si mimetizza una realtà non banale e cioè che l’annullamento della sentenza di condanna da parte della Cassazione è stato solo parziale, essendo divenuta definitiva una parte della sentenza della Corte d’Appello di Brescia che ha condannato l’ex P.M. di Mani Pulite per rivelazione di segreto d’ufficio, una rivelazione senza uguali precedenti  come annotano i giudici bresciani usando proprio il corsivo per meglio evidenziare il concetto.

Davigo, dunque, nuovamente a giudizio solo per alcune delle condotte contestate che la Corte d’Appello dovrà rivalutare ma ciò non significa che verrà automaticamente assolto mentre risulta definitivamente condannato per altre. Tecnicamente lo si deve definire un pregiudicato ma non si può dire commentando oltre la superficie la notizia di quel parziale successo che significherebbe, per amor di verità (una virtù, peraltro, raramente coltivata dal Fatto Quotidiano), affrontare, la parte meno gradevole della decisione.

La famiglia Travaglio è in lutto e questo, forse, spiega il silenzio del Direttore che, a suo tempo, sentenziò in anticipo che “Davigo non deve rispondere di nulla perché è riuscito a tutelare il segreto”, una difesa preventiva con inattesi sussulti garantisti che è stata smentita. Questa volta, però, la condanna, sia pure parziale non è motivo di festa come se, in base al metro di giudizio standard di Travaglio, Davigo fosse improvvisamente diventato motivo di imbarazzo, una brutta persona poiché condannato, e fosse preferibile nascondere la circostanza come quando si butta la polvere sotto al tappeto… il che non è: Piercamillo Davigo è uno con cui non avrei mai voluto avere a che fare come imputato e non è stato piacevole neppure da difensore ma non è una brutta persona tantomeno perché è pregiudicato come non lo sono tanti che lui stesso ha fatto condannare da P.M. o condannato con le sue mani quando è passato alle funzioni giudicanti.

Un bel tacer non fu mai scritto e – detta tutta – l’ammutolimento su dettagli non secondari di questa vicenda è di gran lunga preferibile alle giustificazioni che, invece, ha ritenuto di dare il sottosegretario alla Giustizia Andrea Del Mastro Delle Vedove: uno con il cognome che evoca la fantozziana contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare ma anche in questo caso non fa per nulla ridere. Ripugna.

Ripugna, la notizia non è nuovissima, la sua affermazione secondo la quale è una intima gioia non lasciare nemmeno respirare chi viene trasportato dal nuovo blindato della Polizia Penitenziaria riservato ai detenuti in regime di alta sicurezza o al 41 bis ritenendo che gli agenti della PolPen condividano il suo medesimo entusiasmo ad incalzare chi siede su quel veicolo. Sottosegretario, lei ha forse studiato diritto costituzionale al buio? Forse non ha mai avuto notizia che il precedente motto degli Agenti di custodia era “Vigilando redimere” che – se pure in latino fosse un po’ zoppicante come in diritto costituzionale – non ha bisogno di essere tradotto?

Ma forse è troppo pretendere da costui che abbia anche solo sfogliato qualche pagina scritta da Cesare Beccaria o letto, figuriamoci capito, cosa sottintende l’articolo 27 della Costituzione dove afferma che le pene devono ispirarsi al senso di umanità…però, almeno qualche giornale oltre la pagina dello sport lo avrà occhieggiato, magari avrà visto un telegiornale che riportava la notizia del soffocamento da parte di agenti della polizia di Minneapolis di un nero, John Floyd, durante l’ arresto per il presunto impiego di una banconota falsa da venti dollari: un presunto innocente martoriato e ucciso senza motivo e sebbene gridasse la sua disperazione “non respiro!” perchè gli agenti, con un ginocchio premuro sul collo, facevano qualcosa che al poco Onorevole Del Mastro sembra provocare orgasmi incontenibili invece che farlo riflettere sulla circostanza che quei poliziotti sono stati processati e l’autore materiale dell’omicidio, commesso tenendo per più di otto minuti il ginocchio sul collo di Floyd che implorava pietà, è stato condannato a ventidue anni di carcere. Probabilmente ignora anche questo e con opportuno uso del participio può definirsi un ignorante.

“Volevo dire che è alla mafia che non diamo respiro”, ha provato a giustificarsi Del Mastro: la classica pezza peggiore del buco perché quello che ha detto in una occasione pubblica ha un significato inequivocabile. Tranne per chi, oltre a Beccaria (figuriamoci Pietro Verri e Carlo Cattaneo), alla Costituzione e forse al latino, probabilmente non conosce nemmeno l’uso della lingua italiana.

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